Quest’anno il ghiaccio artico segna un nuovo record negativo: soli 8,867 chilometri quadrati di copertura. Lo riportano le misurazioni effettuate il 5 luglio 2021 dal Nsdic, Nations Show & Ice Data Center. Questo scioglimento massiccio in realtà non era per nulla atteso, data la primavera relativamente fresca, con notevoli nevicate nella zona artica, condizioni che solitamente attenuano lo scioglimento estivo. Il 2021 sorpassa quindi quello che finora era stato considerato “l’anno nero”, quello del 2012, quando il ghiaccio artico aveva segnato il minimo storico dal 1979, anno in cui i satelliti hanno iniziato a monitorare la zona.
Da NASA, Un'immagine del ghiaccio marino artico il 16 settembre 2012, il giorno che il National Snow and Ice Data Center ha identificato come il minimo raggiunto nel 2012. La linea gialla mostra il minimo medio del ghiaccio marino dal 1979 al 2010
Non è solo un problema di copertura, il ghiaccio dell’Artico sta anche diventando meno spesso. A rivelarlo è uno studio delle università di Washington, Seattle, Toronto e pubblicato sulla rivista Communication Earth and Environment. Gli studiosi hanno analizzato lo spessore del ghiaccio marino in una particolare zona del Polo Nord, chiamata “the Last Ice”, l’ultimo ghiaccio, che finora è stata considerata stabile e non interessata dallo scioglimento del ghiaccio durante il periodo estivo. Invece anche questo ultimo baluardo di ghiaccio perenne viene assottigliato significativamente durante l’estate. Le misurazioni degli studiosi risalgono all’estate del 2020, effettuate appunto nel mare di Wandel, a nord della Groenlandia e delle isole canadesi, quasi per caso. Infatti i ricercatori si trovavano nei paraggi per altri motivi scientifici e, dopo essersi accorti che a occhio nudo il ghiaccio era più sottile, hanno deciso di effettuare le misurazioni. Durante l’estate è normale una riduzione della copertura e un certo assottigliamento del ghiaccio, infatti le condizioni delle calotte, quella artica come quella antartica, a seconda della stagione possono presentare dei cambiamenti significativi. “Nello studio quindi hanno cercato di verificare quanto fosse eccezionale questa particolare annata” spiega la professoressa Claudia Agnini, paleoclimatologa del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova, “perché chiaramente quello che non si può fare in questi casi è prendere per buono un record di un anno, che invece può essere relativamente poco significativo”. Gli studiosi hanno anche cercato di capire cosa ha portato questo “thinning”, l’assottigliamento, e quanto conta, per esempio, il livello soglia. Durante la primavera del 2020 c’era poco ghiaccio, ma nei due anni precedenti il livello in primavera era stato ancora più basso, fatto che però non si è tradotto in un assottigliamento così ampio come nell’estate 2020. Di conseguenza ci sono altre variabili da tenere presente, non conta solo il livello del ghiaccio prima dell’estate. In questo sistema complesso occorre considerare anche la circolazione oceanica e la circolazione atmosferica. Ma mette in guardia la professoressa Agnini: “quando si fa vedere una serie storica si vede chiaramente che c'è un assottigliamento che mostra un chiaro trend”.
Intervista completa alla professoressa Claudia Agnini del dipartimento di Geoscienze - Unipd. Servizio e montaggio di Elisa Speronello
Un altro studio, infatti, pubblicato Journal of Climate, spiega che un processo climatico, noto come Atlantificazione, sta diminuendo la capacità dei ghiacci nei mari di Barents e Kara di riformarsi durante l’inverno. L’Atlantificazione consiste nell’aumento delle temperature dell’aria, ma anche delle correnti oceaniche che fanno affluire acqua calda dall’oceano Atlantico nel mare di Barents.
Questi studi recenti sottolineano fortemente la fragilità delle nostre calotte polari che, oltre a trattenere enormi quantità d’acqua nella sua forma solida, fungono da habitat naturale per un gran numero di animali. In questi animali lo scioglimento dei ghiacci sta già creando un forte stress: l’orso polare, per esempio, è costretto a delle vere e proprie migrazioni per riuscire a nutrirsi. Un altro effetto indiretto sugli animali è la diminuzione delle nascite, con anche un tasso di sopravvivenza più basso. Se il trend dovesse continuare in questo modo alcune specie potrebbero dimezzare il proprio numero in poco più di vent’anni ed estinguersi entro la fine del secolo, come conseguenza dello scioglimento totale delle calotte polari. Ci sono stati dei periodi, anche molto lunghi, in cui i due poli terrestri non erano coperti dal ghiaccio: “2,7 milioni di anni fa non c’era la calotta artica, e quella antartica è comparsa 34 milioni di anni fa” spiega la paleoclimatologa che rivela anche che, durante il Cretaceo (100 milioni di anni fa) “ci sono le evidenze che ci fossero coccodrilli, o comunque antenati di coccodrilli, e per quanto riguarda la vegetazione, piante molto simili alle palme. Questo significa che le condizioni in termini di temperature erano molto diverse rispetto alle attuali”.