SCIENZA E RICERCA

Quando “con te” non è sicuro: pericolo e protezione nelle relazioni significative

Un’ampia parte della letteratura psicologica, da molti decenni, ha affrontato il tema della qualità delle relazioni primarie, considerate come l’asse portante dello sviluppo di sé, delle proprie competenze emotive, della capacità di costruire ulteriori relazioni in grado di favorire benessere e adattamento nel corso dell’esistenza. Tali relazioni vengono definite primarie, perché sono le “prime” esperienze di relazione con altre persone che, nell’infanzia, sono gli adulti di riferimento, ossia la mamma, il papà, altri adulti vicini che hanno un ruolo di cura del neonato e del bambino molto piccolo. Inoltre, sono tali perché, sulla base di esse, strutturiamo un modello, una matrice relazionale (come definita da Daniel Stern) che ci spinge a riprodurre nell’arco della vita, relazioni che hanno caratteristiche simili, con persone diverse che conosciamo successivamente. 

Stiamo parlando di relazioni significative, ossia costruite con persone che hanno un ruolo centrale nella cura del bambino e che rappresentano i riferimenti stabili nella crescita. Tuttavia, tale processo può essere esteso anche alle relazioni entro gruppi più ampi in cui l’individuo è inserito, oppure all’ambito delle relazioni virtuali, costituendo la base di alcune delle dinamiche e delle criticità descritte negli articoli precedenti di questa serie.

L’idea forte, verificata da molteplici dati di ricerca, riguarda il fatto che la qualità dell’esperienza relazionale nelle prime fasi della vita struttura una “forma”, la matrice (una lingua madre delle nostre competenze relazionali), sulla base della quale tendiamo a riprodurre modalità simili di incontro con l’altro, che ci condurranno a relazioni che hanno la medesima qualità di quelle che abbiamo sperimentato all’inizio. La matrice è uno “stampo”, qualcosa che resta invariato mantenendo la sua forma inalterata nel tempo e attraverso le diverse situazioni. Tuttavia, la matrice può essere soggetta a qualche cambiamento e modificazione anche se limitatamente agli aspetti marginali che la caratterizzano. Per esempio, i martelletti con le lettere delle vecchie macchine da scrivere (la mitica Lettera 22 di Montanelli) sono a tutti gli effetti delle matrici: la loro forma di ferro non si modifica nel tempo, tanto che la sagoma di ognuno dei caratteri può costituire un tratto di riconoscimento della singola macchina. Nonostante ciò, è possibile combinare ogni lettera in parole diverse, frasi, versi, parole d’amore o parole di odio, colori accesi come il rosso, o cupi come il nero. Insomma, ogni matrice contiene un tratto distintivo di stabilità e ripetitività nel tempo e margini di modificabilità che sono tanto più ampi, quanto più la matrice è ben funzionante. Così la capacità di costruire nuove e successive relazioni nell’arco della vita.

La qualità delle relazioni primarie ha quindi un impatto anche a lungo termine sul benessere della persona e un criterio centrale in questo è il grado di protezione sperimentato: essere stati protetti, essersi sentiti protetti, costituisce una base che John Bowlby ha definito sicurezza e che funziona come un fattore di salvaguardia di sé e di costruzione delle proprie relazioni. La percezione di sicurezza diventa infatti una caratteristica interna dell’individuo, viene interiorizzata e, in quanto tale, spinge a riprodurre condizioni simili, cercando relazioni sicure, in cui ci si sente accolti, compresi nelle proprie fragilità, protetti nei momenti di difficoltà. La sicurezza, inoltre, ci rende capaci di proteggere, di non minacciare, di far sentire l’altra persona al sicuro nella relazione, sia esso/a nostro/a figlio/a, un genitore, il/la nostro/a partner nella coppia. Viceversa, avere sperimentato un senso di pericolo nelle relazioni primarie è un’ esperienza che ci ha fatto sentire insicuri/e, non meritevoli di ascolto rispetto ai nostri bisogni, incapaci di ottenere protezione e quella sicurezza così confortevole e benefica. L’interiorizzazione di questa esperienza precoce, questa matrice relazionale insicura, può spingere le persone a non saper riconoscere da subito e adeguatamente le caratteristiche di protezione o di pericolo di una relazione che sta iniziando o in cui si trova, magari scambiando due polarità. Un esempio: il mio/la mia partner vuole sapere in ogni momento dove sono e cosa sto facendo. Qui si potrebbero aprire due scenari: nel primo scenario, mi sento protetto/a magari non comprendendo fino in fondo che questo tipo di richieste stanno sfociando in una forma di controllo nella relazione; nel secondo scenario, sento una sensazione di pericolo per tutta questa attenzione, anche per il fatto che non sto sottraendomi o fuggendo da essa, per cui le richieste dell’altra persona risultano davvero eccessive. Ovviamente, non si tratta della colpa di coloro che vivono questo tipo di confusione relazionale (la colpa a volte attribuita alle vittime) ma di un meccanismo, non l’unico, che occorre riconoscere per uscire dalla continuità.

Ancora, la mancanza di una sicurezza primaria può rendere la persona incapace o in difficoltà, a sua volta, nel fornire protezione all’altro, diventando fonte stessa del pericolo relazionale, attraverso comportamenti di mancata cura, di controllo, di aggressività, fino alla violenza, anche estrema. Non sempre si tratta di forme di pericolo esplicite o gravissime come quelle a cui stiamo assistendo massicciamente e ripetutamente, ma più spesso di pericoli relazionali sottili, impliciti, non espressi che, tuttavia, alterano il sistema della protezione che deve sempre caratterizzare le relazioni significative di ogni persona. Esempi possono essere le critiche continue alla persona in relazione intima, i comportamenti di minaccia al legame (sono indeciso/a rispetto ai sentimenti che provo per te), comportamenti di controllo (dimmi dove vai, con chi sei, quando torni …).

Questi meccanismi sono trasversali alle bambine, ai bambini, alle ragazze, ai ragazzi, alle donne e agli uomini perché intercettano l’intimità precoce dei legami di ognuno e descrivono processi che accadono prima e su piani diversi, ma complementari, rispetto alla costruzione dell’identità gruppale, sociale, culturale allargata di cui abbiamo già parlato, mescolandosi con essa fino alla distruttività e alla distruzione di se stessi e dell’altro nella relazione. 

Infatti, tutta la ricerca in quest’ambito riscontra ormai senza alcun dubbio che la presenza di protezione e l’assenza di pericolo è condizione fondante e fondamentale di relazioni significative che funzionino come base per la costruzione di nuove relazioni a loro volta prive di pericolo e improntate alla sicurezza e alla protezione: da un certo punto di vista, non c’è alternativa, la sicurezza interiorizzata favorisce la possibilità di riconoscere il pericolo relazionale e di evitarlo, perché dannoso, contrario alla cura, opposto al concetto stesso di relazione. La protezione interiorizzata consente anche di non essere fonte di pericolo nelle nostre relazioni e di costruirle riconoscendo l’altro, i suoi bisogni, il suo benessere. Questo è vero per tutte le relazioni significative ed è vero per le relazioni significative che sono anche intime, come nella coppia, in cui tali dinamiche entrano prepotentemente generando in alcuni casi le dinamiche dannose e di rischio su cui ci stiamo concentrando.

E allora, tutto scontato, ripetuto con poca possibilità di introdurre cambiamenti o miglioramenti?  Questo no, ma certamente la fatica è molta: le persone con basi poco solide in materia di pericolo/protezione nelle relazioni certamente possono avere difficoltà aggiuntive nella costruzione di “buone relazioni” proprio perché la loro matrice può confonderli, non essere così chiara, supportiva, univoca nel far loro riconoscere in se stessi e se stesse e nelle altre persone l’adeguata posizione di queste due polarità e la necessità assoluta di collocarsi sempre e comunque sull’asse della protezione ogni volta in cui stanno costruendo o abitando una relazione, qualunque relazione della loro vita. Costruire sicurezza per sé e per le persone della nostra vita è quindi possibile, in alcuni casi faticoso, spesso richiede grande impegno, perché non automatico, ma le strade esistono e sono percorribili. Qui anche la società svolge un ruolo fondamentale nel “correggere” quelli che a volte sono processi spontanei, appresi in parte, come abbiamo visto in questo articolo, dalle nostre relazioni primarie. Per questo la ricerca insiste sull’importanza di un’educazione affettiva e sessuale completa che educhi al rispetto e alla qualità delle relazioni, nella creazione di politiche lavorative che aprano alla diversità e all’inclusione.

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