CULTURA

Risplendono di nuova luce antichi tesori al Santo

Volti rosei, morbidi incarnati, gli occhi chiari e taglienti. Sono Cosma e Damiano, santi medici dal colletto rigido su tuniche eleganti e copricapi in vaio e, stretto in mano, il vaso degli unguenti. Sono due delle quattro figure di santi che finalmente rivivono sulle pareti affrescate della Basilica del Santo: a ridonare leggibilità a queste figure è stato un recente restauro, che ha consentito anche di dare con verosimiglianza un nome all’artista. Gli studi, ancora in corso, sono condotti e coordinati da Cristina Guarnieri, professoressa del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova.

A Cosma e Damiano si affiancano altre due immagini di santi, dei quali uno è sicuramente san Bartolomeo, riconoscibile dal profilo del coltello stampigliato sull’intonaco. Questo gruppo affrescato rappresenta il registro inferiore dei due sovrapposti e collocati a sinistra del varco d’accesso alla cappella della Madonna Mora, luogo negli ultimi anni alla ribalta artistica per l’attribuzione a Giotto delle figure ai lati della statua della Madonna con il Bambino opera di Rinaldino di Francia. Sono di una bellezza straordinaria i giotteschi Profeti Isaia e Davide, nascosti dietro l’altare e a una grata, quasi invisibili. A farne la straordinaria “scoperta” nel 2015 è stato lo storico dell’arte Giacomo Guazzini, ritornato quest’anno alla Basilica del Santo a spalancare un nuovo capitolo della storia dell’arte a partire dall’intervento di Giotto nella Cappella di Santa Caterina.

I recenti restauri hanno consentito a Cristina Guarnieri di leggere con precisione il registro inferiore dell’affresco e di riconoscere la mano di Stefano di Benedetto da Ferrara come quella che ha dipinto i quattro Santi. L’artista aveva lavorato nella basilica proprio nella contigua cappella dell’Arca, dopo che il corpo del Santo vi fu trasferito nel 1350, dipingendo le scene con i miracoli della sua vita.

In tutta l’area della parete che sta sopra i quattro Santi, su uno strato di intonaco posteriore, si distende invece un’imponente, anche se frammentaria, Madonna in trono con il Bambino. I lavori di restauro hanno consentito di riportare alla luce l’intera composizione, incentrata sulla struttura gotica fiorita del trono. Cornici decorative alternano settori ornati con elementi vegetali e medaglioni racchiudenti ritratti di imperatori romani, di cui ne sopravvive integro solamente uno, colto di profilo. Sotto è tornata leggibile una data che colloca la pittura intorno al 1410. “L’autore è dubbio – sottolinea Guarnieri – ma è sicuramente un eccellente pittore che sa cogliere le novità portate da Gentile da Fabriano e che convenzionalmente chiamiamo Maestro di Roncaiette”.

Oltre che sui tesori della cappella della Madonna Mora, gli ultimi studi si sono concentrati anche nella Sala del Capitolo, e in particolare sulla parete in cui sono venute alla luce, già prima del 1900, due porzioni di intonaco che rivelano i frammenti di una crocifissione, con ogni probabilità eseguita da Giotto e oggi “seppellita” da un intervento pittorico seicentesco.

Fra dicembre 2017 e aprile 2018 sono infatti state effettuate numerose analisi diagnostiche nell’ambito di un progetto multidisciplinare volto a verificare lo stato di conservazione degli affreschi e degli intonaci presenti. Il lavoro è stato svolto sulla base di una convenzione fra la Veneranda Arca di S. Antonio e il Centro interdipartimentale di ricerca per lo studio dei materiali cementizi e dei leganti idraulici (CIRCe) dell’Università di Padova.

Il progetto, spiega Gilberto Artioli, direttore del CIRCe, ha indagato sia le superfici visibili trecentesche sia quelle coperte dall’intonaco. “Queste ricerche sono state effettuate mediante tecniche diagnostiche di assoluta avanguardia, capaci di penetrare a varie profondità sotto gli strati superficiali. Ci siamo serviti per la prima volta di strumentazioni totalmente innovative, non ancora disponibili in Italia e importate qui da diverse sedi europee.”

Ipotizzando, a partire dai due frammenti, quale potesse essere la struttura della crocifissione e la posizione della figura di Cristo crocifisso, le indagini si sono concentrate sulla parte alta della parete, in corrispondenza di uno stemma francescano seicentesco. Lì si è individuata la zona riferibile all’aureola della testa del Cristo in croce, grazie all’assunzione, come modello spaziale per la possibile distribuzione delle figure, della crocifissione giottesca del convento di S. Croce di Rimini.

“Le indagini geognostiche effettuate in profondità sulla muratura hanno mostrato inoltre che non c’è nessuna evidenza di aperture o tamponamenti che possano far pensare alla rimozione dell’affresco originale per fare spazio a porte, finestre, o passaggi architettonici” aggiunge Artioli. Le indagini effettuate con interferometria laser (DHSPI) hanno poi mostrato che in numerosi punti le porzioni visibili di affresco si estendono con continuità al di sotto dell’affresco seicentesco. “È stato dunque possibile concludere che con buona probabilità esistono ampie porzioni dell’affresco giottesco da recuperare sotto lo strato superficiale”.

Al progetto, parzialmente finanziato dal Centro CIRCe, hanno collaborato ricercatori che fanno parte del centro e della infrastruttura Europea Iperion CH (Molab) per quanto riguarda le tecniche diagnostiche sulle pitture e gli intonaci, dell’Istituto Cnr-Isac (unità di Padova) per quanto riguarda il monitoraggio e le misure ambientali, e del dipartimento di Beni culturali di dell’Università di Padova per quanto riguarda le indagini geofisiche e multispettrali.

“Come luogo giottesco, e non solo, il Santo entra dunque con rinnovata forza nella candidatura di Padova a patrimonio Unesco come urbs picta” rileva Giovanna Balidissini Molli, presidente della Veneranda Arca di Sant’Antonio.

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