SCIENZA E RICERCA

Il ritorno del castoro in Italia

Erano secoli che i castori non si vedevano lungo le sponde del fiume Volturno, tra Molise e Campania, eppure da qualche settimana la loro presenza è stata accertata anche qui. Dopo quasi 500 anni di assenza, il castoro europeo (Castor fiber) sta tornando a ripopolare l’Italia: dalle Alpi friulane al casertano. Tuttavia, il suo ritorno lungo l’Appennino non è un ritorno naturale: piuttosto sembra essere il frutto dell’opera di un “rilasciatore seriale” di castori.

Il primo castoro a metter di nuovo zampa in Italia è stato Ponta, così soprannominato in onore di Renato Pontarini, ricercatore del Progetto Lince Italia che ne ha seguito le tracce fin dal primo avvistamento. «Ponta è arrivato nel 2018 a Tarvisio, in Friuli e ad oggi sembra essere ancora solo. Poi nel 202o è stato il turno della Val Pusteria, in Alto Adige» spiega a Il Bo Live Emiliano Mori, zoologo esperto di conservazione dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IRET), che da anni segue i castori italiani. «Questi castori, in tutto 2-3 esemplari, con tutta probabilità sono arrivati dall’Austria in modo del tutto naturale, forse dalla Carinzia, dove viene portato avanti un progetto di reintroduzione. E hanno segnato lo storico ritorno del più grande roditore d’Europa, in un Paese dove era scomparso da quasi 500 anni» continua Mori.

Prima del 2018, infatti, i castori in Italia non si vedevano dal 1541: sono stati cacciati fino all’estinzione, come del resto è successo in quasi tutt’Europa. La loro folta pelliccia veniva utilizzata per copricapi e pellicce, mentre la carne era considerata alla stregua del pesce e quindi commestibile anche durante la quaresima. Inoltre, sin dal tempo dei Romani, questi roditori acquatici erano ricercatissimi per il castoreo: un secreto ghiandolare oleoso e giallognolo, utilizzato come rimedio (del tutto inefficace) per curare il mal di testa e l’isteria, e per produrre profumi. Ed è così che sul finire del Seicento, gli ultimi castori europei vivevano solo in Polonia, Bielorussia e Norvegia. Ma negli ultimi anni, complici leggi e direttive europee che li tutelano e i numerosi progetti di rewilding, i castori vivono momenti migliori: ce ne sarebbero oltre 600.000 in tutt’Europa e la loro popolazione è in crescita.

«Dal 2021, però, sono cominciati a comparire castori in tutto l’Appennino: sul fiume Ombrone, tra le province di Siena e Grosseto; lungo l’Aterno, in Abruzzo. E ancora tra Arezzo e Perugia, lungo il Tevere. E adesso anche sul Volturno» prosegue Mori. Anche tra le province di Isernia e Caserta, la scoperta si è ripetuta sempre con le stesse modalità: qualcuno ha avvistato le prime rosure (il tipico rosicchiamento della base degli alberi, effettuato dal castoro), poi è arrivato il video. In questo caso, la fototrappola piazzata da Angelo Casciano e Gianmarco Cimorelli dell’Associazione Amici del Volturno e dal naturalista Giovanni Capobianco dell’Associazione Ardea, la notte del 25 marzo ha immortalato un castoro sulle sponde del fiume che dopo pochi secondi si tuffa in acqua, nuotando velocemente via.

«Oggi in tutt’Italia vivono circa 50 castori, compresi i primi arrivati naturalmente dall’Austria. Per quanto riguarda i castori ritrovati lungo l’Appennino, invece, con tutta probabilità si tratta di rilasci non autorizzati» specifica Emiliano Mori. «Sono nuclei sparuti, molto distanti gli uni dagli altri, senza alcun segno di presenza nelle zone intermedie, e lontanissimi anche dalle zone in cui nel resto d’Europa ci sono progetti di reintroduzione di castori».

Qualcuno, dunque, deve aver liberato castori europei lungo l’Appennino, da nord a sud, riportando questo roditore semiacquatico a ricolonizzare quello che era il suo areale storico mezzo millennio fa. «Dal 2021, abbiamo rilevato i segni di presenza di questi animali tra la Toscana il Lazio e l’Abruzzo, abbiamo esaminato le rosure, posizionato fototrappole, raccolto i ciuffi di peli rimasti attaccati alle spine dei rovi lungo gli argini e cacche, per condurre le analisi genetiche» spiega Mori, che ha lavorato in questi anni con il collega del CNR-IRET Andrea Viviano, con Giuseppe Mazza, del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria Difesa e Certificazione (CREA), e con i tecnici faunisti Chiara Pucci e Davide Senserini. «Le fatte di questi animali sono davvero tipiche: hanno le dimensioni di un profiterole e sono piene di materiale vegetale. Con le analisi genetiche condotte su questi materiali, siamo stati in grado di escludere la fuga di esemplari dagli zoo e presto avremo i risultati delle analisi anche per la segnalazione lungo il fiume Volturno».

Chi sia l’autore, o l’autrice dei rilasci, e da dove provengano i castori liberati non è dato sapere. Di certo i castori sono stati liberati in aree e fiumi compresi nell’areale storico della specie e che ancora mantengono un buon grado di naturalità. Onde evitare false segnalazioni, è bene chiarire che non vanno confusi con le nutrie (Myocastor coypus), altri roditori semiacquatici nativi del Sud America, che in Italia sono una specie alloctona e invasiva. E che sebbene i castori siano stati liberati nel loro areale storico, secondo ISPRA andrebbero rimossi perché la reintroduzione è avvenuta senza alcun parere tecnico e senza uno studio di fattibilità che valutasse eventuali danni ambientali. Inoltre, la vicenda potrebbe costituire un precedente e spronare ad altri rilasci.

Intanto secondo Emiliano Mori e per il gruppo di studio Rivers With Beavers ovvero “fiumi coi castori”, finanziato dal Beaver Trust, danni non ce ne sono. «Per adesso gli studi sulla popolazione centro-italiana hanno messo in luce solo vantaggi ecologici legati alla presenza dei castori. Questi animali sono ingegneri ambientali, modificano l’ecosistema in cui vivono, aumentandone la biodiversità: dopo 10 giorni dal loro arrivo c’è molto più legno morto al suolo, e nell’arco di qualche mese compaiono le prime dighe e lodge, le loro tane» spiega Mori. «Le dighe costruite dai castori hanno il pregio di mantenere l’acqua in loco e offrono riparo a molte specie di uccelli e di piccoli mammiferi che nidificano nelle cataste di legno. E ancora, gli alberi abbattuti dai castori lasciano spazio alle nuove plantule di crescere e aumentano i ricacci. Inoltre, il legno morto al suolo è rifugio e luogo di sviluppo per moltissime specie di coleotteri saproxilici, che si nutrono di legno in decomposizione. La presenza del castoro modifica certamente l’ambiente, ma questo ne risulta arricchito in biodiversità. Questo non vuol dire che i rilasci incontrollati non siano da condannare, ma solo che i rilievi fatti nell’ultimo biennio non hanno evidenziato impatti negativi legati alla presenza del castoro» conclude Mori.

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