SOCIETÀ

La Costituzione riscritta dalla crisi

Cosa c’entra la costituzione con la crisi? Il diritto, sosteneva Hans Kelsen, ha poco o nulla a che fare con la realtà; i giuristi, secondo questa visione, dovrebbero occuparsi solo della validità delle norme – in tedesco, del Sollen: il “dover essere” – e lasciare a storici, politologi e ai sociologi il compito di valutarne gli effetti concreti. Eppure anche il sistema teoricamente più solido scricchiola, quando la distanza  tra i proclami e la realtà dei fatti inizia a diventare troppo grande: proprio da questo spunto sembra partire l’ultimo convegno dell’Associazione Italiana Costituzionalisti, dedicato al tema “Spazio costituzionale e crisi economica” La questione è tutt’altro che oziosa: in teoria istituzioni e cittadinanza dovrebbero essere indipendenti dalle risorse a disposizione. In pratica la lunga depressione economica, in un mondo in cui sistemi giuridici statali e internazionali sono sempre più interconnessi, sta già producendo effetti non solo sull’attuazione dei diritti costituzionali, in particolare sociali (pensioni e sanità in testa), ma anche sulla stessa architettura costituzionale dello stato. Ne è un esempio la recente introduzione nella Costituzione del principio del pareggio di bilancio: “Il nuovo articolo 81, introducendo un richiamo diretto ai cicli economici, obbligherà i giudici costituzionali a fare valutazioni da economisti”, ha detto nel suo intervento Gaetano Silvestri, da poco nominato presidente della Corte Costituzionale. Le politiche di austerità inoltre, intrecciate ai meccanismi decisionali europei, mettono in crisi lo stesso principio della responsabilità politica: “Molte volte di un provvedimento si dice che ‘l’ha deciso l’Europa’. Che sia vero o no nel caso specifico è una questione importante, visto che gli atti delle istituzioni europee sono sottratti al giudizio della Consulta”.

Secondo Gunther Teubner, docente di diritto privato e di sociologia del diritto presso la Goethe-Universität di Francoforte, “La globalizzazione e la catastrofe finanziaria sollevano non solo dei problemi politici ma anche costituzionali, diversi da quelli del diciannovesimo e del ventesimo secolo”. Una serie di energie costruttive-distruttive come il mercato e l’economia, i media, la tecnologia e la ricerca scientifica agiscono ormai su scala globale, dando luogo a veri e propri fenomeni transnazionali di costituzionalizzazione. “Nello spazio transnazionale negli ultimi trent’anni il Washington Consensus (le direttive di politica economica promosse dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, ndr) non ha prodotto meramente delle regolazioni politiche, ma piuttosto la standardizzazione di principi costituzionali – ha sostenuto lo studioso –  Questi ultimi sono stati finalizzati a garantire illimitati margini di manovra per le imprese operanti a livello globale, ad abolire le partecipazioni pubbliche, a combattere il protezionismo commerciale e a liberare gli attori economici dalle regolamentazioni politiche”. Soltanto oggi la situazione sembra avviata al cambiamento: “In seguito alla quasi-catastrofe delle ultime crisi economico-finanziarie, sembrano essersi messi in moto processi d’apprendimento collettivo che in futuro potrebbero portare a limitazioni costituzionali per l’economia a livello globale”.

Anche dal punto di vista interno i cambiamenti dell’economia hanno pesantemente influenzato l’evoluzione del sistema politico e istituzionale. “L’Italia ha bisogno di circa 400 miliardi di euro l’anno per rinnovare il suo debito pubblico – ha detto Giovanni Pitruzzella, costituzionalista e presidente dell’Antitrust – Quando uno Stato ha bisogno di accedere alle risorse del resto del mondo per finanziare il suo debito deve conquistare e mantenere la fiducia dei mercati”. Il passaggio alla condizione permanente di ‘stato debitore’, per di più fonte di rischio continuo in tempo di crisi finanziaria, comporta un radicale cambiamento nei meccanismi decisionali del governo: oggi “le politiche pubbliche nazionali devono muoversi nell’ambito di un quadrilatero i cui lati sono la lealtà dei cittadini, la fiducia dei mercati finanziari, il rispetto dei vincoli europei e l’impegno nelle sedi sovranazionali, la fiducia degli operatori economici che richiede un incremento della competitività del Paese”. Non è tutto, visto che gli anni della crisi hanno visto, in un contesto di generale debolezza istituzionale, il consolidarsi della Presidenza della Repubblica: “L’enlargement of functions che, sia pure nel rispetto delle larghe maglie costituzionali, ha caratterizzato quest’organo risponde all’insopprimibile esigenza di prestazioni di unità in un sistema frammentato, disperso, debole, inconcludente ma che si trova ormai costretto, per neutralizzare il rischio della catastrofe economico-finanziaria, a fare coesistere le quattro fiducie di cui si è detto”.

Anche il sistema politico-istituzionale comunque ha effetti sull’economia: “Secondo Daron Acemoglou e James Robinson, per comprendere la prosperità economica e il declino delle nazioni bisogna tenere conto del modo in cui le loro istituzioni sono conformate. Da una parte le nazioni ricche con istituzioni inclusive, dall’altra quelle povere o in declino con istituzioni estrattive, che tolgono ricchezza alla società per attribuirla ad alcuni gruppi e creano circoli viziosi che impediscono la crescita”. Va da sé che, secondo Pitruzzella, la situazione italiana non giova certo alle prospettive di crescita, caratterizzata com’è dal deperimento delle istituzioni di governo, solo in parte compensato dalla crescita di ruolo di quelle di garanzia (come la Corte Costizionale): nei termini dei giuristi, “Iurisdictio senza gubernaculum”.

Stelio Mangiameli ha poi trattato il tema della distribuzione territoriale del potere politico, con la perdita di centralità del progetto federalista: “L’idea di fondo sembra essere costituita dalla convinzione che le regioni e le autonomie locali rappresentino uno spreco di risorse finanziarie da eliminare, senza alcuna considerazione delle conseguenze sui cittadini e sui territori”. Eppure, secondo il costituzionalista, solo in Italia in questo momento il federalismo appare in crisi, mentre persino la Francia sta pensando a come rafforzare le funzioni dei Département. Oggi il passaggio da un regionalismo ‘cooperativo’, che ha caratterizzato gli anni successivi alla riforma del Titolo V della Costituzione, a un modello ‘coercitivo’, rischia di danneggiare i cittadini, allontanando sempre più i punti nevralgici dove vengono prese le decisioni da coloro che da quelle decisioni sono coinvolti: “Anche la stessa abolizione delle province rischia in realtà di ‘provincializzare’ le regioni, più che di rafforzarle. E il governo dovrebbe preoccuparsi più di difendere gli interessi italiani nelle istituzioni internazionali, piuttosto che di limitare la competenza della Regione Molise in materia di energia”.

Daniele Mont D’Arpizio

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