SCIENZA E RICERCA
Dopamina, geni e religione

La tesi è una e trina, come si conviene all’argomento. Esiste un “effetto dio”. E anche un “effetto diavolo”. Entrambi sono controllati biologicamente, dalla presenza di un neurotrasmettitore nel cervello: la dopamina.
La tesi, una e trina appunto, è di Patrick McNamara, direttore dell’Evolutionary neurobehavior laboratory presso la Scuola di medicina della Boston University. Il neuroscienziato americano si occupa di capacità cognitive, linguaggio e religiosità nelle persone affette dal morbo di Parkinson. Ed è proprio studiando il comportamento di malati di Parkinson tra gli ex militari assistiti dal VA (Veterans Administration) Boston Healthcare System, che si è imbattuto in un anziano reduce della Seconda guerra mondiale. Un ingegnere molto devoto, che pregava e leggeva la Bibbia in maniera molto intensa e sistematica. Almeno fino a quando il morbo di Parkinson non ha iniziato a manifestarsi: l’anziano reduce continuava a dirsi fervido credente, ma aveva rapidamente perso ogni interesse per le pratiche religiose. Patrick McNamara ha associato quel comportamento alla diminuzione della presenza di dopamina nel cervello. E ha iniziato una serie di studi per verificare se l’intuizione avesse un qualche fondamento scientifico.
Anche perché aveva letto i lavori di Wolfram Schultz, un suo collega in forze all’università inglese di Cambridge che ha dimostrato come nelle scimmie la concentrazione cerebrale di dopamina aumenti quando l’animale riceve una ricompensa enorme, sproporzionata rispetto all’azione fatta per meritarla. Continuando gli studi su umani malati di Parkinson e non, McNamara è giunto alla conclusione che la presenza di dopamina nel cervello è collegata a un incremento del sentimento religioso, proprio perché induce (ma è bene iniziare a usare il condizionale, indurrebbe) l’aspettativa per una “ricompensa enorme”. In ciò corroborato dal fatto che l’uso di sostanze allucinogene, come la psilocibina presente in alcuni funghi, e l’Lsd determinano un aumento dei livelli di dopamina nel cervello e inducono a esperienze mistiche persino in persone normalmente non religiose.
Dunque, sostiene McNamara in un recente articolo apparso sulla rivista Aeon e intitolato, per l’appunto, “The God effect”, persone buone e giuste (santi come Gandhi, Martin Luther King o Caterina da Siena, straordinari innovatori come Zoroastro, profeti come Buddha ed eccelsi pensatori come Confucio) devono (dovrebbero) le loro virtù agli alti livelli cerebrali di dopamina.
Ma è anche vero, argomenta, che se la biosintesi del neurotrasmettitore supera una certa soglia e da alta (più alta della norma) diventa altissima (molto più alta della soglia) ecco che l’infatuazione diventa pericolosa e la persona da santo si trasforma in diavolo. E quindi, diciamo noi l’”effetto dio” si trasforma in “effetto diavolo”. È molto probabile, conclude il neuroscienziato americano, che sia proprio l’elevatissima concentrazione del neurotrasmettitore a spiegare i comportamenti dei tagliagole dell’Isis o degli attentatori alle Torri Gemelle del settembre 2001.
Quelli di Patrick McNamara non sono studi isolati, e si inquadrano in un filone di ricerca sulle “basi biologiche della religione” perseguito da molti anni. Tipo le indagini di Dean Hamer, genetista e autore, nel 2005, di un libro che ha fatto molto discutere: The God gene: how faith is hardwired into our genes – il gene di dio (tradotto anche come il gene-dio): come la fede è programmata nei nostri geni. Hamer aveva analizzato il Dna di oltre un migliaio di persone e sostiene di aver individuato un gene, il VMAT2 per la precisione, che indurrebbe a comportamenti pii e religiosi.
Tutti questi studi cercano di spiegare perché, a un certo punto del loro sviluppo, nelle civiltà umane emerga e si consolidi la necessità di dio. E perché il sentimento religioso sia un fenomeno universale: a tutt’oggi si conoscono almeno 2.400 civiltà umane diverse che hanno sviluppato altrettante credenze religiose e svariati comportamenti di tipo religioso. L’idea è che questo sentimento sia controllato biologicamente e che sia frutto della selezione naturale. Inutile dire che questo approccio di tipo “sociobiologico” che tende a spiegare i comportamenti dell’uomo su una base puramente genetica (o, più in generale, biologica) siano molto controversi. E che, a tutt’oggi, non esistano sufficienti prove scientifiche per poterlo affermare.
La gran parte degli studiosi, afferenti a diverse discipline, è propensa a credere che i comportamenti dell’uomo – soprattutto quelli che, come il sentimento religioso, chiamano in gioco capacità cognitive elevate – siano il frutto soprattutto dell’evoluzione culturale che, per dirla con Theodosius Dobzhansky, tra i padri della sintesi neodarwiniana, costituisce un “trascendimento evolutivo”. In altri termini la cultura umana segue leggi autonome dalla biologia, anche se è vincolata dalla biologia. Di più: è interrelata con la biologia. E dunque può essere anche una certa propensione genetica a indurre una persona a comportarsi da angelo o da diavolo (talvolta la stessa persona si comporta in situazioni diverse sia da angelo che da diavolo), ma questo comportamento è controllato più dalla cultura e dall’ambiente che dalla biologia. Ed è il comportamento che induce risposte biologiche. Certo, non è escluso che la dopamina sia associata al sentimento religioso o anche al fanatismo demoniaco. Ma è da verificare se sia la causa o, piuttosto, l’effetto biologico di un comportamento complesso deciso a tutt’altro livello.
Il problema non è solo di tipo accademico. L’approccio sociobiologico alla spiegazione dei comportamenti umani potrebbe indurre alcuni – non certo valenti scienziati come Patrick McNamara o Dean Hamer – a proporre facili e tuttavia pericolose scorciatoie. Come dire: basta controllare per via farmacologica la dopamina nel cervello delle persone per indurle a comportarsi da angeli invece che da demoni. È molto probabile, invece, che per ottenere comportamenti socialmente accettabili occorra agire sull’ambiente culturale piuttosto che sulla neurofisiologia delle singole persone.
Pietro Greco