Siamo in un momento di profonda concentrazione, immersi nei nostri pensieri o presi da un’incombenza che richiede una particolare attenzione. Improvvisamente un forte rumore ci risveglia, riportandoci alla realtà con uno spavento. Questa sensazione, che chiunque avrà sperimentato nella vita innumerevoli volte, può farci capire quanto le emozioni abbiano un ruolo fondamentale e quanti processi attivino a livello corporeo. Quando siamo spaventati il battito cardiaco accelera, il fiato si spezza e diventa corto, la sudorazione aumenta.
Il pensiero comune ritiene che sia il cuore la sede delle emozioni, mentre il cervello riguardi razionalità e processi cognitivi. In realtà, la scienza ha compreso da tempo che il cuore ha un ruolo ben preciso, che è quello di portare sangue, ossigeno e sostanze nutritive in tutto l’organismo; è il sistema nervoso, invece, che genera e regola le emozioni.
Ad avvalorare questa teoria, ormai ampiamente confermata da neurologi, psicologi e scienziati, è stato uno studio di recente pubblicato su Nature e realizzato da un’equipe di studiosi dell’università di Dartmouth.
La peculiarità di questa ricerca è che individua e separa le regioni del cervello che riguardano la produzione di emozioni da quelle che le regolano e le controllano. Regolare il proprio stato emotivo vuol dire essere flessibili, cambiare il proprio modo di vedere una situazione e quindi riadattare le emozioni che si provano a riguardo: come quando si riesce a non guardare esclusivamente l’aspetto negativo di un determinato evento, ma ci si concentra su stati emotivi diversi e più positivi. Gli studiosi hanno utilizzato uno scanner FMRI (una risonanza magnetica funzionale che valuta il lavoro di un organo o un apparato) per esaminare l’attività cerebrale di alcune persone mentre visualizzavano diverse scene. Inizialmente i ricercatori hanno mostrato loro un’immagine che normalmente suscita un’emozione negativa, come una scena sanguinosa o un animale spaventoso; successivamente, i partecipanti allo studio hanno dovuto ricontestualizzare l’immagine, provando a generare dei pensieri che la rendessero meno avversa. Infine sono stati posti di fronte ad un’immagine neutra e poi ad una positiva.
Questo studio ha consentito di individuare le parti del sistema cerebrale che sono più attive quando le emozioni vengono regolate, come alcune aree della corteccia prefrontale anteriore e specifiche zone della corteccia superiore, che intervengono anche nel pensiero astratto, nelle rappresentazioni a lungo termine del futuro ed in processi cognitivi complessi. Negli individui in cui queste regioni cerebrali sono più attive e funzionano meglio, eventi negativi e situazioni avverse hanno meno influenza, poiché queste persone riescono ad avere un maggiore controllo sul proprio stato emotivo.
“Questa ricerca, ha consentito di delineare più nettamente la distinzione tra due tipi di emozioni: quelle primarie, che noi condividiamo con altre specie e che vengono prodotte da aree sottocorticali del cervello, e quelle più complesse, che coinvolgono invece zone più corticali e processi associativi e cognitivi. Perciò, sono state meglio individuate le differenze e le relazioni tra queste due vie, una sottocorticale ed una più corticale”, afferma Daniela Perani, neurologa e radiologa dell’università San Raffaele di Milano.
Le emozioni primarie sono soprattutto quelle negative: si pensi alla paura, che è regolata da processi istintivi, sottocorticali, poiché quando si teme per la propria vita non si ha il tempo di pensare, ma si fugge istintivamente, a seguito di un’emozione rapida, improvvisa e incontrollata. Stati emotivi come la gioia, invece, richiedono processi cognitivi più complessi, che riguardano la corteccia superiore.
“Le emozioni sono poi regolate – continua Perani – dal sistema nervoso periferico. L’aumento del battito cardiaco, la sudorazione della pelle, l’arrossamento del volto, derivano dall’ippotalamo o dall’ipofisi, in quanto anche gli ormoni hanno un ruolo centrale nella produzione e nel controllo delle emozioni”.
Ma per quale motivo noi generiamo emozioni? Come spiega la professoressa, se noi siamo capaci di produrle è perché le riconosciamo, e questo è stato compreso negli anni novanta del secolo scorso da Giacomo Rizzolatti, con la sua teoria dei neuroni specchio. Si tratta di una classe di neuroni motori che si attiva involontariamente quando compiamo un’azione o ne osserviamo una compiuta da altri. Questi neuroni consentono la comprensione delle azioni e la condivisione delle emozioni altrui attraverso l’empatia; inoltre hanno un ruolo cruciale nell’apprendimento sociale tramite l’imitazione, sia nella prima infanzia che nell’età adulta. Negli individui in cui i neuroni specchio non svolgono correttamente il proprio ruolo si possono avere disturbi che influenzano la produzione e la regolazione delle emozioni, come la sindrome dello spettro autistico.
“Ci sono diverse alterazioni della struttura cerebrale che possono influenzare la nostra capacità di produrre o controllare le emozioni – afferma Perani – l’autismo, appunto, è dato da una differente architettura del cervello e da alterati sistemi biochimici. C’è poi l’alessitimia, ovvero l’incapacità di provare emozioni, che può dipendere da un cattivo funzionamento della migdala, fondamentale perché si collega sia con il sistema corticale sia con quello sottocorticale”.
Ad intervenire nella produzione e nella regolazione delle emozioni sono anche i neurotrasmettitori, sostanze chimiche che servono ai neuroni per comunicare tra di loro.
“Esiste una biochimica delle emozioni, poiché diverse sostanze intervengono per regolarle. Si pensi alla gratificazione, che è fortemente influenzata dal sistema dopaminergico. Quest’ultimo coinvolge strutture che vanno dal mesencefalo alla corteccia, quindi è un neurotrasmettitore le cui caratteristiche sono state ben identificate”, spiega Perani.
Anche lo studio di Nature si sofferma su questi aspetti. Infatti, dimostra come gli psicofarmaci intervengano proprio su queste sostanze chimiche, alterando il nostro approccio ad eventi e situazioni negative. In base alla ricerca, risulta fondamentale accompagnare cure di tipo strettamente medico con terapie psicologiche, per imparare da sé a regolare i propri stati d’animo e fare in modo che le cure abbiano effetti duraturi e a lungo termine.
Secondo Daniela Perani, questo studio aiuta a meglio identificare le regioni del sistema cerebrale che hanno un cattivo funzionamento, per intervenire con terapie specifiche ed adeguate ai singoli casi. è ovvio, però, che non ci sono linee guida fisse, in quanto l’approccio terapeutico dipende dalle peculiarità del singolo.
La grande quantità di studi e teorie in merito alle emozioni ed alla loro produzione, evidenzia il grado di interesse di cui sono oggetto. La sfera emotiva di ognuno è diversa e complessa, ed imparare a controllare e regolare tutti gli stati d’animo che ci sommergono ogni giorno risulta essenziale per dare un nome a ciò che si prova e comprendere se stessi. Inoltre le emozioni forniscono un apporto fondamentale nella relazione con l’altro ed aiutano a comprenderne il carattere: l’empatia è ciò che consente di creare profondi legami sociali, e senza di essa saremmo individui isolati e solitari. Perciò, l’impegno degli studiosi è sicuramente un aiuto fondamentale per muoversi tra le vie profondamente complesse dell’emotività umana.