SCIENZA E RICERCA

Quali sono le basi neurali dell'empatia?

La nostra personalità ha un ruolo importante nel definire chi siamo e come appariamo agli altri. È anche in base al nostro carattere, infatti, che costruiamo la nostra visione del mondo e gestiamo i rapporti sociali.
La personalità, dal punto di vista scientifico, è proprio quell'insieme di caratteristiche che ci differenziano gli uni dagli altri nel modo in cui elaboriamo le informazioni emotive e sociali e che influenzano, di conseguenza, anche il nostro comportamento. Secondo il modello teorico dei big five di McCrae e Costa sono cinque i tratti fondamentali che spiegano la maggior parte della variabilità che c'è tra le persone: il nevroticismo, la coscenziosità, l'estroversione, l'apertura a nuove esperienze e infine la gradevolezza o l'amicalità, che è in particolare il tratto che spiega le differenze tra individui a livello di empatia e altruismo.

Un team di ricercatori della SISSA di Trieste, coordinato dalla professoressa Raffaella Rumiati, ha studiato la personalità da un punto di vista neuroscientifico. Il loro scopo era individuare, in particolare, i meccanismi cerebrali alla base dell'amicalità, per vedere quali sono le aree del cervello che si attivano in persone con diversi gradi di questo tratto della personalità quando sperimentano contesti sociali.

“La personalità è ampiamente esplorata nel campo della psicologia del lavoro e anche, soprattutto, in quella clinica, perché è più facile esplorare le differenze tra gli individui con psicopatologie e quelli senza. Non sono molti, invece, gli studi che esplorano le basi neurali della personalità”, spiega Sandra Arbula, prima autrice dello studio. “Siamo andati perciò alla ricerca dei meccanismi che causano differenze interindividuali in uno specifico tratto della personalità, ovvero quello dell'amicalità, che spiega la tendenza verso l'empatia, l'altruismo e anche la spinta a collaborare con le altre persone e a capire i loro stati mentali. Sappiamo infatti che sono queste le caratteristiche a seconda delle quali si distinguono le persone con alti e bassi livelli di amicalità. Ci siamo chiesti perciò se fosse possibile individuare i meccanismi cerebrali alla base di quei comportamenti che contraddistinguono i singoli individui”.

“Come è stato fatto nella maggior parte degli studi che hanno indagato questi meccanismi, abbiamo sottoposto i partecipanti al nostro esperimento alla risonanza magnetica funzionale. In altri casi è stata usata anche l'encefalografia, ma la risonanza permette di vedere le aree che si attivano nel cervello a una risoluzione più alta”, continua Arbula.
“I lavori precedenti si erano occupati di studiare lo stato “di base” del cervello, ovvero quello in cui la persona si trova a riposo e non sta eseguendo nessun compito, oppure di correlare delle parti della sua struttura, come ad esempio lo spessore della corteccia in una determinata area, con alcuni tratti della personalità.

Noi abbiamo scelto un approccio diverso: abbiamo somministrato un compito alle persone durante la risonanza. Abbiamo mostrato loro delle forme geometriche, come triangoli e cerchi, che a volte interagivano tra loro in modo random, quindi muovendosi senza alcun senso, mentre altre volte era possibile intravedere delle interazioni sociali tra di loro.
Mostrare persone che interagivano sarebbe stato facile da riconoscere per chiunque, mentre questo modo più astratto di ricreare situazioni di interazione sociale ci ha permesso di osservare in che misura il cervello è in grado di captare spontaneamente queste informazioni per crearne delle rappresentazioni”.

I ricercatori hanno chiesto alle persone di classificare l'animazione che vedevano nel video per stabilire se, a loro avviso, l'interazione tra le figure geometriche fosse di tipo sociale oppure random. Il loro scopo era quello di scoprire innanzitutto se le persone con livelli più alti di amicalità avessero una diversa capacità di leggere le interazioni sociali rappresentate nell'animazione.
Ai partecipanti all'esperimento era stato somministrato, infatti, anche un questionario per indagare il loro grado di amicalità attraverso il metodo più tradizionale del test della personalità.

“Abbiamo potuto osservare che anche le persone che nel test avevano registrato un basso livello di amicalità erano capaci di distinguere le interazioni sociali da quelle random”, chiarisce Arbula. “Le loro attivazioni a livello cerebrale durante l'elaborazione di queste informazioni sociali erano però molto simili a quelle che si verificavano anche durante l'elaborazione di informazioni random, perché probabilmente a livello cerebrale non elaboravano tutti i contenuti emotivi e motivazionali che si trovavano dentro il video”. Insomma, anche le persone meno empatiche riuscivano a cogliere comportamenti diversi nelle figure geometriche che si muovevano nel video, ma le rappresentazioni nel loro cervello delle interazioni sociali e random erano simili.
“Al contrario”, continua Arbula, “le rappresentazioni cerebrali degli individui con alto livello di amicalità erano molto diverse in base al tipo di interazione che vedevano sullo schermo”.

In questo modo, Arbula e coautori sono riusciti a rilevare le rappresentazioni neurali delle informazioni sociali in diversi individui e a correlarlo con il loro livello di amicalità.
“Studiare la personalità attraverso le neuroscienze è utile perché al momento questa viene misurata solo attraverso dei questionari molto lunghi”, spiega Arbula. “Lavori come il nostro potrebbero permetterci, in futuro, di ottenere una misurazione più oggettiva della personalità con cui confrontare questi questionari”.

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