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In Salute. Pelle artificiale per protesi bioniche, gravi ferite e ustioni

“L’avanguardia nel settore”. Vincenzo Vindigni, chirurgo plastico all’università di Padova ed esperto in ingegneria tissutale, definisce in questo modo i risultati di uno studio pubblicato recentemente su Science da un gruppo di ricercatori della Tsinghua University di Pechino. Il titolo è esplicativo: A three-dimensionally architected electronic skin mimicking human mechanosensation. Gli scienziati, in sostanza, hanno progettato una pelle elettronica in 3D che mima la meccanosensazione umana e riproduce il senso del tatto, anche con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Si chiama 3DAE-Skin e imita la disposizione spaziale delle cellule di Merkel e delle terminazioni di Ruffini (che registrano rispettivamente la pressione e lo stiramento esercitati sulla cute), nonché le caratteristiche geometriche/meccaniche multistrato della pelle stessa.

La pelle è l’organo di senso più vasto del corpo umano, media le interazioni con il mondo esterno e consente di percepire variazioni di temperatura e pressione, di avvertire il dolore, di riconoscere forma e consistenza degli oggetti. Ciò è possibile grazie a una rete di “sensori” altamente specializzati, di recettori che trasformano, “trasducono”, lo stimolo fisico in segnale elettrico, inviando l’informazione al sistema nervoso centrale. Negli ultimi anni in ambito biomedicale ha catalizzato sempre maggior interesse la cosiddetta pelle elettronica o e-skin, un tipo di pelle artificiale in grado di mimare le proprietà del tessuto cutaneo umano attraverso componenti elettronici. Con Vindigni siamo partiti da qui e dallo studio pubblicato su Science per allargare poi lo sguardo ad altre possibilità in fase di studio o già disponibili in ambito clinico per trattare pazienti con problemi di vario tipo al tessuto cutaneo.

Prof. Vindigni, come si colloca la ricerca pubblicata dai ricercatori della Tsinghua University?

Questa ricerca rappresenta l'avanguardia nello sviluppo dei sostituti cutanei. I ricercatori sono riusciti a ricostruire una pelle sintetica in cui hanno integrato anche dei meccano-trasduttori in grado di avvertire tutte le minime vibrazioni che solitamente si percepiscono attraverso il tatto. Non sono veri e propri sostituti cutanei, ma dei costrutti sintetici di laboratorio che possono essere integrati con le nuove protesi bioniche utilizzate per esempio nella ricostruzione di segmenti amputati dell'arto superiore o dell'arto inferiore. In questo modo  al paziente in cui vengono impiantate tali protesi si dà la possibilità di percepire tutte le microvibrazioni dell'ambiente circostante esattamente come avviene attraverso il tatto.

Più in generale, cosa si intende per “pelle artificiale”?

Generalmente con questo termine ci si riferisce a tutti quei prodotti dell'ingegneria dei tessuti utilizzati nella cura delle ustioni o delle cosiddette ferite difficili, delle piaghe, delle ulcere. Non si tratta di un sostituto della cute in senso stretto: sono induttori dermici, quindi costrutti in grado di guidare il processo di guarigione del paziente, di velocizzarlo. 

Quali tipologie esistono? 

Esistono diverse tipologie di costrutti, di induttori dermici che possono essere a base di collagene o di altri prodotti biodegradabili. Generalmente sono costruiti in doppio strato: il primo strato biologicamente attivo va direttamente a contatto con il letto della ferita, che può essere per esempio un’ustione oppure un'ulcera cutanea; il secondo strato è costituito invece da una membrana in silicone che permette di isolare la ferita dall'ambiente circostante, e quindi evita per esempio la perdita di liquidi, e riduce il rischio di infezione e il dolore postoperatorio. Sono dispositivi che solitamente vengono mantenuti in sede per due, tre settimane al massimo, e poi sono seguiti da un innesto cutaneo, quindi da un riparo definitivo eseguito in sala operatoria.

Dunque sono già impiegati nella pratica clinica? 

Certo e ci hanno permesso di trattare sia pazienti gravemente ustionati, che altri affetti da ulcere croniche. Sono presenti già in commercio e sono una realtà clinica. Ciò che oggi invece si sta studiando è la possibilità di impiantare direttamente a livello della ferita dei micro-trasduttori che siano in grado di “leggere” la condizione della ferita stessa e di trasmettere l'informazione al clinico anche attraverso specifiche app su iPhone o computer, così da consentire al medico di monitorare costantemente l'andamento della guarigione. 

Quali altre strade sta percorrendo la ricerca?

La ricerca oggi si sta sviluppando nel settore dei tessuti biomimetici, con l’obiettivo di realizzare costrutti simili alla cute umana. Grazie all’impiego di stampanti 3D, per esempio, vengono realizzate strutture di collagene che riproducono in tutto e per tutto l’architettura del tessuto cutaneo. Anche all’università di Padova sono in corso ricerche di questo tipo. 

Nel campo dei sostituti cutanei Padova ha fatto la storia, a partire dagli studi del professor Giovanni Abatangelo che hanno portato allo sviluppo di lamine di cheratinociti, e successivamente di lamine di cheratinociti arricchite di cellule endoteliali, per favorire la vascolarizzazione del costrutto cutaneo. Successivamente la ricerca è esplosa con la realizzazione dei prodotti di cui parlavo, già pronti per l'impiego clinico.  

Quali sono le difficoltà che si incontrano nello sviluppo di pelle artificiale? 

Sono soprattutto difficoltà legate al riassorbimento del materiale che usiamo, per questo bisogna scegliere un materiale in grado di permanere nella sede in cui viene collocato per il tempo necessario a permettere la ricolonizzazione dalle cellule dell'organismo, dai tessuti sani circostanti. Esistono poi problematiche legate al rischio di infezione del biomateriale che andiamo a impiantare, soprattutto nel caso di ulcere cutanee o ustioni. Proprio per questo si cerca di sviluppare biomateriali in doppio strato provvisti di una membrana in silicone che isola perfettamente il biomateriale dall'ambiente circostante. 

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