Le ultime quattro note sono state, rispettivamente, sulle armi chimiche; sui serbatoi di batteri che resistono agli antibiotici; sui cambiamenti climatici e su come limitare l’aumento medio della temperatura del pianeta entro gli 1,5 °C; sulla sicurezza cibernetica security dei congegni informatici utilizzati dai consumatori. Sono questi, al momento, i nuovi temi che il Parliamentary Office of Science and Technology (POST), l’Ufficio per la scienza e la tecnologia del Parlamento del Regno Unito, propone all’attenzione di Westminster, o meglio dei membri della House of Commons (i deputati democraticamente eletti) e della House of Lords (i Pari, nominati con complicate procedure). Il POST si autodefinisce fonte interna di «analisi indipendenti, bilanciate e accessibili di problemi di politica pubblica che hanno a che fare con la scienza e la tecnologia». Per fonte interna, si intende al Parlamento. Ma il POST non parla solo ai deputati e ai Pari. Parla anche alla società. E non si limita a parlare. Di grande interesse è, per esempio, la proposta offerta agli studenti inglesi di sperimentare sul campo “del mondo reale” la comunicazione della ricerca scientifica.
Il POST è certamente un’istituzione d’avanguardia. Ma non è la sola nel mondo. Moltissimi altri parlamenti in Europa e non solo si sono dotati di un ufficio simile a quello dell’assemblea legislativa più antica del mondo. Ne troviamo di simili in Francia, Germania, Olanda, Austria, Norvegia, Svizzera, Danimarca, Spagna, Messico e Cile. Il Parlamento degli Stati Uniti si accinge a riattivare un ufficio simile, dopo alcuni anni di sostanziale inattività. Anche il Parlamento europeo si è dotato di Comitato di valutazione delle opzioni scientifiche e tecnologiche (STOA).
Perché la gran parte delle assise legislative dei paesi democratici hanno scelto di dotarsi di simili comitati di esperti in scienza e tecnologia? Beh, i motivi sono essenzialmente due: il lavoro dei parlamenti è cambiato, oggi hanno bisogno di costante consulenza scientifica; questa consulenza deve essere alta, ovvero del massimo livello possibile.
Più in dettaglio: una quantità crescente del tempo e delle attività dei parlamentari ha a che fare con temi correlati alla scienza e alla tecnologia. Non è una sorpresa. È, semplicemente, il segno dei tempi. Viviamo nella società e nell’economia della conoscenza. Viviamo nell’era della domanda crescente di nuovi diritti di cittadinanza: i diritti di cittadinanza scientifica. Di conseguenza le massime agorà della democrazia – i parlamenti, appunto – non possono non occuparsi di conoscenza: sia della produzione di nuova conoscenza (la scienza) sia delle applicazioni delle nuove conoscenze (l’innovazione tecnologica fondata sulla scienza).
Ma i parlamenti, per poter prendere decisioni ponderate su «problemi di politica pubblica che hanno a che fare con la scienza e la tecnologia» devono poter contare su «analisi indipendenti, bilanciate e accessibili» realizzate da scienziati esperti.
Né il POST né gli altri uffici scientifici di consulenza sostituiscono il Parlamento. Le scelte restano responsabilità e prerogativa degli eletti dal popolo. Ma i comitati di esperti assolvono al ruolo di facilitare scelte documentate e ben fondate. Sono, in definitiva, una necessità e insieme un’espressione di una democrazia matura. Sono la forma tangibile di una scienza al servizio della democrazia.
Ebbene, nel novero crescente dei parlamenti che si sono dotati di comitati di scienziati esperti per poter contare su analisi indipendenti, bilanciate e accessibili sulla base delle quali operare le proprie scelte in materie che hanno a che fare con la scienza e la tecnologia ne manca uno: l’Italia.
In qualche modo ce ne accorgiamo. Nel nostro Parlamento molto – troppo – spesso i dibattiti e le decisioni tipiche della società e dell’economia della conoscenza sono poco informati, poco ponderati. Ideologici. Il paese stesso ne risente. Infatti l’Italia stenta a entrare nella società e nell’economia della conoscenza. Certo: non tutte le responsabilità ricadano sul Parlamento. Ma è anche vero che, in quota parte, il Parlamento ha le sue responsabilità.
Non basta l’attività incessante ma, purtroppo, abbastanza isolata di singoli parlamentari, come la senatrice a vita Elena Cattaneo.
Di qui nasce l’appello che un piccolo gruppo di ricercatori e di giornalisti scientifici rivolge al parlamento italiano affinché si doti di un Comitato per la scienza e la tecnologia capace di analisi indipendenti, bilanciate e accessibili a tutti i cittadini. L’appello, che si intitola La Scienza al servizio della democrazia, è stato già sottoscritto da un numero elevato e qualificato di donne e uomini di scienza. Compreso il nostro direttore, Telmo Pievani, che afferma: "La presenza di solide competenze scientifiche anche nel nostro Parlamento, oltre a informare correttamente i politici possibilmente prima di importanti leggi e decisioni, aiuta tutta la società a contrastare più efficacemente il diffondersi di fake news su temi attinenti la salute e la scienza".
Insomma, un Comitato per la scienza e la tecnologia capace di analisi indipendenti, bilanciate e accessibili a tutti i cittadini sarebbe utile non solo al Parlamento (e non sarebbe poca cosa), ma anche a noi tutti cittadini che desiderano una società della conoscenza davvero democratica e, quindi, matura nelle sue scelte.
L’appello, proposto da alcuni giornalisti scientifici (tra cui chi scrive) è stato già sottoscritto – oltre che da Telmo Pievani - da fisici e astrofisici, come Lucia Votano, Marica Branchesi, Patrizia Caraveo, Roberto Cingolani e Carlo Rovelli, biologi e biomedici, come Silvio Garattini, Giuseppe Remuzzi, Maria Luisa Villa, Paolo Vineis, Maria Pia Abbracchio e Carlo Alberto Redi, filosofi della scienza, come Giovanni Boniolo, matematici come il presidente del Gruppo 2003, Nicola Bellomo.
Ma è importante che l’appello sia conosciuto e sottoscritto da più persone possibile, anche da noi “laici” ovvero non esperti. Per leggere l’appello e sottoscriverlo, se lo si desidera, basta andare sul sito Change.org, il sito delle petizioni on line e cercare la petizione #ScienzaInParlamento.