CULTURA

Scienza e Arte: storia di una relazione possibile

La scienza incontra il teatro, la musica, la poesia, il cinema. E con queste discipline dialoga. Sul Bo Live continuiamo a esplorare i territori abitati da cultura scientifica e umanistica, cercando di analizzarne le relazioni nel presente, ricordando esempi e percorsi del passato e lanciando uno sguardo al futuro. Lo facciamo, ora, guidati da Gianni Zanarini, docente di Scienza e arte al Master di Comunicazione della scienza dell’Università di Milano Bicocca. Zanarini ha anche insegnato Acustica musicale all'Università di Bologna e Scienza e letteratura alla Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste, ha pubblicato saggi di carattere scientifico, epistemologico e musicologico e collaborato all'Enciclopedia della musica di Einaudi. Tra i suoi libri, ricordiamo: Appassionato rigore. Visioni del mondo e passioni scientifiche (Cuen, Napoli, 2001), Invenzioni a due voci. Dialoghi tra musica e scienza (Carocci, Roma, 2015), Silenzio (Doppiavoce, Napoli, 2020).

Professore, spesso si dice: o hai una mente scientifica o un’anima umanistica, o al massimo una mente creativa, o sei scienziato o sei artista. Non è così, la storia ce lo insegna, a partire da Leonardo da Vinci ma, senza andare troppo indietro nel tempo, anche Pirandello e Levi si occuparono della relazione tra arte e scienza, cercando di cancellare i limiti determinati da una presupposta incomunicabilità tra discipline. Lo chiedo a lei: scienza e arte possono dialogare?

Non sempre la letteratura e la scienza sono mondi lontani e incomunicabili. Ci sono esempi importanti di una relazione stretta e fruttuosa tra questi mondi: letterati appassionati di scienza che la raccontano con la loro prosa o con i loro versi, ma anche scienziati che della loro scienza fanno un’opera letteraria. Un esempio famosissimo è legato alla scienza antica, alla scienza dei greci, e in particolare alla scienza degli atomisti, questi visionari che ardirono immaginare il mondo fatto di piccolissime particelle non ulteriormente scindibili (atomi, appunto). L’autore che ha realizzato questo incontro è Lucrezio che, all'inizio della nostra era, ha messo in versi latini la scienza proposta da Epicuro in Grecia trecento anni prima. Incontriamo un secondo esempio all'inizio della rivoluzione scientifica del Seicento, quando si impone un cambiamento profondo del modo di fare scienza, in cui l’osservazione, la sperimentazione e la formulazione matematica assumono un ruolo centrale. Uno dei fondatori di questa nuova scienza, ossia Galileo, si impegna ad argomentare le sue scoperte in testi di grande letteratura: così grande che, secoli dopo, Italo Calvino definirà Galileo il più grande scrittore della lingua italiana. Per Galileo, il mondo è un libro nel quale, in caratteri matematici, è scritto da Dio il progetto della creazione. Nel Dialogo dei massimi sistemi, tre personaggi in scena discutono incessantemente sulle implicazioni filosofiche delle scoperte galileiane, prima ancora che sulla loro validità scientifica. Che cosa cambia nella nostra immagine del mondo se è la Terra a girare intorno al Sole? Se gli incorruttibili astri sono invece della stessa corruttibile materia della Terra? Come cambia la nostra immagine dell’uomo, la sua supposta centralità nel creato? I tre personaggi discutono appassionatamente questi temi in quello che è uno dei primi e più efficaci esempi di teatro scientifico: una modalità che si presta particolarmente a mettere in scena posizioni diverse, a confrontarle, a dibatterle. Naturalmente, nel testo galileiano c’è anche la comunicazione di concetti scientifici, che sono abbastanza semplici da capire, anche se non da accettare. Ma la mediazione della letteratura e del teatro è efficace anche per concetti più difficili e più astratti. Possono acquistare cittadinanza letteraria anche acquisizioni importanti della scienza contemporanea, come i concetti della fisica dei quanti, o la matematica dei sistemi caotici, o le più recenti conoscenze sulla vita.

Può fare un esempio di "mediazione teatrale" utilizzata per esporre concetti complessi?

Nel testo teatrale Copenhagen di Michael Frayn, incontriamo l’esposizione di alcuni concetti fondamentali della fissione nucleare. Si tratta di un testo costruito intorno alla rievocazione di una visita che nel 1941 il fisico tedesco Werner Heisenberg fece al suo maestro Niels Bohr a Copenhagen, in piena occupazione nazista della Danimarca. Sulle motivazioni e sullo svolgimento di quella visita sappiamo poco: ma quello che si può senz'altro affermare è che la nuova fisica, la fisica di quegli anni non poté restare al di fuori del colloquio. In particolare, un ruolo importante ha avuto la fisica della fissione nucleare, che avrebbe portato, nel 1945, alla bomba di Hiroshima. La lucida esposizione di alcuni elementi della fisica nucleare serve, nel testo di Frayn, a introdurre una riflessione sul calcolo della massa critica di uranio 235, per poter ottenere la reazione a catena. Un puro ragionamento scientifico ha assunto infatti il ruolo di elemento importante nella valutazione della fattibilità della bomba atomica, con profonde implicazioni politiche, militari, etiche. In Copenhagen, il riferimento alla scienza ha anche una valenza strutturale: è il testo stesso, infatti, a mutuare la sua struttura dalla meccanica quantistica.

A teatro si possono anche raccontare le vite degli scienziati, ritrovandone così le tracce nella storia...

A volte una biografia, teatrale o letteraria, sceglie di parlare di uno o più scienziati, di raccontarci la loro storia, di farla rivivere sulla scena. In questo caso, i temi scientifici saranno presenti nel testo, intrecciati alle vicende affettive dei personaggi, alle loro passioni. Sono tanti gli esempi che si potrebbero citare. Mi limito ad alcuni testi teatrali: Vita di Galileo di Bertolt Brecht, QED: un giorno nella vita di Richard Feynman di Peter Parnell, I fisici di Friedrich Dürrenmatt. Nel Novecento, Italo Calvino è – tra gli altri - un esempio di letterato appassionato di scienza, che coglie e mette al centro di alcune sue opere due aspetti nuovi e importanti della scienza, che si affiancano alla centralità dell’osservazione e della sua traduzione in parole e in formule matematiche: il racconto della storia del mondo, fino a risalire alle sue origini - elaborato dall'astrofisica - e la riflessione sulla conoscenza scientifica che caratterizza la nuova filosofia della scienza. 

Da anni lei indaga questi territori di confine, analizzando in particolare le relazioni tra scienza, letteratura e musica. Cosa può nascere da questo incontro?

Dopo aver accennato ai rapporti tra scienza e letteratura, mi soffermo un attimo sul rapporto tra musica e scienza: una relazione inattesa, per chi è abituato a vedere la musica – esasperando una prospettiva romantica – come ineffabile espressione di emozioni e la scienza come fredda e astratta descrizione del mondo. Ma le cose non stanno così, la relazione tra scienza e musica è importante e si sviluppa fin dall'antichità. Va ricordato che un posto importante nello sviluppo della relazione tra scienza e musica ce l’ha proprio Galileo, che era, certo, un grande fisico, ma anche un musicista, un suonatore di liuto, strumento che aveva studiato sotto la guida del padre Vincenzo. E proprio questa doppia competenza gli ha permesso di costruire un ponte tra i due mondi. Innanzitutto, la musica è stata a lungo scienza. E proprio questa è la ragione che fin dall'antichità ha fatto includere la musica nel Quadrivium delle scienze, insieme all'aritmetica, alla geometria e all'astronomia. Ma perché per oltre duemila anni la musica è stata considerata il prototipo di tutte le scienze? Secondo Pitagora e i filosofi pitagorici, c’è una armonia del mondo che è legata ai numeri, ai rapporti numerici, alle figure geometriche: realtà immortali, spirituali, che non partecipano della caducità delle cose terrene. A partire da allora, e fino al Cinquecento avanzato (per duemila anni e anche più), la musica è stata universalmente considerata come una manifestazione dell’armonia del mondo: un’armonia retta da numeri, e da numeri semplici.

Su che cosa si basa questa affermazione?

Su una osservazione semplicissima che ha a che fare con la consonanza e la dissonanza, cioè col fatto che due suoni diversi vadano d’accordo, stiano bene insieme: una osservazione alla quale viene attribuito un profondo significato filosofico, addirittura un significato cosmologico. Le consonanze musicali si ottengono dai diversi rapporti possibili tra i primi quattro numeri naturali, che costituiscono la tetraktys pitagorica, considerata più in generale come la radice della struttura del mondo. Ma allora, anche il mondo canta, anche i pianeti cantano una musica celeste, la musica delle sfere. Platone, Severino Boezio, Shakespeare, Milton celebrano questa musica. E Keplero sviluppa questa idea in un modo assai complesso, coerente con la nuova astronomia che sta costruendo. Poi Galileo, insieme al padre Vincenzo, scopre che il segreto di quei rapporti numerici semplici su cui si fondava l’armonia del mondo va ricercato nella dimensione fisica del suono, che deve venire indagata con i procedimenti della scienza sperimentale, senza limitarsi a speculazioni teoriche. Dalle intuizioni galileiane avrà inizio una nuova relazione tra scienza e musica. La scienza esplora anche le radici acustiche dell’armonia classica, che viene letta come una costruzione culturale coerente con certi aspetti dei suoni così come l’acustica li mette in luce, ma che in quanto tale può anche venire modificata oppure sostituita da nuove costruzioni culturali. La musica elettronica, in particolare, ha sperimentato nuovi suoni e nuove sequenze e sovrapposizioni di suoni.

Mi piacerebbe approfondire anche il rapporto tra scienza e poesia. Penso a Leonardo Sinisgalli, il poeta ingegnere, e penso a Primo Levi che, in Ad ora incerta, inseriva un breve ma significativo respiro poetico nel suo intenso percorso segnato da memoria e scienza.

Fin dall'antichità, la poesia incontra la scienza. I poeti cantano le immagini del mondo create da questa grandiosa invenzione culturale, la sua tensione verso la verità, la passione che accompagna e sostiene la ricerca. Ma pongono anche domande alla scienza: la interrogano sul senso di questa incessante ricerca, sulla sua ambizione di avvicinarsi sempre più alla verità del mondo, sulla sua importanza per l’umanità. E danno poetiche risposte, aprono prospettive, suscitano nuovi pensieri. Proprio in questo periodo sto terminando di scrivere un libro dedicato al rapporto tra poesia e scienza. A questo tema affascinante non posso fare qui che qualche breve cenno. Duemila anni fa, Lucrezio propone una lettura emozionata dell’immagine del mondo elaborata da Epicuro nella Grecia antica. Là è nata la filosofia della natura, e da essa avrà origine, nella cultura occidentale, la scienza moderna. Alcuni dei temi portanti di quella lontana filosofia verranno ripresi e rivitalizzati molto più tardi: il progetto di una spiegazione naturalistica del mondo, l’importanza dell’osservazione, la concezione atomistica del mondo, l’idea di un universo infinito, il concetto di legge naturale, immutabile e inflessibile. Lucrezio affronta questi temi da grande poeta, con l’ambizione di fornire, attraverso il canto della scienza, un rimedio alle angosce e ai dolori della condizione umana. Ma la cosmologia lucreziana, nella quale in uno spazio infinito sempre nuove aggregazioni di atomi nascono e si dissolvono, è marginale nel mondo antico. Secondo Aristotele, il mondo è finito, chiuso intorno alla Terra dalle sette sfere dei pianeti e del Sole e da un ottavo cielo sul quale le stelle fisse sono incastonate come gemme. Nell'universo aristotelico - rielaborato da Tolomeo e dalla teologia medievale - l’Empireo circonda il primo mobile e le otto sfere incorruttibili delle stelle e dei pianeti; al centro sta la corruttibile Terra. È questo lo sfondo, grandioso e limitato insieme, su cui si svolge la Commedia di Dante. Nella sua poesia egli celebra non solo l’astronomia del suo tempo ma anche le altre scienze che, nel secondo Medioevo, hanno avuto un impetuoso risveglio, come l’ottica, l’alchimia, la medicina, la logica, la matematica. Il simbolo della rivoluzione scientifica del Seicento è la proposta copernicana di un rovesciamento della prospettiva cosmologica. Ma questa rivoluzione, questa sconfitta dell’errore da parte della verità non risolve il problema del senso profondo di ciò che accade nell'universo, della radice ultima del meraviglioso ordine che la scienza scopre. Giordano Bruno, incompreso e condannato, pone instancabilmente il tema della sapienza di ogni più piccola parte del cosmo, e della relazione dell’uomo con questa sapienza: un tema che la sua poesia propone, emozionandoci, anche a noi, eredi di Newton e della fisica dei secoli successivi. 

E andando avanti nel tempo, spingendoci fino all'Ottocento e al Novecento?

All'inizio dell’Ottocento, la fisica e la chimica sembrano avere ormai spiegato il mondo. Un giovanissimo Giacomo Leopardi ne tesse l’elogio in corposi e documentatissimi volumi. Ma poi, nel pieno dell’adolescenza, la sua prospettiva cambia: la verità della scienza gli appare indissolubilmente legata alla sua vanità per l’uomo. E scioglie in canto questo dolente paradosso. Appena prima della folgorante scoperta della struttura del DNA, Raymond Queneau rilegge l’evoluzione in una personalissima chiave di desiderio, sviluppando con grande originalità una sorta di De rerum natura in versi alessandrini. L’aspirazione verso il futuro è il filo rosso che intesse il poema, dalla comparsa delle prime forme di vita fino alla prospettiva di un predominio  delle macchine da calcolo – la più recente tra le specie - sull'uomo che le ha create. Agli albori della conquista dello spazio, Gianni Rodari scrive le sue filastrocche e le sue fiabe. Volge in poesia le risposte della scienza ai mille perché dei più piccoli, e li invita a guardare con occhi nuovi la Luna e le stelle, immaginando viaggi avventurosi tra i pianeti. Ma sempre raccomanda loro di ricordarsi della Terra, di contemplarla da lassù, ancora soffocata da confini, guerre, ingiustizie che in cielo non ci sono. E delicatamente li spinge a rimboccarsi le maniche, astronauti di domani e cittadini del mondo, per una Terra più umana. All'inizio del Novecento, la teoria della relatività trasforma radicalmente la concezione dello spazio e del tempo, inaugurando una nuova, rivoluzionaria cosmologia. Anche la teoria quantistica stravolge la scienza classica, aprendo prospettive sconvolgenti sul mondo submicroscopico. Con il supporto di queste due teorie, tanto efficaci quanto difficilmente conciliabili tra loro, prosegue senza sosta la ricerca dei costituenti ultimi della realtà, anche se gli atomi lucreziani hanno ormai perduto per sempre la loro immutabile concretezza. A questi sviluppi della scienza, così remoti dalla conoscenza comune e dalla vita di tutti i giorni, Hans Magnus Enzensberger dedica intense poesie, in cui - con leggerezza poetica e insieme con profondità filosofica - propone il tema del rapporto tra il mondo e le sue immagini create dalla scienza.

Passiamo al cinema. Ci può fare qualche esempio di scambio fruttuoso tra scienza e settima arte?

Il cinema racconta storie: storie di vita, storie di relazioni, storie di passioni. E, dunque, anche storie di scienziati, soprattutto quando si tratta di storie in cui l’eroe si batte contro l’incredulità, il dogmatismo, l’ostilità di molti, lotta con la natura per strapparle i suoi segreti, supera lo scoraggiamento, e infine vince: o, quanto meno, vince nell’eredità che lascia ai posteri. Storie costruite secondo uno schema di questo tipo – storie, dunque, di vite esemplari – sono assai presenti nel cinema. Come è ovvio, diversi registi sono stati affascinati dalla figura di Galileo, che il cinema ha proposto fin dai tempi del muto. Ma un film è particolarmente importante: Galileo di Joseph Losey del 1974. Si tratta di un film che il regista ha tratto – con grande fedeltà – dal testo teatrale Vita di Galileo di Bertolt Brecht (di cui è stato anche regista nella prima rappresentazione in America). Il testo di Brecht è famosissimo ed è tuttora rappresentato in tutto il mondo. Si tratta di un’opera molto complessa, nella quale diversi filoni tematici sono presenti e sviluppati: il rapporto col potere, i contrasti all'interno del mondo scientifico, la condanna da parte delle autorità religiose. Ma è la passione scientifica di Galileo a costituire uno dei temi centrali del testo brechtiano, una passione che vediamo all'opera in una delle scene più emozionanti: l’emozione dello sguardo, della comprensione, della scoperta. 

Facciamo un salto di tre secoli e parliamo un attimo di Maria Curie: una scienziata molto presente nel cinema, a cominciare da Madame Curie di Mervyn Le Roy del 1945, ispirato all'affettuosa biografia che alla grande scienziata ha dedicato la figlia Eva. Centrale, in questo film, è l’intreccio strettissimo che lega, nella vita di Maria, la passione per la conoscenza e il rapporto d’amore con Pierre Curie, che morirà tragicamente dopo avere ricevuto, insieme alla moglie, il premio Nobel. La figura di Maria Curie si presta particolarmente bene a una presentazione quasi agiografica: donna, straniera, innamorata della scienza, che intreccia una affascinante vicenda scientifica con una storia d’amore. Un altro film, piuttosto diverso da questo, sulla vita di Maria Curie è Les palmes de m. Schutz, diretto da Claude Pinoteau (1997), ispirato al lavoro teatrale omonimo di Jean-Noel Fenwick del 1989. Fenwick è piuttosto famoso in Francia come autore di testi leggeri, e anche questo testo conserva una impostazione quasi da vaudeville, con i grotteschi contrasti tra le vanterie accademiche (les palmes: gli allori!) e la modesta ma tenace passione per la ricerca di Marie e del marito Pierre. La scelta di un contesto divertente, la trovata geniale che, a volte, anche un esperimento importantissimo nasce da una intuizione alla portata di tutti, aiuta a capire la fatica di cercare e la gioia di trovare. L’emozione è qui al centro della ricostruzione cinematografica di un esperimento. Un film recente sulla scienziata è Marie Curie di Marie Noelle del 2017. La regista, pur sulla base di una accurata ricerca storica, sceglie di lasciare un po’ in secondo piano l’attività propriamente scientifica di Marie (presentata soltanto in brevi scene di laboratorio) per soffermarsi piuttosto sulla vita di una donna che vive nel suo tempo ma non appartiene al suo tempo. Sale, prima tra le donne, tutti i gradi accademici, non senza contrasti e difficoltà, affronta il terribile lutto per la morte di Pierre, suo grande amore e insostituibile compagno di ricerca, vive una seconda storia d’amore con Paul Langevin, un fisico più giovane allievo e amico di Pierre, affrontando il perbenismo e l’ipocrisia della società del tempo, diventa un modello per la figlia Irène, che otterrà in seguito anch'essa un premio Nobel insieme al marito.

Non solo storie di singoli, il cinema può raccontare anche grandi storie collettive...

Ormai, nel Novecento, la ricerca si fa soprattutto in gruppo, e quindi le vicende dei singoli ricercatori si intrecciano a quelle degli altri. Un esempio è dato da I ragazzi di Via Panisperna di Gianni Amelio, del 1988, che sottolinea l’emozionata conduzione della ricerca, le sue attese, i suoi risultati, i suoi incidenti. Notevole è la chiarezza con cui viene presentata l’avventurosa versione preliminare di un esperimento classico della fisica del Novecento: quella delle fissioni nucleari indotte da neutroni rallentati con acqua (in seguito, più efficacemente, con acqua pesante o con grafite). Una delle storie scientifiche del Novecento che sono rimaste nell'immaginario comune è quella del gruppo che a Los Alamos affrontò e superò una quantità di problemi scientifici e tecnici, giungendo alla messa a punto della bomba atomica. Alle vicende scientifiche e affettive del leader del gruppo, Robert Oppenheimer, è dedicato il film L’ombra di mille soli di Roland Joffé, del 1989. Anche se forse questo si può considerare un esperimento tecnologico più che scientifico, dietro di esso c’è una grande quantità di scienza e di esperimenti scientifici sulla radioattività indotta, iniziati da Irène Curie e Fréderic Joliot, proseguiti poi da Enrico Fermi e da tantissimi altri. Ed è per questo che il progetto Manhattan segna la nascita della big science: quella scienza sviluppata da migliaia di persone con enormi investimenti che, dalla metà del Novecento in poi, ha la sua più caratteristica realizzazione nella fisica delle alte energie.

Infine, proviamo a percorrere due strade. La prima: la scienza incontra la creatività e diventa opera d’arte, e qui troviamo gli scienziati interessati al mondo dell’arte e, viceversa, gli artisti che esplorano i territori della scienza (penso, tra i grandi nomi, ad Anish Kapoor). La seconda sposta il punto di vista su un territorio più “pratico” ed è questo aspetto che vorrei approfondire con lei. Cosa accade quando la scienza si mette al servizio dell’arte? Penso alle soluzioni e alle opportunità di innovazione offerte dalla scienza al mondo della cultura: la tecnologia per i musei o, ancora, la scienza al servizio della ricerca musicale. 

Ho già accennato all'importanza della tecnologia per la ricerca musicale. Vorrei sottolineare il fatto che il modo di comporre è completamente cambiato da quando il compositore può creare la sua musica, e non soltanto scriverla e provarla al pianoforte. Inoltre, la stessa fruizione della musica si sta radicalmente modificando, e le due modalità estreme – l’ascolto in cuffia e i grandi raduni, con una amplificazione enorme eppure fedele, per ascoltare e partecipare all'esecuzione delle più recenti composizioni delle star del momento - stanno progressivamente sostituendo la fruizione dal vivo della musica del passato nelle sale da concerto, una invenzione sette-ottocentesca travolta ormai dalla tecnologia e dai cambiamenti che la tecnologia ha suggerito e sostenuto.

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