SCIENZA E RICERCA

Alla ricerca del sé

La rivoluzione copernicana è stato un momento storico cruciale non solo per il progresso scientifico e astronomico, ma anche dal punto di vista sociale e culturale. Che fine aveva fatto l'uomo come centro e scopo ultimo di tutte le cose? Ecco allora una dimostrazione di come i mutamenti di paradigma nella scienza provocano mutamenti nella coscienza generale degli uomini. Ed era solo l'inizio. Di questo si parla in un recente articolo di Nature, scritto da Nathaniel Comfort, professore di storia della medicina alla Johns Hopkins University di Baltimora.

La tesi di fondo, come ci fa notare il professor Antonio Da Re, docente di bioetica all'università di Padova, è che “ vi sono identità plurali, la cui rappresentazione non è opera solo della scienza”. L'articolo di Comfort ripercorre le tappe fondamentali del mutamento nella percezione dell'identità umana, a partire dagli studi di Charles Darwin e in generale dall'Illuminismo, il momento storico in cui gli studi sulla natura, sull'uomo e sul sapere umano vanno intensificandosi e acquisendo un valore sempre più significativo.

È allora che viene inequivocabilmente confermata la connessione tra esseri umani e animali, e che la scienza diventa l'unico sapere in grado di rispondere a quella che secondo il filologo britannico Thomas Henry Huxley era la domanda delle domande: “qual è il posto dell'uomo nella natura e quale la sua relazione con l'universo delle cose?”

La risposta era destinata a cambiare nel corso dei successivi decenni. Ripercorrendo quindi le tappe principali di questa storia, l'autore dell'articolo sostiene che dal momento in cui è stato teorizzato il QI da Alfred Binet a inizio Novecento, questo è andato via via trasformandosi, passando dall'essere un criterio per misurare le capacità intellettive a uno strumento per valutare la persona in toto; così facendo, la diagnosi che veniva data al paziente, gli associava un'etichetta che finiva per stigmatizzarlo. Le teorie immunologiche degli anni Cinquanta hanno poi dipinto la lotta contro le malattie come una battaglia tra il (il soggetto sano) e il non-sé (il soggetto malato), per cui nel momento in cui qualcuno si ammalava, ciò significava che in lui c'era una crisi di identità in atto. Lo studio della genetica, in seguito, portò a concepire il DNA come “il codice della vita”. Questo significa che a partire dagli anni Sessanta l'uomo iniziò ad essere visto come un soggetto che poteva essere costruito e manipolato come una macchina, secondo schemi e diagrammi. Nel corso degli anni Settanta iniziò un dibattito etico molto acceso, a partire dall'ingegneria genetica e dalla clonazione (dopo la pecora Dolly e la prima bambina nata dalla fecondazione in vitro). Erano molti i critici che si schieravano fermamente contro il determinismo biologico, la concezione secondo la quale gli esseri umani sono il loro DNA, e contro il presunto diritto dell'uomo di “creare” la vita. Con il passare dei decenni, iniziò ad affermarsi l'idea della “medicina personalizzata”, nel senso che, proprio perché il DNA di ognuno è unico, potevano essere proposti medicinali, cibi e ogni genere di prodotto di mercato costruito a partire dallo studio dei geni di una persona, rafforzando la tesi che i suoi bisogni e le sue caratteristiche coincidessero interamente con il DNA.

Procedendo verso i giorni nostri, Comfort afferma che l'idea che la nostra identità risieda nel nostro codice genetico non è più verosimile. I confini diventano “sfumati”, perché ci si accorge che “il sé non comprende solo il sé”. Cosa vuol dire questo? Che nei nostri organismi ci sono batteri, e componenti “altri” che non sono noi, sono “altro da noi”, ma ci compongono. Ecco che allora il DNA non è più la nostra carta di identità, ma piuttosto una base, a partire dalla quale si può aggiungere altro. Entra quindi in campo la questione del potenziamento umano. Il sé diventa qualcosa che si può modificare, migliorare e ampliare, e al quale si possono aggiungere elementi artificiali che diventano anch'essi parte del sé.

“Gli studi cellulari e molecolari hanno rilassato i confini del sé. Tecnologia riproduttiva, ingegneria genetica e biologia sintetica hanno reso la natura umana più malleabile, l'epigenetica e la microbiologia complicano le nozioni di individualità e autonomia, e la biotecnologia e la tecnologia dell'informazione suggeriscono un mondo in cui il sé è distribuito, disperso, atomizzato. Le identità individuali, radicate nella biologia, forse non hanno mai avuto un ruolo maggiore nella vita sociale, anche se i loro limiti e parametri diventano sempre più sfocati”.

N. Comfort, How science has shifted our sense of identity, Nature 574, 167-170 (2019)

Nel corso della storia, l'uomo ha avuto in mano strumenti in grado di provare l'uguaglianza di tutti gli uomini e di portare avanti un progresso tale da riportare questa uguaglianza anche a livello sociale. Tuttavia, secondo l'autore, lo scientismo, cioè la concezione secondo la quale tutto è riducibile a una legge scientifica e che quindi la scienza possa risolvere qualunque problema, ha spesso reindirizzato le conoscenze acquisite grazie all'indagine scientifica con risultati spesso preoccupanti (come ad esempio lo studio dei geni rivolto all'eugenetica).

La posizione intellettuale di chi ritiene l'indagine scientifica l'unico strumento in grado di comprendere la realtà e considera indegne di valore le altre forme di sapere trova la sua origine nel secolo dell'Illuminismo, a partire dalla corrente filosofica del positivismo. Lo scientismo, quindi deriva dai valori illuministi quali il trionfo della razionalità e il rifiuto di attenersi a dogmi imposti dalle autorità religiose. Dall'altro lato però, nel momento in cui questa concezione della realtà viene estremizzata, si corre il rischio di dogmatizzare proprio la tesi secondo cui l'indagine scientifica sia l'unica strada in grado di dirci chi siamo.

Alla base di tutto questo, però, resta sempre la domanda di Huxley. Fermarsi a una concezione scientista per rispondere al suo interrogativo può diventare però molto pericoloso, perché viene così ignorato il ruolo sociale e il bagaglio di esperienza personale che ognuno ha, riducendo l'identità alla costituzione biologica. Ma questo, a quanto pare, non è l'unico finale della storia.

“Aggiungerei anche che la rappresentazione scientifica, in sé e per sé considerata, forse a volte è sovrastimata: molte mode naturalistiche, come l'attrazione per le cosiddette medicine alternative o il 'sospetto' verso i vaccini, e le teorie complottistiche sembrano astrarre da rappresentazioni scientifiche e anzi le contrastano apertamente. Insomma, forse la nostra auto-comprensione in forza del progresso scientifico è meno rilevante di quanto crediamo”, commenta il professor Da Re.

Dunque l'evoluzione del sé nel corso della storia ha avuto ai suoi estremi due ripercussioni sulla coscienza diametralmente opposte. Il totale rifiuto della scienza oppure un arido riduzionismo biologico che rischia di mettere da parte le circostanze specifiche in cui il sé si sviluppa.

Eppure ci deve pur essere un modo di vedere la realtà che non ricada in qualsiasi forma di estremismo, continuando ovviamente ad avere fede nel progresso scientifico ma senza arrenderci all'idea che la nostra identità sia interamente riconducibile a cause materiali.

La domanda delle domande di Huxley, quindi, non ha una risposta semplice, e la sua complessità, per cercare di essere sciolta o quantomeno compresa, ha bisogno senza dubbio degli strumenti inestimabili che il progresso scientifico e biologico ci fornisce, ma senza mettere da parte la ricerca dell'identità dell'uomo attraverso lo studio di altre discipline, come l'arte, la storia, la filosofia; e cercando il proprio sé facendo tesoro di ciò che si impara giorno per giorno, tenendo in considerazione il bagaglio di esperienze personali e degli ideali etici e morali che guidano l'agire quotidiano.

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