Ecologia del rugby: uno scienziato in meta

Andrea Rinaldo fotografato da Massimo Pistore. L'intervista è stata realizzata al Centro sportivo Memo Geremia - Petrarca Rugby, Padova
“L’ecologia del rugby - l’abbondanza nello spazio e nel tempo di specie di giocatori adatti a prevalere evolutivamente occupando una nicchia ecologica di successo – prevede che non tutti gli atleti abbiano la stessa sorte nel coltivare e sviluppare le proprie doti. Se lo potranno fare, ciò dipenderà da caso e da necessità insieme: ovvero dalle circostanze che portano a un contesto che insegni a giocare e dal posto che gli atleti occupano nella gerarchia di quel contesto”. Andrea Rinaldo riflette sulle dinamiche e l’evoluzione della palla ovale, lo fa da tempo e ora condivide il suo pensiero nel volume Storia e attualità del rugby nel contesto veneto e internazionale, da lui curato insieme al giornalista Andrea Passerini, con saggi di Gherardo Ortalli, Umberto Curi, Gianluca Barca e Luciano Ravagnani, recentemente pubblicato da Fondazione Benetton Studi Ricerche-Viella (Treviso-Roma 2025).
Ecologia del rugby
Partendo da qui, ci poniamo le prime domande, che avvicinano mondi solo apparentemente lontani: la ricerca scientifica e la pratica sportiva, di alto livello, hanno molto da dirsi. Per esempio, come si creano le condizioni affinché dei giovani imparino a giocare a rugby? Quale l'evoluzione di questo sport, considerandone anche tutto il bagaglio culturale ("perché il gioco è all’origine della civiltà")? Come e quanto si è trasformato nel passaggio al professionismo? Su questi interrogativi si fonda una vivace riflessione attorno all’ecologia del rugby, le sue dinamiche e una specifica storia evolutiva. Stephen Jay Gould, figura centrale della ricerca paleontologica, era un grande appassionato di baseball: le sue considerazioni sul significato della progressione dei record sportivi e le deduzioni evoluzionistiche a partire dalle statistiche del gioco si possono applicare anche al rugby. “Le similitudini tra i record di Joe Di Maggio e l’estinzione dei dinosauri mi sono sembrate davvero irresistibili”, racconta Rinaldo nel suo ultimo libro, trasferendo quelle intuizioni al mondo della palla ovale, per poi spiegare a Il Bo Live: "Stephen Jay Gould ha visto nello studio delle statistiche del baseball i segni dell'evoluzione biologica. Si era chiesto il motivo della scomparsa di una certa media delle battute: questo accadeva perché erano migliorati collettivamente i giocatori. Non erano spariti i giganti del baseball, ma erano tutti diventati più bravi". Così, nel cammino di evoluzione della palla ovale.
Servizio di Francesca Boccaletto e Massimo Pistore
Uno scienziato in meta
Nel 2023 vince il Nobel dell’Acqua, primo italiano nella storia del prestigioso Stockholm Water Prize. Emerito di Costruzioni idrauliche nell’Università di Padova ed Emeritus Professor nella École Polytechnique Fédérale de Lausanne, Andrea Rinaldo è uno scienziato ma è stato anche un ottimo giocatore di rugby. Con lui abbiamo parlato di scienza e sport, studenti e atleti, partendo da una riflessione sull’ecologia del rugby per arrivare alla condivisione dei ricordi sul campo.
Quattro i caps (presenze in partite ufficiali della Nazionale) nel ruolo di seconda linea con la maglia dell’Italia, nel 1977, prima di essere costretto a rinunciare alla carriera agonistica a causa di un infortunio: “Ho fatto lo scienziato come piano b perché a 23 anni ho rotto i legamenti del crociato del ginocchio sinistro. A quel tempo non c’era la chirurgia che abbiamo oggi, un infortunio come il mio segnava la fine della carriera d’eccellenza. Dunque, sono andato a fare il dottorato, che in Italia ancora non c’era, ero un buon studente di Ingegneria. Ho smesso di giocare nel 1980, la prima Coppa del mondo si è giocata nel 1987, se ci fosse stata l’opportunità di andare, non avrei fatto il dottorato”.

Andrea Rinaldo (a destra) in campo nel 1977, durante la partita XV del Presidente - All Blacks. La fotografia di Paolo Gioli è resa disponibile da Andrea Rinaldo e da Fondazione Benetton Studi Ricerche
La memoria del gioco
C'è una partita che, regolarmente, torna ad abitare i suoi sogni e, “a volte, ho ancora la sensazione di essere lì, di correre per andare in sostegno di un compagno, cinquant’anni dopo: sono emozioni talmente profonde da essere richiamate dalla memoria involontaria”. Il match è quello giocato allo Stadio Appiani di Padova, nel novembre 1977: in campo le formazioni del XV del Presidente, selezione del campionato italiano, e dei già mitici All Blacks, la prima volta di una squadra italiana contro i fenomenali neozelandesi. Nella foto scattata da Paolo Gioli, a cui Andrea Rinaldo è particolarmente legato, si vede Bryan Williams, con la palla in mano, impegnato in una azione di gioco resa immortale dall'obiettivo del fotografo, con lui Brad Johnstone, molti anni dopo diventato commissario tecnico della nazionale italiana, dal 2000 al 2002. I due All Blacks dividono la scena proprio con Rinaldo. Quella partita viene ancora oggi ricordata dagli appassionati della palla ovale come l’esame di maturità del rugby italiano: Italy’s come of age, così venne definita dalla stampa dell’epoca. Gli All Blacks vinsero superando gli italiani solo di una manciata di punti (9-17), un risultato più che onorevole per i debuttanti.


Andrea Rinaldo, ieri e oggi: nella prima foto è in campo negli anni Settanta, impegnato in touche - per gentile concessione Petrarca Rugby - la seconda, scattata da Massimo Pistore nel settembre 2025, lo ritrae al Centro Memo Geremia
“ Lo sport educa alla scienza, perché insegna che non ci sono scorciatoie e il risultato è la logica conseguenza del lavoro fatto Andrea Rinaldo
Studenti e atleti: un cammino di scoperta e conoscenza
"Lo sport educa alla scienza, perché insegna che non ci sono scorciatoie e il risultato è la logica conseguenza del lavoro che hai fatto”, spiega Rinaldo a Il Bo Live. "Questo vale in particolare per il rugby perché si tratta di uno sport imparziale: i più bravi, i più forti, i più adatti, i più preparati vincono sempre, non è uno sport e un mestiere per furbi, è scritto anche nelle regole del gioco. L’esperienza sportiva ad alto livello è una esperienza educativa e deve essere portata nel mondo reale, per crescere persone capaci di dare un contributo alla società civile. Io sono universitario al cento per cento e penso che i talenti dello sport di eccellenza debbano essere preparati: l’università è perfetta per questo”. I due mondi si parlano, in maniera profonda e proficua: studenti e atleti condividono un cammino di scoperta e conoscenza.
In chiusura, oltre la narrazione epica, oltre la leggenda, ci siamo chiesti se quello che si dice sul rugby sia tutto vero: è una scuola di vita, valori e amicizia? “Io non posso essere imparziale, forse non chiedi alla persona giusta - risponde Rinaldo, divertito -, perché quelle esperienze e quelle amicizie sono ancora con me. Le persone con cui ho giocato cinquant’anni fa sono amici fraterni e quello che ho imparato in campo mi è servito nella vita: si impara a farsi male e rialzarsi, a superare i proprio limiti, a essere persone serie e a controllare la paura. Se volete fare gli scienziati, la cosa migliore è iniziare a giocare a rugby da giovani”.