SOCIETÀ
Una Costituzione da ascoltare, prima che da cambiare

Foto: Emiliano Mancuso/Contrasto
Il richiamo alle riforme istituzionali costituisce un punto costante nella vita politica del nostro paese, per lo meno dalla prima commissione bicamerale, presieduta da Albo Bozzi e istituita esattamente trent’anni fa. Un punto per la verità piuttosto sterile, visto che quello che è stato fatto in tutti questi anni – interventi non innocui, se solo si considerano la riforma del titolo quinto e l’introduzione del cosiddetto “giusto processo” – pare avere lasciato non poche perplessità e insoddisfazioni, senza portare a passi avanti inequivoci nella soluzione dei problemi indicati.
Allo stesso tempo,negli ultimi anni si è formato un movimento che, spesso sotto l’egida di giuristi, intellettuali ed esponenti della società civile, punta invece alla salvaguardia del testo e dello spirito originale della Costituzione del ’48. Un percorso che ha avuto il suo apice con il referendum costituzionale del 2006, quando il 61,7% dei votanti si espresse contro la devolution e il cosiddetto premierato forte.
A sette anni di distanza lo scontro, mai sopito, si ripropone anche oggi, visto che il governo Letta ha fatto delle riforme istituzionali un punto programmatico della sua azione. Ne abbiamo parlato con il magistrato ed ex parlamentare Domenico Gallo, che a Padova ha presentato il suo ultimo libro Da sudditi a cittadini. Il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele 2013) nell’ambito dell’ultima edizione della Fiera della parole. Più che un libro sulla Costituzione, sulla storia delle istituzioni del nostro paese, scritto da giurista ma in maniera quasi narrativa, con tanto di cd allegato con filmati, musiche e documenti.
Perché un libro sulla Costituzione, e a chi è rivolto?
Perché mi sono reso conto che il problema più importante in questo momento è quello di trasmettere dei significati alle generazioni future. Oggi i giovani vivono immersi in una sorta di eterno presente, e quindi non recepiscono più il patrimonio di esperienze elaborate da chi le ha preceduti. È una situazione molto grave: tra giovani e adulti ci sono sempre stati conflitti, non era però mai accaduto che una generazione rigettasse del tutto l’eredità di quelle precedenti solo perché non le conosceva. C’è un analfabetismo costituzionale di ritorno ed è importante partire dalla base per cercare di far sì che le esperienze e i valori maturati nella storia d’Italia, sintetizzati dalla Costituzione, vengano recepiti dalle generazioni future e trasmessi a quelle che seguiranno.
Dalla lettura del libro sembra emergere una posizione non molto favorevole alle riforme istituzionali. Eppure è la stessa Costituzione a prevedere una procedura per la sua riforma, per lo meno per la seconda parte: non le sembra un paradosso?
Personalmente credo che sia possibile cambiare qualcosa persino nella prima parte. Il problema è quello di rispettare gli assi portanti, il volto delle istituzioni così come concepite dal legislatore costituente. La prima cosa da fare è quindi rispettare le procedure costituzionali di revisione, non certo indebolendo il carattere rigido o semirigido della carta costituzionale. Il problema non sono i saggi, ma la riforma proposta dell’articolo 138 e l’istituzione per la terza volta di una commissione bicamerale, che marca un procedimento di revisione al di fuori dei binari disegnati nel 1948 [il riferimento è al disegno di legge costituzionale del governo approvato in prima lettura sia al Senato che alla Camera, ndr].
Eppure già altre volte le scelte dei costituenti sono state rimesse in discussione, ad esempio quando fu drasticamente ridimensionata l’immunità parlamentare.
Successe perché nell’esperienza storica si era verificato un abuso di quest’istituto: i partiti avevano snaturato il suo ruolo, facendolo diventare un privilegio per nascondere situazioni di potere inconciliabili con la democrazia. Legittimamente quindi, attraverso una regolare procedura di revisione, si scelse di cambiare questa norma.
Ma un abuso del genere non potrebbe essersi verificato riguardo ad altre parti della Costituzione?
Indubbiamente c’è una malattia, una febbre delle istituzioni. Il problema è capire quali sono le cause e quali possono essere i rimedi. Prendiamo ad esempio il meccanismo, apparentemente un po’ farraginoso, del bicameralismo perfetto: può sicuramente essere modificato, ma molte volte si è rivelato utile, una garanzia che ha impedito che entrassero in vigore norme palesemente incostituzionali e che ha consentito di mobilitare l’opinione pubblica per chiedere delle correzioni al Parlamento. Troppa velocità quindi non si può chiedere alle istituzioni che devono decidere, perché la democrazia ha bisogno anche dei suoi tempi.
Daniele Mont D’Arpizio