SOCIETÀ
Argentina, aborto a rischio: tagli e restrizioni mettono in crisi la legge del 2020

Una delle manifestazioni a favore della legge sull'aborto, nel 2020, a Buenos Aires. Foto: Reuters
L’aborto è un diritto, o dovrebbe esserlo, almeno dove la legge lo consente: ma sempre più frequenti sono i casi dove cresce l’intolleranza, la limitazione dell’accesso ai servizi per le donne: l’ultimo allarme arriva dall’Argentina, dove l’aborto è ancora oggi consentito entro la 14esima settimana dal concepimento. La legge in questione, approvata il 30 dicembre del 2020, dispone che se una donna entra in un qualsiasi centro sanitario, pubblico o privato, con la decisione di abortire deve trovare adeguata assistenza (prima di allora l’aborto era consentito solo in caso di stupro o quando la salute della madre era a rischio). Ora però, secondo Mariela Belsky, avvocata, attivista, nonché direttrice della sezione locale di Amnesty International, da quando Javier Milei ha conquistato la presidenza del paese la situazione del rispetto della legge sull’aborto è drammaticamente peggiorata: “Non stiamo assistendo solo a tagli di bilancio, ma a uno smantellamento deliberato e sistematico delle politiche pubbliche in materia di salute sessuale e riproduttiva, motivato da una logica ideologica”, sostiene Belsky in un rapporto appena pubblicato. “Con il pretesto del cosiddetto “controllo della spesa” il governo nazionale sta tagliando i finanziamenti ai programmi chiave. In realtà, si tratta di un'offensiva contro quella che lui chiama “ideologia di genere”. Il governo sta erodendo lo Stato dall’interno, indebolendo la sua capacità di garantire i diritti, compresa la salute sessuale e riproduttiva”.
La scomparsa delle pillole abortive
E i numeri raccolti da Amnesty sono eclatanti: nel 2023 lo Stato aveva fornito più di 166mila dosi di misoprostolo e una terapia congiunta mifepristone-misoprostolo, nota come “combipack”, che risulta particolarmente efficace per porre fine a una gravidanza non superiore alle 13 settimane. Nel 2024, da quando Milei è salito al potere, la distribuzione “centralizzata” delle pillole abortive è stata completamente interrotta, delegando la responsabilità alle 23 province del paese, spesso impreparate per affrontare con efficacia un compito del genere. Ma più della metà di questi enti locali, alcuni dei quali sono guidati da politici anti-abortisti, hanno comunque denunciato una forte carenza di misoprololo, mentre quasi tutti segnalano difficoltà nel reperire la terapia “combipack”. Non ci sono fondi, non c’è budget: da Buenos Aires hanno chiuso i rubinetti. La Rete per l’Accesso Sicuro all’Aborto in Argentina (REDAAS) sostiene che siamo di fronte a un “brutale declino dei finanziamenti per le misure essenziali per la fornitura di servizi di aborto gratuiti attraverso il sistema sanitario pubblico, come garantito dalla legge. In alcuni casi, le donne devono acquistare il farmaco da sole, che può costare circa 170.000 pesos argentini per entrambi i farmaci (circa 125 euro, secondo il tasso di cambio ufficiale) o 100.000 pesos per il solo misoprostolo (75 euro). E non si tratta di cifre di poco conto, in un paese dove il 38% della popolazione è costretta a vivere al di sotto della soglia di povertà. Del resto il presidente Milei non ha mai nascosto il suo pensiero sull’argomento (“L’aborto è un omicidio aggravato”) definendo gli attivisti pro-aborto, che da sempre indossano abiti o fazzoletti verdi come simbolo della loro azione civile, “gli assassini con le sciarpe verdi”.
“ L'aborto è un omicidio aggravato Javier Milei
Lo scorso gennaio, intervenendo al World Economic Forum, ha sostenuto che i gruppi a difesa dei diritti delle donne “sono promotori dell’agenda sanguinaria e omicida dell’aborto”. In campagna elettorale aveva promesso che avrebbe indetto un referendum per abrogare l’accesso all’aborto, ma finora si è accontentato di “svuotare” la norma bloccando i fondi necessari per renderla applicabile. Inoltre il suo governo ha ridimensionato la spesa pubblica per i contraccettivi, ha eliminato il ministero delle Donne, dei Generi e della Diversità, ha cancellato i programmi statali contro la violenza sulle donne, ha perfino vietato l’uso di un linguaggio neutro rispetto al genere nel servizio civile, anche nella documentazione ufficiale.

Il presidente argentino Javier Milei
L’Argentina come un “laboratorio”
Sono cinque gli ostacoli principali evidenziati nel rapporto di Amnesty International: mancanza di forniture mediche, mancanza di informazioni sul diritto all’aborto, presenza di consulenti che diffondono disinformazione e cercano di dissuadere le donne dall’esercitare il loro diritto, ritardi ingiustificati, maltrattamenti da parte di professionisti della salute. Al punto che le richieste di aiuto, di sostegno o di consulenza sono aumentate, nel 2024, del 275% rispetto all’anno precedente. Ma in quel rapporto c’è qualcosa di ancor più allarmante. La stessa Mariela Belski dichiara: “Noi di Amnesty International riteniamo che l’Argentina sia usata come modello, come una sorta di laboratorio per l’applicazione di politiche regressive in materia di diritti umani, compresi i diritti sessuali e riproduttivi. L’attuale situazione in Argentina ricalca perfettamente il Project 2025 elaborato della Heritage Foundation, un movimento reazionario globale che cerca di smantellare le conquiste duramente conquistate dalle donne”. E in una successiva intervista alla radio francese RFI, la direttrice di Amnesty Argentina ha precisato: “Notiamo con preoccupazione che un numero significativo di politiche promosse dal governo di Javier Milei sono in linea con le agende ultraconservatrici che circolano su scala globale. Ci sono chiare risonanze con i discorsi e le strategie promosse da leader come Trump, Orbán o Meloni” (e in Italia, nell’aprile dello scorso anno, è stata approvata la legge che consente l’ingresso delle associazioni pro-vita nei consultori). “Il governo argentino - prosegue Belski - sta tentando di ristabilire un modello regressivo. Questa offensiva ideologica non è né fortuita né isolata. Fa parte di una tendenza globale guidata da settori conservatori che cercano di invertire le conquiste fatte dai femminismi in tutto il mondo. Raggiungono questo obiettivo diffondendo narrazioni stigmatizzanti e diffondendo informazioni false, spesso attraverso i social media o i forum politici internazionali”.
L’origine del Project 2025
Il Project 2025, cui fa riferimento il rapporto di Amnesty International, è un documento di oltre 900 pagine redatto prima dell’elezione alla presidenza di Donald Trump, dall’Heritage Foundation, un centro studi americano di chiaro stampo conservatore, fondato nel 1973, composto principalmente da esponenti repubblicani, insieme a decine di altre organizzazioni di destra, anche estrema, spesso ispirate dalle Chiese cristiano evangeliche statunitensi, un movimento quasi “privato” che negli Stati Uniti è largamente maggioritario (l’ultimo censimento, dello scorso maggio, certifica l’esistenza di 4.229 Chiese Evangeliche soltanto negli Usa), che nasce all’interno del protestantesimo e che rifiuta ogni intermediazione teologica (chiunque può fondare una “sua” chiesa), favorendo o comunque non ostacolando atteggiamenti aggressivi e verbalmente violenti nei confronti di chi è visto come un oppositore. Un documento, di fatto un programma politico, che nasce con il proposito di stabilire le linee guida del governo federale americano (e non soltanto), affidando un maggiore potere al presidente. Un’agenda politica radicale che è diventata uno schema, un manuale, applicabile ovunque ce ne sia bisogno. Gli obiettivi politici principali sono 4: “Ripristinare la famiglia come fulcro della vita americana; smantellare lo stato amministrativo; difendere la sovranità e i confini della nazione; garantire i diritti individuali dati da Dio a vivere liberamente”.
Interessante guardare con attenzione al capitolo “Aborto e Famiglia”, come riporta la Bbc in un approfondimento pubblicato pochi mesi fa e incentrato principalmente sulla politica americana: “Il documento non chiede un divieto assoluto di aborto a livello nazionale. Tuttavia, propone di ritirare la pillola abortiva mifepristone dal mercato e di utilizzare le leggi esistenti ma poco applicate per impedire che il farmaco venga inviato per posta. Il Project 2025 propone nuovi sforzi di raccolta dati sull’aborto e, più in generale, suggerisce che il dipartimento della Salute e dei Servizi Umani dovrebbe “mantenere una definizione di matrimonio e famiglia basata sulla Bibbia e rafforzata dalle scienze sociali“. E Trump ha eseguito alla lettera: firmando una serie di ordini esecutivi, lo scorso gennaio, poche ore dopo il suo insediamento, per impedire l’utilizzo di fondi federali per la pianificazione familiare e altri programmi sanitari che indichino l’aborto come opzione percorribile. Uno degli ordini esecutivi, per fare soltanto un esempio, ha abrogato alcune indicazioni dell’amministrazione Biden che invece incoraggiavano le agenzie governative a cercare modi “per proteggere ed espandere l’accesso alle cure per l’aborto, compreso l’aborto farmacologico, e l’intera gamma di servizi di assistenza sanitaria riproduttiva, compreso il controllo delle nascite e la contraccezione d’emergenza.
E mentre l’estrema destra pianifica, suggerisce e applica, la sinistra rimane senza bussola, a dibattersi nel vuoto, come falene impazzite davanti a una luce accesa, confuse e incapaci di reagire. Come spiega, senza troppi giri di parole, il Global Project Against Hate and Extremism (GPAHE), un’organizzazione senza scopi di lucro impegnata a promuovere il valore dei diritti umani e a contrastare il razzismo, il fanatismo e il pregiudizio: “Project 2025 è più di un progetto per il nazionalismo cristiano e l’autoritarismo: è un’agenda attiva. Questa “robusta agenda di governo” è una tabella di marcia autoritaria. Minaccia i diritti civili e umani (degli americani) e cerca di ristrutturare radicalmente la società, espandendo il potere esecutivo e imponendo politiche nazionaliste cristiane in ogni aspetto della vita pubblica. In questo quadro, le persone LGBTQ+, gli immigrati, le donne e le persone di colore vedono i loro diritti sistematicamente erosi. Il diritto di voto, la libertà riproduttiva, l’istruzione pubblica e il pluralismo religioso vengono sostituiti da politiche dettate dall’ideologia di estrema destra. Gli sforzi per promuovere la giustizia e l’equità razziale vengono chiusi, mentre le agenzie che monitorano i progressi su questi temi devono essere eliminate. E la libertà di stampa e di espressione è minacciata come mai prima d'ora, colpendo il cuore della nostra stessa democrazia. Nel frattempo - conclude GPAHE - la scienza e la politica vengono riscritte per servire fini politici. La ricerca sul cambiamento climatico viene soppressa a favore della disinformazione sostenuta dall’industria e le narrazioni di estrema destra sul genere, la salute riproduttiva e l’istruzione stanno avendo la precedenza sulla competenza medica e sulla libertà accademica”. È già tutto scritto, e lo schema può essere applicato ovunque: esserne consapevoli è indispensabile.