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In Salute. Sindrome di Brugada, dietro (alcune) morti improvvise

Era giovane, apparentemente in buono stato di salute. Praticava sport. Poi, all’improvviso, il decesso. Il cuore smette di pompare. Una morte improvvisa fa notizia, genera scalpore, perché sembra non avere una ragione. In realtà le cause ci sono e una di queste può essere la sindrome di Brugada. 

“Non si tratta di una malattia gravata da una mortalità elevata, il rischio esiste ma è relativamente contenuto. La maggior parte dei pazienti presenta una alterazione elettrocardiografica in assenza di rischio aritmico o di sintomi come la sincope aritmica o l’arresto cardiaco”.  A parlarne è Domenico Corrado, direttore del Centro genetico per le cardiomiopatie aritmiche e cardiologia dello sport dell’Azienda ospedale - Università di Padova e professore di malattie dell’apparato cardiovascolare nell’ateneo padovano. Il docente si occupa da molto tempo della sindrome di Brugada e in passato ha preso parte alle tre consensus  conference di Northwick nel 2000, di Lake Placid nel 2003 e di Shangai nel 2015, nel corso delle quali si è discusso rispettivamente della diagnosi elettrocardiografica della malattia, della stratificazione prognostica, e infine della eziopatogenesi e dei meccanismi elettrogenetici.

Intervista completa a Domenico Corrado, professore di malattie dell'apparato cardiovascolare all'università di Padova. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

La sindrome: sintomi e cause

“La sindrome di Brugada è una malattia cardiaca – spiega Corrado – e appartiene al gruppo delle cosiddette malattie dei canali ionici cardiaci. Geneticamente determinate, comportano un’alterazione del trasporto delle correnti elettriche attraverso la membrana cellulare del miocita, cioè della cellula miocardica: l'alterazione di queste correnti elettriche causa una instabilità elettrica cellulare”. Non si tratta di anomalie organiche o strutturali del cuore. “Una malattia elettrica come la sindrome di Brugada e le rimanenti canalopatie non provocano un’alterazione strutturale, per cui l'ecocardiogramma o la risonanza magnetica cardiaca risultano normali. La patologia ha una manifestazione clinica (un fenotipo) che è squisitamente elettrica e si manifesta con alterazioni elettrocardiografiche”. 

Questa instabilità elettrica, che compare soprattutto quando il cuore è a riposo, durante il sonno, predispone ad aritmie pericolose per la vita (come la fibrillazione ventricolare) che possono portare ad arresto cardiaco e a morte improvvisa. Nei casi più lievi le aritmie ventricolari sono di breve durata e si interrompono spontaneamente, possono provocare palpitazioni, sensazioni di vertigine e momentaneo oscuramente della vista. Quando invece hanno una durata prolungata, il paziente può andare incontro a sincope, cioè a una temporanea perdita di coscienza. Nei casi peggiori, quando l’aritmia non si interrompe, l’esito può essere fatale.  

La malattia non si manifesta in età pediatrica o adolescenziale, ma di solito nella terza o quarta decade di vita, pertanto l’elettrocardiogramma eseguito in età precoce potrebbe rivelarsi un falso negativo. 

Il gene principale correlato alla sindrome di Brugada è SCN5A, localizzato sul cromosoma 3. Proprio la mutazione di questo gene causa la riduzione della corrente del sodio, che ha il ruolo di attivare elettricamente le cellule del cuore. “Questa alterazione genetica nei soggetti portatori della malattia, quindi con un fenotipo evidente, è presente solo nel 30% dei casi, dunque non supera un terzo dei pazienti affetti.  La patogenesi della malattia rimane pertanto in gran parte oscura: pur essendo di origine genetica, si sta arrivando alla conclusione che possa essere in qualche modo condizionata anche da fattori ambientali tuttora in gran parte sconosciuti”.

La diagnosi

La maggior parte dei pazienti sono asintomatici, per questo la sindrome viene rilevata spesso incidentalmente, eseguendo un elettrocardiogramma di routine o in preparazione a un’operazione. In altri casi il soggetto può avere una sincope o un arresto cardiaco che richiedono gli esami del caso.  L’elettrocardiogramma di una persona affetta dalla patologia presenta una alterazione definita in termini tecnici “sopraslivellamento a tenda del tratto ST nelle derivazioni che esplorano il ventricolo destro”: questa anomalia del tracciato elettrocardiografico viene definita “pattern di tipo 1” e viene considerata diagnostica. “Esiste un ampio sottogruppo di pazienti – continua Corrado – che manifestano questo aspetto elettrocardiografico esclusivamente sotto lo stimolo farmacologico. In altri termini, l’elettrocardiogramma di base è leggermente alterato ma non diagnostico (il paziente può presentare un pattern di tipo 2 o 3, ndr) e per confermare o meno la patologia bisogna ricorrere a un test farmacologico di solito con farmaci bloccanti i canali del sodio”. I farmaci utilizzati sono ajmalina o flecainide e sono utili a rendere manifesta la malattia in chi è predisposto. 

Le terapie

Il trattamento della sindrome di Brugada è solo sintomatico. “Non riusciamo ancora a intervenire sui meccanismi patogenetici della malattia – argomenta il docente –. Per esempio, non esiste una terapia genica che permetta di agire sui difetti genetici alla base della patologia, per cui riusciamo a intervenire con misure terapeutiche preventive o di prevenzione secondaria (dopo che è avvenuto l’arresto cardiaco), che permettono di salvare il paziente se questo dovesse presentare una complicanza aritmica grave. Nello specifico viene utilizzato un defibrillatore impiantabile, cioè un dispositivo simile a un pacemaker, in grado di riconoscere automaticamente l'insorgenza di una fibrillazione ventricolare (l'aritmia che porta all'arresto cardiaco), e intervenire con lo shock salvavita. Questo al momento è l'unico intervento di dimostrata efficacia, che tuttavia non può essere utilizzato in modo sistematico con tutti i pazienti, ma si rivolge a un gruppo selezionato sulla base di alcuni fattori di rischio”. Viene proposto in particolare a chi manifesta alterazioni elettrocardiografiche evidenti spontaneamente, senza l’ausilio dei test farmacologici, a chi presenta sincopi di dimostrata natura aritmica o a chi sopravvive a un arresto cardiaco. 

Esistono poi altre due opzioni terapeutiche. La prima è farmacologica e viene riservata a pazienti portatori di defibrillatore, con aritmie frequenti e dunque scariche ripetute del dispositivo. “Dato che questo comporta un rischio, perché ogni intervento del defibrillatore potrebbe non essere efficace nell’interrompere l'aritmia, si può prescrivere in aggiunta un farmaco antiaritmico, cioè la chinidina o idrochinidina, che agisce in maniera specifica sui meccanismi elettrogenetici della sindrome. Generalmente in Italia non viene somministrato a pazienti senza defibrillatore. Ci sono alcune regioni del mondo, per esempio Israele, dove invece viene dato a pazienti asintomatici ad alto rischio, anche se non portatori del defibrillatore”. 

La seconda opzione è l'ablazione transcatetere, un intervento volto a modificare le proprietà elettriche del muscolo cardiaco: attraverso corrente a radiofrequenza vengono eseguite piccolissime bruciature nel tratto di flusso del ventricolo destro, dove la patologia dal punto di vista elettrico è particolarmente evidente. “Modificando il substrato miocellulare superficiale, e quindi le manifestazioni elettriche della malattia, si riuscirebbe a contenere le aritmie. E’ una terapia che, in aggiunta al defibrillatore potrebbe salvare la vita dei pazienti, ma si tratta ancora di un intervento sperimentale, riservato a chi presenta storm aritmici non altrimenti gestibili”.

E’ importante ricordare, accanto alle cure, anche le misure preventive relative allo stile di vita a cui i pazienti dovrebbero attenersi, che includono il trattamento tempestivo della iperpiressia con antipiretici (con temperatura superiore a 37,5°), il consumo limitato  di alcolici e l’astensione da sostanze stupefacenti  (in particolare la cocaina che può scatenare fibrillazione ventricolare nei pazienti affetti).

La ricerca 

La patogenesi della sindrome di Brugada non è ancora del tutto nota, per questo gli scienziati stanno cercando di acquisire nuove conoscenze in questa direzione. La ricerca a livello biologico, in particolare, è prevalentemente indirizzata a migliorare le attuali conoscenze sul background genetico della malattia.

“È molto importante – sottolinea Corrado – cercare di capire se questi meccanismi elettrogenetici che portano alla fibrillazione ventricolare possano essere in qualche modo controllati ricorrendo a farmaci antiaritmici diversi. La ricerca clinica in particolare è volta a individuare quali sono i fattori di rischio, perché è molto importante a livello clinico capire se un paziente è a rischio o meno di sviluppare complicanze aritmiche gravi. Da questo dipende l'impianto del defibrillatore che non è una terapia blanda, e che richiede dunque un approccio rigoroso a quella che è stratificazione del rischio nei pazienti”. Ci sono poi delle linee di ricerca che sfruttano anche l’intelligenza artificiale: un metodo, questo, che mette insieme le nostre conoscenze di natura biologica, clinica, prognostica e terapeutica per poter sviluppare un modello predittivo utile a individuare i soggetti a rischio. 

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