CULTURA

Alla ricerca dei cieli neri

Irene Borgna, classe 1984, vince l'undicesima edizione del Premio "Mario Rigoni Stern per la Letteratura multilingue delle Alpi" con Cieli neri. Come l'inquinamento ci sta rubando la notte (Ponte alle grazie), riconoscimento che le giunge l'anno del centenario della nascita dello scrittore asiaghese e che aveva sfiorato anche due anni fa con Il pastore di stambecchi. Storia di una vita fuoritraccia, uscito sempre per lo stesso editore. La giuria del premio, quest'anno rinnovata (Luca Mercalli, Giuseppe Mendicino, Annibale Salsa, Sara Lucchetta), è stata praticamente unanime nel conferire il premio alla giovane antropologa liguro-piemontese che in questa sua nuova fatica mette insieme una profonda sensibilità per il viaggio, per l'ambiente ma anche uno spiccato talento per il racconto di vita e la riflessione filosofica. La motivazione con cui è stata premiata infatti recita: “Almeno in una delle prossime notti di questo luminoso autunno usciamo a guardare il cielo”. Così scriveva Mario Rigoni Stern nel racconto Riaccendiamo le luci in cielo. Irene Borgna ha raccolto il suo invito, cercando in Italia e in Europa spazi notturni liberi dall’invadenza degli uomini. In Cieli neri ripropone, con stile vivace e scorrevole, il tema dell’inquinamento luminoso e della perduta bellezza dei cieli stellati. Il suo viaggio in cerca di notti vere, silenziose, illuminate solo dalle costellazioni, segue un lungo percorso tra Val Bavona, Stiria, Baviera, Renania, per concludersi lì dove era iniziato, nelle Alpi Occidentali, tra il Vallone dell’Arma e l’altipiano della Gardetta, le sue montagne del cuore. Non ci sono rimpianti per tempi lontani, c’è il desiderio di riprenderle e conoscerle quelle notti, in compagnia di Cassiopea e dell’Orsa Maggiore, in una solitudine senza solitudine. Quel "buio fuori", sosteneva Rigoni Stern, potrebbe accendere la "luce dentro".

1. Irene, qual è il senso di cercare i "cieli neri"?

Di sensi di viaggio ce ne sono diversi, quando la meta sono i "cieli neri". Per chi non li ha mai visti, è una caccia al tesoro: se si ha la fortuna di trovarlo per davvero, un cielo ancora relativamente intatto, un firmamento a tre dimensioni, allora si può star certi di tornare a casa diversi, trasformati dall'esperienza, più ricchi. Per chi, come il mio compagno e me, è invece cresciuto viziato dagli astri ancora generosi sulle Alpi, a muoverci è stata piuttosto l'urgenza di capire che cosa minacciasse la notte buia e quali sono gli strumenti a disposizione per salvarla. Ma ha giocato la sua parte anche la curiosità di scoprire le storie dei luoghi che hanno saputo conservare un cielo relativamente integro quando tutto il mondo, da un secolo a questa parte, sembra avvampare di luce sempre più intensa tramonto dopo tramonto.

2. I luoghi meno colpiti dall'inquinamento luminoso hanno una loro riconoscibiltà (un pattern, delle caratteristiche antropologiche/sociali diverse, oltre che ovviamente ambientali)?

Il minimo comune denominatore di tutti questi luoghi è quello di essere scarsamente o per nulla abitati e di essere privi di insediamenti industriali e commerciali importanti. Invece le motivazioni geografiche, storiche, sociologiche del perché un posto sia stato snobbato dal boom economico, sia rimasto deserto o si sia spopolato sono diverse per ciascuno. La montagna "povera" e scomoda, dove non sono arrivate grandi stazioni sciistiche, oppure le zone umide sono le classiche aree depresse agli occhi di un'economista, che si rivelano in compenso favolose per la notte e per la natura. Così si sono salvate le stelle delle Alpi di Cuneo nelle valli Grana e Maira e la notte nel Parco di Westhavelland a ovest di Berlino, nel Land di Brandeburgo. Anche i luoghi di confine (fra Stati, fra Länder, fra terra e mare) sono posti problematici per gli insediamenti e per questo promettenti per il cielo. Qui capita che qualche amministratore progetti vaste aree di esercitazione militare che quando non sono attive sono ottimi rifugi per gli animali e culle per le stelle.  Ancora, si possono distinguere cieli "neri per caso", rimasti tali nonostante nessuno si sia speso per difenderli, e cieli la cui oscurità è attivamente tutelata e promossa da qualche visionario concreto, che si spende da anni per la difesa delle stelle: questo è il caso, per esempio, della prima riserva del cielo stellato riconosciuta dall'International Dark Sky Association in Baviera, del Parco di Westhavelland, dell'osservatorio dell'astronomo Harry Bardenhagen nel Parco Nazionale dell'Eifel. In tutti questi contesti una persona particolarmente in gamba e sufficientemente cocciuta è riuscita a convincere residenti e amministratori della bellezza e – ebbene, sì – anche dell'utilità della notte buia, convincendo gli uni e gli altri ad adottare sistemi di illuminazione più ecologici, economici e meno invadenti.

3. Hai scritto un reportage o una guida di viaggio per invitare il lettore a provare un'esperienza di questo tipo, o per quale ragione?

Questo libro è un ibrido fra un libro di viaggio, un reportage e una narrazione di formazione. Da un lato, infatti, è il diario di un itinerario reale attraverso l'Europa – dalle Alpi Marittime al Mare del Nord –, un percorso ripetibile da chiunque e anche perfettibile (ci sono moltissimi altri cieli scuri pari e migliori rispetto a quelli che abbiamo scelto durante le nostre ferie, in un gioco di caso e necessità). Dall'altro lato Cieli neri descrive anche un viaggio teorico fra scienza e letteratura di scoperta del buio, della sua bellezza e della sua importanza. Al momento della partenza il livello di consapevolezza mio e del mio compagno rispetto al problema dell'inquinamento luminoso era vicinissimo allo zero: a dire il vero, eravamo ignoranti come pantofole! Alla fine del viaggio, dopo aver letto molti libri e articoli scientifici, al termine di una maratona di interviste con astronomi, illuminotecnici e naturalisti abbiamo finalmente capito che il furto della notte riguarda ciascuno di noi, non è solo una fissa di quattro scienziati in croce e di un manipolo di nerd appassionati di stelle. Siccome ho un'antipatia tutta speciale per i saccenti, ho cercato di raccontare quanto imparato nel modo meno molesto e arrogante possibile, per raggiungere tutti i lettori sensibili alle tematiche ambientali e alla montagna (il profilo degli affezionati alla collana "Passi" di Ponte alle Grazie-CAI) senza farli morire di noia prima di pagina quattordici. Spero di esserci riuscita, o almeno di aver fatto un buon tentativo, perché altrimenti mi toccherebbe fare harakiri per la vergogna.

4. Che "voce narrativa" hai scelto e perché?

Ho scelto l'io narrante (spesso un "noi narranti") perché mi sembrava l'opzione più immediata ed efficace per caricare i lettori sul furgone e farli viaggiare insieme a noi  alla ricerca dei cieli stellati. Così è sempre fianco a fianco che procediamo, autrice e lettori, nella scoperta progressiva dei "doni della notte"

5. Quanto di irreversibile c'è, secondo la tua sensibilità da antropologa, nei processi ambientali/sociali/informatici cui vanno soggetti l'umanità e il pianeta di questi tempi? Come ti poni riguardo "le magnifiche sorti e progressive"?

Dunque, lungimiranti come siamo a livello di specie (noi sapiens ce la tiriamo tanto ma alla fine siamo delle scimmie che fanno una fatica dell'accidente a concepire e a gestire le conseguenze a lungo termine delle nostre azioni) credo che ci decideremo a fare qualcosa solo quando la crisi climatica ci presenterà il conto, come peraltro sta già facendo. Non si può dire che giocare d'anticipo sia una nostra specialità, quindi quando sarà il momento di pagare il conto alla Terra e scopriremo di aver le tasche vuote, cercheremo tutti i modi per ragranellare soldi ed energia: illuminare in modo intelligente è uno di questi modi, e vorrà dire che come effetto collaterale magari torneremo a vedere le stelle.  Per quanto mi riguarda sono una pessimista incoerente, altrimenti non avrei messo al mondo un figlio due mesi scarsi fa: siamo messi male come specie (va da sé che il pianeta e l'universo intero di noi se ne fregano), ma proprio per questo non dobbiamo lasciarci stare e dimostrare che questo cervello ipertrofico che ci troviamo in testa a qualcosa serve, trovando risposte alla crisi climatica e alle ingiustizie sociali. Ogni volta che guardo il piccolo Martino mi dico che voglio essere parte della soluzione e non del problema, e cerco di darmi da fare.

Almeno in una delle prossime notti di questo luminoso autunno usciamo a guardare il cielo Mario Rigoni Stern

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