UNIVERSITÀ E SCUOLA

La scuola senza condizioni?

Siamo un gruppo di dottorandi e dottori di ricerca in Pedagogia e Scienze della Formazione dell’università di Padova, e ci sentiamo, umanamente e professionalmente, messi in discussione dalla sospensione della professoressa Rosa Maria Dell'Aria dell’istituto Vittorio Emanuele III di Palermo. A lei va, senza esitazioni, la nostra solidarietà per un provvedimento profondamente ingiusto. Nonostante il periodo di sospensione sia concluso (la revoca non è ad oggi stata perfezionata), ci sembra comunque nostro dovere stimolare una riflessione sulle questioni che il fatto di cronaca lascia emergere.

Oltre alla preoccupazione per la vicenda umana e professionale della collega, ci sentiamo interrogati dallo stabilirsi di un pericoloso precedente: che ne è della scuola come spazio libero di discussione, se le riflessioni degli allievi sono sottoposte a controllo giudiziario? Se esistono opinioni che non possono essere espresse e discusse nello spazio franco della scuola, se esiste critica che – corretta o meno che sia – non può essere messa sul tavolo, che ne è della missione formativa della scuola? Proponiamo allora alcune riflessioni che, a partire dalla vicenda di cronaca, speriamo contribuiscano a un sano dibattito sull’insegnamento in Italia. 

Un episodio come questo, eclatante soprattutto per la sproporzione tra quanto effettivamente accaduto in classe e le misure giudiziarie a carico della professoressa, non può non farci porre l’attenzione sulla situazione della scuola italiana in merito alla libertà di insegnamento.

Alla luce del fatto e dello scenario politico-sociale dentro il quale si inserisce, ci sentiamo di domandarci: cosa fa della scuola un luogo pubblico? Cosa permette alla scuola di essere un luogo libero pur rimanendo un’istituzione soggetta a una qualche forma di controllo e di governo? 

Un elemento che colpisce è la rottura dello “spazio sacro” della classe. Il prodotto di una ricerca scolastica (ricordiamolo, prodotto di una ricerca degli studenti e non materiale proposto dall’insegnante) è stato – ancora non si sa come, stando ai principali quotidiani – sottratto e diffuso in rete da un attivista politico, quindi segnalato alle autorità competenti che hanno avviato le indagini a carico dell’insegnante. Sorvoliamo poi sull’intervento assolutamente sproporzionato delle forze dell’ordine in un istituto scolastico, che richiama alla memoria pagine tragiche della storia italiana. Il tutto lascia emergere un’immagine di scuola come realtà che non riesce a sottrarsi alla logica e alla dinamica degli scontri propagandistici in atto nel paese, riducendosi in questo modo a un terreno di scontro – e non di confronto – come tanti altri. È diventato impensabile che la scuola possa rimanere uno spazio di crescita e luogo di educazione – non solo di istruzione – sano, aperto, plurale? Dove altrimenti si può imparare a essere cittadini attivi, coscienti e consapevoli? Dove si può imparare a pensare, a osare, a credere, a negoziare, a immaginare, a sperare, a mettere in discussione, anche – perché no? –  per prove ed errori?

Sono state spese in questi giorni molte parole sui contenuti della ricerca svolta dagli studenti di Palermo e sui paragoni storici che propone. Corretti o no, accurati o grossolani, poco importa. È una ricerca fatta da studenti, che può e deve essere discussa, approfondita, migliorata, magari confutata. È invece preoccupante la censura preventiva. La discussione in classe deve potersi esercitare a partire da ogni posizione o esistono argomenti tabù? Come far sì che la scuola non si riduca a uno strumento al servizio della propaganda politica, senza pretenderne un’impossibile neutralità? 

Il significato e il ruolo dell’istituzione scolastica attraversano oggi una profonda crisi, di fronte alla quale non intendiamo proporre soluzioni ma suscitare le domande alle quali, dal nostro punto di vista, è più urgente rispondere:

“Una crisi ci costringe a tornare alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto; e si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravando così la crisi e per di più rinunciando a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce” (Hannah Arendt).

Dalla scuola di dottorato in Scienze Pedagogiche, dell’Educazione e della Formazione - dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell'università degli Studi di Padova:

Nicola Andrian, Daniela Moreno Boudon, Annachiara Gobbi, Lucrezia Crosato, Antonio Donato, Ignacio Pais, Martina Pierantoni, Michele Porfiri, Federico Rovea, Giorgia Ruzzante, Giuseppe Lucio Santamaria, Giulia Scarlatti, Denise Tonelli

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