CULTURA

Saturday fiction: un film da guardare due volte a Venezia 76

Avete presente i film di spionaggio in cui regna sovrano un gioco di specchi per cui per buona parte della storia tutto sembra fumoso ma alla fine ogni particolare trova la casella giusta e si riprende alla perfezione il filo della trama? In caso contrario facciamo due nomi: Il ponte delle spie di Steven Spielberg e Red Sparrow di Francis Lawrence. Bene, ora che il genere è chiaro possiamo dire che Lan xin da ju yuan (Saturday fiction) di Ye Lou, in concorso a Venezia 76, non è uno di questi, anche se probabilmente non è colpa sua.

Siamo nel 1941, e Shangai è una sorta di porto franco in cui si scontrano i servizi segreti degli Alleati e quelli dell'Asse. Jean Yu (Gong Li) torna in questa polveriera pronta a scoppiare: è un'attrice famosa, e apparentemente ciò che la muove è solo un'esigenza lavorativa: deve recitare nello spettacolo Saturday fiction. In realtà i dubbi al riguardo sono molti: potrebbe voler liberare il suo ex marito, fuggire in un porto sicuro con il suo nuovo amore oppure, ancora, potrebbe essere una spia a servizio degli Alleati.

Il film è in bianco e nero, e fonde un impianto molto classico con uno stile più moderno. Non viene insomma da paragonarlo a Intrigo internazionale, ma piuttosto alle pellicole più contemporanee, e questo effetto un po' perturbante dà sicuramente origine a qualcosa di originale, specie durante le scene d'azione. Il limite della regia è forse quello di voler far convivere una storia d'amore quasi lirica con le esigenze di azione che richiede un film di questo tipo: si sente molto l'influenza del libro da cui il film è liberamente tratto, La donna vestita di rugiada di Hong Ying, ma non è nulla che lo spettatore non potrebbe perdonare in cambio di un buon intreccio.

Il problema principale, però, è proprio l'intreccio. Nonostante il film sia chiaramente rivolto anche a un mercato occidentale e si sia fatto di tutto per rendere comprensibili anche i particolari più ostici, stare dietro a Lan xin da ju yuan in versione sottotitolata è molto difficile, impossibile per chi non è particolarmente bravo a riconoscere i volti, a meno che non conosca la lingua cinese. È vero, non ci sono moltissimi personaggi, ma distinguere quelli maschili, quando il bianco e nero, tra l'altro, appiattisce ogni sfumatura cromatica a cui potrebbe aggrapparsi lo spettatore, non è immediato. E appena riconosci un personaggio, ti rendi conto che non hai letto il sottotitolo. Il mandarino, a quanto pare, è una lingua molto rapida, e appena la situazione si fa più concitata leggendo i sottotitoli si perde il filo del discorso. Per non parlare del fatto che, essendo il film in bianco e nero, a volte ti ritrovi a dover leggere scritte bianche su fondo bianco. Si poteva rimediare dando un ritmo diverso, ma si sarebbe perso uno degli elementi di interesse del film, ovvero l'alternanza tra momenti lenti e introspettivi in cui lo sguardo era il vero protagonista e si metteva l'accento sul problema dell'identità e altri momenti frenetici più da spy story.

Le conclusioni sono due: intanto Lan xin da ju yuan (Saturday fiction) è un film che va visto almeno una seconda volta per poter apprezzare la storia, l'interpretazione intensa della protagonista da parte di Gong Li e anche quel lato squisitamente psicologico incentrato sull'identità e sul doppio (i personaggi femminili, non a caso, sono due). E poi sarebbe da suggerire un ripensamento a tutti quei detrattori del doppiaggio che sostengono che faccia perdere molto ai film: a volte guardarli in lingua originale diventa un limite ben maggiore.

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