SOCIETÀ

Pregiudizi di genere. Il paradosso: più forti nei paesi ricchi e individualisti?

Gli stereotipi di genere sono quelle credenze a priori riguardo ai diversi ruoli, compiti, comportamenti e attività che una determinata società attribuisce rispettivamente a uomini e donne. Alcuni di questi pregiudizi riguardano le capacità e le attitudini personali: come la convinzione che le ragazze siano meno portate per le materie scientifiche e più adatte ai lavori di accudimento e alla cura della casa. Questi e tanti altri stereotipi ancora diffusi in tutte le società umane sono fonte di discriminazioni e disuguaglianze di genere e limitano la vita personale e professionale di tutti e tutte; infatti, il loro radicamento nell’immaginario comune può influenzare profondamente le scelte e gli atteggiamenti degli individui, i quali tendono consapevolmente o meno ad agire e a comportarsi come la società si attende da loro, rafforzando gli stereotipi stessi.

I pregiudizi di genere sono tratti culturali, il cui contenuto può quindi variare a seconda dei diversi contesti sociali. In particolare, secondo la teoria del paradosso dell’uguaglianza di genere, gli stereotipi di genere sono più forti nei paesi ricchi e individualisti (le società individualiste sono quelle in cui vige una cultura dell’”io” che spinge ogni membro della società ad anteporre i propri interessi (e quelli del suo ristretto gruppo di affetti) a quelli della comunità in generale. Al contrario, nelle società collettiviste, ogni individuo si considera parte integrante di un “noi”, inteso come l’intera comunità, verso la quale sono diretti il suo impegno e la sua lealtà).

L’aspetto paradossale è dato dal fatto che nei paesi ricchi e individualisti vigono sistemi che promuovono maggiormente l’uguaglianza di genere tramite politiche pubbliche e messaggi culturali. Eppure, secondo la teoria appena descritta, è proprio in questi luoghi che la società conserva convinzioni e aspettative più stereotipate rispetto ai ruoli e ai comportamenti attesi da uomini e donne per quanto riguarda le scelte lavorative, i valori personali, le questioni economiche e i tratti della personalità.

Per indagare la teoria del paradosso dell’uguaglianza di genere, la ricercatrice Clotilde Napp, dell’Université Paris-Dauphine, ha sviluppato un modello di elaborazione del linguaggio che ha analizzato un’ampia raccolta di testi (tratti da Wikipedia e Common Crawl) provenienti da più di 70 paesi. Alcuni lavori precedenti si erano già basati sullo studio del linguaggio naturale per scoprire come variassero gli stereotipi di genere tra i diversi paesi; si tratta però di un obiettivo molto difficile da raggiungere. Il modello sviluppato da Napp rilevava automaticamente le porzioni di testo che attribuivano una connotazione di genere a tematiche riguardanti la carriera, la famiglia e lo studio di alcune specifiche materie scientifiche e umanistiche. La ricercatrice ha inoltre tenuto conto del PIL e del livello di individualismo (rilevato attraverso una misura di valutazione specifica, chiamata indice di Hofstede) di ognuno dei paesi considerati.

I risultati supportano la teoria del paradosso dell’uguaglianza di genere, suggerendo che nei paesi più economicamente sviluppati e individualisti siano maggiormente radicati quegli stereotipi di genere che associano il successo professionale e gli studi scientifici agli uomini e la cura della famiglia e l’inclinazione per le materie umanistiche alle donne. Alla luce di queste evidenze, Napp giudica problematico il fatto che tali pregiudizi siano stati rilevati dall’analisi di fonti testuali ampiamente consultate in tutto il mondo, che rischiano quindi di contribuire al rafforzamento degli stereotipi in questione.

Resta ancora da capire quale sia la ragione di questa correlazione tra lo sviluppo economico e l’individualismo e la maggiore presenza di stereotipi di genere. Una possibile spiegazione – osserva Napp nel suo studio – è che le norme sociali che permettono a un gruppo dominante (ad es. la popolazione maschile) di mantenere il suo status privilegiato tendono a trasformarsi nel corso del tempo, senza però scomparire davvero. In altre parole, è possibile che nonostante a livello istituzionale vengano attuate misure per promuovere l’uguaglianza di genere, in realtà allo stesso tempo venga perpetuato sul piano culturale il pregiudizio per cui le qualità socialmente più apprezzate (come, ad esempio, la capacità scientifica e l’importanza della carriera) restino attribuite ai membri del gruppo dominante, ovvero agli uomini.

Un’altra ipotesi avanzata per spiegare la relazione in questione si basa sull’idea che nei paesi individualisti e ricchi il comportamento degli uomini e delle donne in conformità con gli stereotipi di genere venga interpretato come il risultato di una libera scelta individuale. Tale scelta viene considerata come il riflesso delle preferenze personali riguardo alla carriera e alla vita privata, e non ricondotta neanche parzialmente alle aspettative sociali.

In ogni caso, come sottolinea l’autrice, questo metodo di indagine basato sull’analisi testuale automatica ha anche alcuni limiti. L’algoritmo, per quanto affidabile, non è certo infallibile: può commettere errori se le regole che gli vengono date sono confuse; inoltre, non è detto che il campione di fonti scritte considerato sia rappresentativo dell’intera produzione testuale di un certo paese; in aggiunta, questi testi sono stati tradotti artificialmente prima di essere dati in pasto al modello, per cui tale passaggio intermedio potrebbe aver distorto, in alcuni casi, il loro contenuto.

La ricerca si è concentrata, inoltre solo su alcuni stereotipi di genere (relativi, come già detto, alla carriera, alla famiglia, e ai diversi ambiti disciplinari), ovvero quelli più comunemente documentati nei paesi occidentali. È possibile che in altre aree del pianeta siano presenti altri pregiudizi di genere molto radicati che riguardano altre caratteristiche personali e ruoli sociali attribuiti a uomini e donne che il modello automatico non era programmato per rilevare.

Per confermare il risultato sarebbe perciò utile applicare il metodo di rilevazione linguistica ad altri tipi di fonti scritte tratte, ad esempio, da opere letterarie e musicali o da testi di canzoni, e tararlo sulla ricerca di altri tipi di stereotipi. In ogni caso, lo studio di Napp evidenzia quanto il problema degli stereotipi di genere sia multidimensionale e non riconducibile solamente all’eventuale presenza di politiche pubbliche volte al loro contrasto.

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