SOCIETÀ

Ridurre l’ecoansia: le azioni individuali nutrono la speranza e favoriscono l’adattamento

Si rivolge al ministro dell'Ambiente e non riesce a trattenere le lacrime. "Soffro di ecoansia. In questi giorni la mia terra brucia. Sta bruciando tutto". Giovane attivista, Giorgia interviene all'ultimo Giffoni film festival dichiarando di temere per il suo futuro e chiede a Pichetto Fratin: "Lei non ha paura?". Il termine è da tempo entrato a far parte del nostro vocabolario: per ecoansia si intende "la profonda sensazione di disagio e paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali - riporta Treccani -. In ambito psicologico, da qualche anno a questa parte si è iniziato a parlare di ecoansia per riferirsi a forme sub-cliniche di inquietudine, senso di colpa e depressione suscitate dal pensiero del cambiamento climatico e di altre criticità ambientali". Negli Stati Uniti esistono realtà come la Climate-Aware Therapist Directory, una rete di professionisti specializzati in impatti del cambiamento climatico sulla salute mentale, e il Good Grief Network, organizzazione senza scopo di lucro che crea comunità per metabolizzare l'ecoansia e mitigare i sentimenti di isolamento e impotenza. Della nascita di queste reti si legge sul New York Times, grazie alla testimonianza di Alina Black, madre di due figli a Portland, nell'Oregon, che ha cercato un terapista per curare la sua crescente ansia climatica.

Un'indagine globale sull'ansia climatica nei bambini e nei giovani, con un focus sulle loro opinioni in merito alle risposte del governo ai cambiamenti climatici, pubblicata alla fine del 2021, fa luce su alcuni aspetti interessanti. Diecimila partecipanti di età compresa tra 16 e 25 anni da dieci Paesi del mondo (Australia, Brasile, Finlandia, Francia, India, Nigeria, Filippine, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti) sono stati invitati a compilare un sondaggio da cui sono emersi livelli di ansia che oggi, alla luce degli ultimi eventi catastrofici, risultano senza dubbio aumentati. Quel 59% di grande preoccupazione e un 84% di moderata preoccupazione sono percentuali che ora potremmo pensare di invertire perché, tra alluvioni, trombe d'aria, temporali devastanti e incendi, l'ansia è salita alle stelle. Triste, ansioso, arrabbiato, impotente, indifeso e colpevole, così si definivano gli intervistati e il 75% aveva dichiarato di immaginare un futuro spaventoso. Aggiungiamo che “le inadeguate risposte governative ai cambiamenti climatici portano a nutrire maggiori sentimenti di tradimento che di rassicurazione". Un quadro in cui, già da tempo, si inseriscono le proteste e le azioni del movimento Fridays for Future.

La costante paura e la sensazione di essere stati abbandonati portano i giovani a sentirsi soli di fronte alla catastrofe. L'attivismo e l'attenzione alla collettività possono aiutare a sentirsi meno inermi e senza scampo. L'ha ribadito la filosofa Maura Gancitano di Tlon, in un recente intervento video per Metropolis - La Repubblica, riferendosi alle giovani generazioni. "Quando si parla di crisi climatica si parla di ansia ma anche di impegno: significa andare oltre i propri interessi personali e occuparsi di qualcosa di collettivo per dare un senso alla vita".

Non solo. Le azioni condivise sono fondamentali ma lo sono anche quelle individuali. L'articolo dei canadesi Fyke e Weaver, pubblicato su Nature a fine febbraio scorso, dal titolo Reducing personal climate risk to reduce personal climate anxiety, sposta il punto di vista. "L'ansia climatica, che riflette le preoccupazioni per gli impatti negativi dei cambiamenti climatici, sta crescendo. La pianificazione e l'azione sui rischi climatici specifici individuali potrebbero essere un modo per ridurre l'ansia climatica personale".

Si legge: "L'ansia climatica era presente prima dell'estate del 2021 ma è aumentata notevolmente". Le azioni per ridurre il rischio di future condizioni climatiche incerte sono l'essenza dell'adattamento. Non solo buone pratiche e comportamenti virtuosi condivisi, legati per esempio a lezioni di consapevolezza, consumi moderati e gestione responsabile dell’impatto sull’ambiente, ma anche piccoli interventi personali, che possono contribuire a mettere in sicurezza se stessi e a superare le proprie paure. Qualche esempio: una persona che vive in un’area a rischio alluvioni può attuare un piano domestico per evitare danni irreparabili, per prima cosa banalmente spostando oggetti di valore su scaffali più alti. Un individuo particolarmente preoccupato per la futura sicurezza alimentare legata alla siccità potrà iniziare ad apprendere e applicare le tecniche dell'orto urbano. E così via. Piccole azioni concrete, adattate alla propria quotidianità e alle necessità, legate alle esperienze di vita di ogni individuo. “Chiaramente nessuno da solo può pensare di poter ridurre significativamente il rischio climatico individuale né può affrontare direttamente i rischi per gli altri. Tuttavia, ciascuno può dare un contributo per un nuovo livello percepito di riduzione del rischio personale”.

Il 29 giugno scorso, sempre su Nature, viene pubblicata la lettera Reducing personal climate anxiety is key to adaptation, a commento dell'articolo sopracitato, firmata da Colette Mortreux, Jon Barnett, Sergio Jarillo  e Katharine H. Greenaway dell'Università di Melbourne in Australia. Qui viene aggiunta una parola chiave: speranza. "Le azioni personali per ridurre il rischio di cambiamento climatico possono non solo ridurre l'ansia ma anche catalizzare elevate percezioni di autoefficacia e speranza, che a loro volta consentono un'azione collettiva di adattamento". E gli autori continuano: "Jeremy Fyke e Andrew Weaver sostengono che intraprendere azioni personali per adattarsi al cambiamento climatico riduca l'ansia climatica. Basandosi sulle teorie delle scienze cognitive e sull'esperienza clinica, suggeriscono che la riduzione dell'ansia climatica personale potrebbe favorire l'adattamento. Concordiamo pienamente" e a queste considerazioni aggiungono una ulteriore riflessione: "È dimostrato che le azioni personali non solo hanno benefici sulle emozioni negative ma possono anche nutrire la gemella buona dell'ansia: la speranza. Promuovendo la speranza, le azioni per il clima a livello personale hanno il potenziale di catalizzare un'elevata percezione di autoefficacia collettiva e una condivisa azione di adattamento". 

"La speranza è uno stato in cui si crede che un risultato positivo sia possibile - spiegano Mortreux e colleghi -. I fattori necessari affinché questa fiorisca sono la conoscenza di come raggiungere tale risultato (ad esempio, pianificare e agire sui rischi climatici) e un senso di autoefficacia nel raggiungerlo. Le evidenze della letteratura psicologica più ampia trovano forti relazioni tra la speranza e il benessere, tra la speranza e le motivazioni ad agire, anche nei confronti del cambiamento climatico [...] In altre parole, l'adattamento personale può aiutare a controllare l'ansia climatica favorendo la speranza climatica. In un ciclo continuo l'azione di adattamento genera maggiore autoefficacia, che alimenta la speranza e a sua volta consente ulteriori azioni di adattamento. Nella misura in cui questi cicli si perpetuano a livello individuale, dovrebbero estendersi a livello collettivo: più persone sperimentano la speranza, più persone saranno motivate a unirsi a movimenti di gruppo per affrontare il cambiamento climatico a livello sociale". 

In conclusione, "i progressi globali di adattamento ai cambiamenti climatici rimangono lenti e l’obiettivo sembra lontano. Tuttavia, se è vero che i piccoli adattamenti personali riducono l'ansia e danno speranza, allora gli interventi che avviano l'adattamento o che informano le persone sui modi più semplici per adattarsi possono catalizzare un circolo virtuoso tra adattamento, benessere, autoefficacia e speranza. Questi cicli, nel tempo, possono diventare un processo che si rafforza spingendo a un adattamento più profondo e mirato".


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