SCIENZA E RICERCA

Una radiografia a muoni per studiare i ghiacciai alpini

Il principio alla base di una radiografia è molto semplice: una sorgente di raggi X viene sparata sul paziente e a seconda della densità dei materiali attraversati le particelle impressionano una lastra in modo differenziale, restituendo informazioni preziose sui tessuti.

La fisica delle particelle ha dato contributi fondamentali agli strumenti di diagnostica medica: si pensi alla Tac (Tomografia assiale computerizzata) o alla Pet (Tomografia a emissione di positroni). Una collaborazione interdisciplinare tra geologi e fisici dell'università di Berna, in Svizzera, ha ora pensato di applicare lo stesso principio per monitorare lo stato di salute dei ghiacciai alpini, utilizzando non i raggi X, ma i muoni provenienti dalla radiazione cosmica.

Siamo nella regione dell'Oberland Bernese, in Svizzera, e le immagini di queste suggestive montagne sono state documentate da un servizio di Superquark. Da nord a sud-ovest, uno in fila all'altro, svettano l'Eiger (3970m), il Mönch (4105m) e lo Jungfrau (4158 m). Poco più a sud-est il Finsteraarhorn (4274 m), la cima più alta delle Alpi bernesi. Dalle pendici dello Jungfrau si estende la lingua di ghiaccio più grande delle Alpi: una sella di 120 chilometri quadrati che scende verso valle fino a lambire il versante nord dell'Aletschhorn (4193 m), la seconda vetta delle cime bernesi.

Tra il Mönch e lo Jungfrau, a circa 3500 m, c'è la stazione ferroviaria più alta d'Europa. Un centinaio di metri più in alto si trova anche lo Sphinx, il più alto osservatorio astronomico del continente. La linea ferroviaria parte dal valico alpino di Kleine Scheidegg, circa 1500 metri più in basso, e gli ultimi 7 chilometri si inerpicano nello Jungfrau tunnel, scavato decine di metri sotto la roccia e sotto le nevi perenni del ghiacciaio. È qui che sono state collocate le lastre per la radiografia a muoni, che prende il nome di muografia o tomografia muonica.

“Quello che ci interessa è capire che cosa ci sia sotto lo strato di ghiaccio, che può essere spesso anche centinaia di metri. Vogliamo studiare il letto di roccia sotto al ghiaccio che in gergo noi chiamiamo bedrock”, spiega Antonio Ereditato, direttore del laboratorio per la fisica delle alte energie del centro per la fisica fondamentale intitolato a Albert Einstein dell'università di Berna. Tra gli importanti incarichi ricoperti dal Professor Ereditato, c'è stato anche quello di coordinatore di Opera, nei laboratori del Gran Sasso, esperimento che nel 2015 ha confermato sperimentalmente l'oscillazione del neutrino, un risultato importantissimo per la fisica fondamentale.

Intervista a Antonio Ereditato, direttore del laboratorio per la fisica delle alte energie, Alber Einstein Center for fundamental physics, Università di Berna

La ricerca di base, quella sui neutrini portata avanti nei laboratori del Gran Sasso, ha permesso di sviluppare dei rivelatori e delle tecniche di analisi che oggi trovano applicazione in geologia. “Nell'esperimento Opera abbiamo usato milioni di questi rivelatori per costruire un rivelatore per neutrini” spiega Antonio Ereditato. Le lastre della muografia, collocate nel tunnel sotto la montagna, sono rivelatori costituti da speciali pellicole fotografiche dette emulsioni. Sono tavole di sali di bromuro d'argento, che catturano i muoni che attraversano la roccia della montagna e il ghiaccio.

Quando la radiazione cosmica, composta principalmente da protoni, colpisce l'atmosfera terrestre, interagisce con i nuclei degli atomi che incontra e genera una cascata di particelle. Molte decadono o vengono assorbite, mentre sopravvive una pioggia di muoni: ogni minuto a livello del mare arriva un muone per centimetro quadrato.

Il muone è una particella fondamentale della stessa famiglia dell'elettrone. Ha una vita brevissima, un paio di microsecondi. Viaggia però a una velocità prossima a quella della luce ed è in grado di attraversare spessori molto grandi. Essendo carichi di energia, ne cedono una parte alla materia che attraversano e le emulsioni su cui atterrano registrano la traccia del percorso che hanno compiuto.

Proprio le tecniche messe a punto per lo studio di neutrini oggi permettono di accelerare il procedimento di scansione delle lastre al microscopio oltre che l'acquisizione e l'elaborazione dei dati al computer.

Ad oggi sono già stati compiuti due studi, uno sul ghiacciaio dell'Aletschhorn, e uno sul ghiacciaio dell'Eiger. Riguardo al primo studio “abbiamo imparato che la struttura della roccia sottostante è abbastanza ripida” commenta Ereditato. “Questa informazione è molto importante per determinare il futuro del ghiacciaio. Quando il riscaldamento globale produrrà una ancora maggiore riduzione del ghiacciaio, ci sarà un potenziale rischio di frane che potrebbe interessare la popolazione della valle”.

Il secondo studio invece, a una decina di chilometri dal primo, ha lavorato con tempi di esposizione più lunghi, “si parla di mesi di esposizione”, e ha trovato che è stato il ghiacciaio stesso a scolpire il letto di roccia su cui è collocato.

I dati raccolti con la muografia sono risultati molto più precisi di quelli ottenuti dai metodi convenzionali della geologia. “Questa tecnologia sta ormai diventando sempre più popolare” conclude Antonio Ereditato.Nata dalla ricerca fondamentale, adesso le applicazioni verranno sempre più numerose. Si sta pensando di applicarla in luoghi particolari, dove si incontrano vari ghiacciai. Sono punti in cui in un futuro temo non molto lontano con lo scioglimento dei ghiacciai si verranno a creare addirittura dei laghi”.

In geologia, la muografia viene già adottata in zone ad alto interesse sismico come il Giappone dove si stanno studiando i vulcani e i condotti in cui scorre la lava. Ma i benefici di questa innovazione ricadranno anche sulla società, con la possibilità di studiare strutture ingegneristiche come tunnel, ponti e dighe: “è una tecnica che avrà un grande futuro applicativo”.

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