SCIENZA E RICERCA

Sars-Cov-2, uno studio indaga la sua diffusione in natura

Se dall’inizio della pandemia sembrava che Sars-Cov-2 si fosse diffuso principalmente fra animali domestici, da zoo e visoni d'allevamento, segnalazioni mostrano un’abbondante propagazione del virus anche nella fauna selvatica. L’allarme arriva dal Nord America, dove un crescente numero di cervi dalla coda bianca è risultato positivo al virus.

Si tratta del cervide predominante nella zona e questo ha destato una forte preoccupazione nelle popolazioni locali. Il rischio, infatti, è che esso evolva in nuove varianti che potrebbero tornare a colpire la specie umana, innescando nuove ondate di malattia.

 A voler studiare come il patogeno si stia diffondendo fra gli animali è Kurt Vandegrift. Ecologo alla Pennsylvania State University, è ora a capo di uno dei più grandi programmi di sorveglianza della fauna selvatica al mondo per Sars-Cov-2. Nel suo lavoro mira a raccogliere e analizzare più di 24.000 campioni da 58 specie di fauna selvatica nei prossimi 2 anni. I cervi, infatti, non sono gli unici a poter contrarre il virus.

I programmi di gestione della fauna selvatica in California e Alaska invieranno a Vandegrift campioni prelevati da volpi, orsi, conigli, castori e alci. I cacciatori delle due aree geografiche hanno accettato di fornirgli tamponi di cervi mulo, coyote, linci rosse e martore, un carnivoro simile alla donnola. Un'azienda di disinfestazione contribuirà con campioni di opossum, ratti, procioni e moffette provenienti da 10 città. Le reti di riabilitazione della fauna selvatica invieranno campioni di cervi dalla coda bianca, toporagni, donnole e scoiattoli. Vandegrift prevede, inoltre, di catturare personalmente arvicole, marmotte, scoiattoli e istrici.

Si valuterà se questi sono attualmente infetti o se hanno sviluppato anticorpi, segno di una precedente infezione. Ciò permetterà di comprendere meglio la minaccia del virus per gli animali e per la specie umana, in caso di mutazioni specifiche. 

Le segnalazioni del virus nella fauna selvatica sono relativamente rare, in parte perché la sorveglianza è difficile e discontinua. Finora rilevazioni sono avvenute ad opera di un team francese, che ha trovato anticorpi contro il virus nei tassi e nelle martore. In Brasile, due coati, mammiferi simili ai procioni, sono stati infettati. In India un leopardo è risultato positivo al virus, mentre in Senegal la presenza di Covid-19 è stata rilevata in un rinoceronte bianco

Sono circa 50 le specie animali ad oggi riconosciute come suscettibili a Sars-Cov-2.

La causa sarebbe in parte da attribuire a una proteina, l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (Ace2), altamente conservata in tutte le specie e espressa negli animali che hanno mostrato di poter contrarre l’infezione. La sua presenza permette al virus la propagazione nelle cellule ospiti tramite recettori compatibili e, in alcuni casi, la trasmissione fra specie diverse. 

È, però, importante distinguere fra “host senza uscita” e “host di amplificazione”: le infezioni delle popolazioni ospiti che non trasmettono in modo efficiente l'agente patogeno, note anche come ospiti "senza uscita", possono portare rapidamente all'estinzione del virus all'interno di quella popolazione. I cani, che sono suscettibili all'infezione da Sars-CoV2, ma non trasmettono efficacemente il virus, ne sono un esempio. Parliamo di host di amplificazione, invece, in riferimento a quegli organismi in cui il virus riesce a proliferare indiscretamente, raggiungendo un rischio di trasmissione per altri ospiti. 

Vandergrift non è l’unico ad aver notato una crescente diffusione del virus in alcune popolazioni di animali selvatici. Un altro recente studio, anch’esso riguardante i cervi dalla coda bianca, rivela che circa il 40% degli animali che vivono liberi negli Stati Uniti ha sviluppato anticorpi contro Sars-Cov-2. 

Sorprendentemente, in un lavoro condotto da Kuchipudi, professore di microbiologia e malattie infettive all’Università di Pittsburgh, risulta che sarebbe proprio l’uomo un possibile “host di amplificazione” del virus, che trasmetterebbe poi agli animali. Lo studio coinvolge ancora una volta i cervi e mostra che l'infezione degli animali è il risultato di molteplici eventi di zoonosi inversa (o antroponosi) dall'uomo, seguiti da un'efficiente trasmissione da cervo a cervo. 

Il Bo Live ne aveva già parlato in un precedente articolo: da uno studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution, risulta che sono innumerevoli le infezioni che gli umani trasmettono agli animali.  Analizzando le sequenze virali disponibili, gli scienziati hanno tracciato i percorsi attraverso i quali i virus si diffondono tra le specie di vertebrati, scoprendo che l'uomo svolge un ruolo significativo nella trasmissione di infezioni a specie diverse dalla nostra.

Il quadro tradizionale dipinge la specie umana come destinazione finale di diverse malattie ma trascura spesso un aspetto importante: il ruolo attivo che svolge nella trasmissione di agenti patogeni ad altre specie. Sappiamo, ad esempio, che le zoonosi, le malattie che gli animali trasmettono all'uomo, sono la causa del 60% delle malattie infettive della specie umana di cui siamo a conoscenza, mentre sappiamo molto poco riguardo alle antroponosi. 

Animali come visoni, gatti e cani domestici, sono state infettati da zoonosi inversa in più occasioni e tutti, tranne i cani, sembrano essere in grado di diffondere Sars-Cov-2 tra loro o potenzialmente agli esseri umani. 

Il fatto che alcuni animali possano fungere da serbatoi per il virus e accumulare mutazioni che potrebbero influenzare la sua patogenicità è di certo preoccupante. Questo scenario solleva timori riguardo alla possibilità che Sars-Cov-2 possa tornare all'uomo con nuove varianti che possono compromettere l'immunità, finora, acquisita.

 È, perciò, necessario adottare un approccio integrato One Health, che mira a prevenire e rispondere alle pandemie attraverso la collaborazione tra diversi settori, compresi la salute pubblica, quella veterinaria e l'ambiente.

Per affrontare le minacce di futuri spillover zoonotici, in cui sono gli animali a trasmettere l’infezione, e la diffusione di malattie emergenti, è essenziale comprendere le dinamiche sociali e ambientali che favoriscono tali eventi. Ciò implica non solo la sorveglianza delle malattie nella specie umana e negli animali, ma anche l'adozione di misure preventive e di controllo basate sulla conoscenza scientifica e sull'analisi dei fattori che favoriscono la trasmissione inter-specie dei virus.

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