SOCIETÀ

Al Programma Alimentare Mondiale il Nobel per la Pace 2020

“Per il suo impegno nel combattere la fame, per il suo contributo al miglioramento delle condizioni di pace nelle aree colpite dai conflitti e per aver agito come forza trainante negli sforzi per prevenire che la fame venga utilizzata come arma di guerra e di conflitto”: queste le motivazione addotte dal Comitato Norvegese per il Nobel a conferire il prestigioso premio Nobel per la Pace 2020 al Programma Alimentare Mondiale (il World Food Programme, WFP), agenzia dell’ONU fondata, su spinta dell’allora presidente degli Stati Uniti d’America Dwight Eisenhower, nel 1961 e con sede a Roma, che si propone di combattere la fame nel mondo, lavorando perché non vi siano situazioni d’emergenza legate alla mancanza di mezzi di sussistenza e offrendo alle comunità in condizioni di bisogno la sicurezza alimentare, senza dover dipendere dagli aiuti umanitari. Il Programma, dopo una prima fase sperimentale, viene ufficializzato nel 1965 dalle Nazioni Unite, e fin da subito è presente sul campo fornendo derrate alimentari in numerose situazioni di crisi, come durante la guerra d’indipendenza in Algeria, conclusasi nel 1962.

Si tratta, ad oggi, dell’organizzazione umanitaria più grande del mondo, e il lavoro che svolge è fondamentale: nel solo 2019, ha fornito assistenza a quasi 100 milioni di persone che soffrivano per la fame e la grave insicurezza alimentare. Molto importante è stato l’impegno del WFP anche nel 2020: la pandemia ha acuito, soprattutto in paesi già provati da conflitti interni come la Siria, lo Yemen, il Congo, la Nigeria, il Sud Sudan, il Burkina Faso, l’esposizione di moltissime persone alla fame, alla malnutrizione – rischiosa soprattutto per i bambini – e all’insicurezza alimentare, e gli aiuti economici provenienti dal WFP si stanno dimostrando cruciali per le popolazioni civili di questi territori.

Zero hunger” è il secondo obiettivo dell’Agenda 2030, e il Programma Alimentare Mondiale è il principale strumento che l’ONU ha per far sì che tale impegno venga onorato entro il 2030. Tra povertà, fame e guerre vi è un legame subdolo ma tenace: dove vi sono conflitti vi è fame, ma essa stessa può essere la scintilla della guerra. Affrontare questa piaga è dunque una necessità, e rientra a pieno titolo nel programma per la realizzazione di una società globale resiliente e sostenibile, come è quella immaginata dall’Agenda 2030 del 2015.

Secondo il WFP, sono ancora 690 milioni – una su nove – le persone che ogni giorno, nel mondo, soffrono o rischiano di soffrire la fame. Siamo ancora lontani dall’obiettivo dell’Agenda 2030 e, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, senza un deciso cambio di passo sarà ben difficile sconfiggere la fame entro i prossimi dieci anni: al contrario, se le tendenze attuali si dovessero confermare negli anni a seguire, entro il 2030 il numero di persone vittime della fame potrebbe salire fino a 830 milioni.

Questo dato è tanto più intollerabile se paragonato ai dati di produzione mondiale di cibo, e in particolare al tasso di spreco alimentare, che, fra tutte le fasi di produzione e consumo, comporta la perdita di circa un terzo dell’intera produzione: se si mettesse in atto una gestione attenta e più responsabile delle risorse, con quello che si produce ogni anno in tutto il mondo si potrebbe sfamare l’intera popolazione mondiale. Non è dunque un problema di disponibilità di beni, ma di equa redistribuzione degli stessi. Oltre ad affrontare le situazioni di conflitto, a far fronte alla crisi climatica e a prepararsi alle crisi economiche che verranno, sarà essenziale anche ripensare in modo sostanziale gli attuali sistemi produttivi alimentari.

Con la scelta di quest’anno, il Comitato Norvegese per il Nobel “vuole volgere lo sguardo del mondo verso i milioni di persone che soffrono o rischiano di soffrire la fame [...] Il lavoro del Programma Alimentare Mondiale a beneficio dell'umanità è uno sforzo che tutte le nazioni del mondo dovrebbero essere in grado di supportare e sostenere”, anche economicamente (il WFP fa affidamento unicamente su donazioni di governi e privati, non ricevendo allocazioni sul bilancio dell’ONU). Promuovere la pace è un interesse di tutti.

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