SOCIETÀ

Ecuador, il Paese dilaniato dalla criminalità al ballottaggio per le presidenziali

Sarà di nuovo una sfida a due, tra il presidente uscente dell’Ecuador, Daniel Noboa, giovane e ricco imprenditore (la famiglia è proprietaria della più grande azienda di export di banane, la Fruit Shippers Ltd), conservatore e filo-trumpiano, e l’avvocata Luisa González, candidata del Movimiento Revolución Ciudadana, progressista, anti-neoliberista e d’ispirazione correista (dal nome dell’ex presidente Rafael Correa, che è stato presidente della nazione per tre mandati consecutivi, fino al 2017). Il primo turno delle presidenziali si è concluso domenica scorsa con un sostanziale pareggio tra i due candidati principali, che si erano già affrontati nel 2023 dopo le dimissioni anticipate dell’ex presidente Guillermo Lasso (vinse Noboa con il 51%), e che invece questa volta si sono divisi praticamente alla pari oltre l’88% dei voti: il che fotografa con una certa fedeltà la profonda spaccatura in atto nel paese sudamericano, un tempo sinonimo di pace e tranquillità, oggi lacerato da una straordinaria impennata di criminalità e di violenza, trasformato in terra di conquista dalle bande di narcos, che hanno trasformato l’Ecuador in paese “di transito” degli stupefacenti (sul punto torneremo più avanti). Lo “sconfitto”, almeno in questa prima tornata elettorale, è proprio Noboa, che puntava forte sulla rielezione fin dal primo turno e che invece dovrà rischiare nella sfida decisiva, al ballottaggio in programma il prossimo 13 aprile. Talmente deluso dall’esito del voto da decidere di non presentarsi nell’hotel di Quito dove i suoi sostenitori lo stavano aspettando. Di segno opposto l’esultanza di Luisa González: "Per noi questo risultato è un grande trionfo", ha dichiarato la leader di “Rivoluzione Cittadina”, che ha già cominciato a “corteggiare” il terzo classificato, Leonidas Iza, presidente della Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (Conaie) e candidato per Pachakutik (il partito d’ispirazione socialista e indigenista), che ha ottenuto il 5,2% delle preferenze: non un’enormità, ma è verosimile ipotizzare che il ballottaggio si deciderà sul filo dei decimali.

Tra violenze e blackout

Il voto di domenica scorsa ha comunque confermato che non tira buon vento nelle vele di Daniel Noboa, il cui indice di gradimento è passato in poco più di un anno dall’81% al 32%. Diversi i fattori che stanno appesantendo il giudizio sul suo operato, a partire dal sostanziale fallimento della sua politica del “pugno di ferro” contro la criminalità organizzata, che non ha prodotto i risultati sperati, anche se nel 2024 gli omicidi hanno registrato un lieve decremento (quasi 7mila vittime, il secondo anno più violento nella storia dell’Ecuador), mentre sono cresciuti di molto i rapimenti e le estorsioni. All’inizio di gennaio del 2024 Noboa aveva proclamato lo stato di “conflitto armato interno”, una sorta di dichiarazione di guerra civile, che gli aveva consentito di governare per quasi tutto l’anno con misure eccezionali di polizia (come le perquisizioni domiciliari senza mandato dei giudici, o il divieto di assembramenti pubblici) ritenute necessarie per contrastare l’attività delle bande di narcotrafficanti. Lo scorso mese, gennaio 2025, gli omicidi sono stati 750, un record assoluto nella più recente storia del paese sudamericano. Secondo il quotidiano El Universo, «la violenza criminale è dovuta soprattutto allo scontro in atto tra le bande di Chone Killer e Latin Kings», in lotta per spartirsi il territorio. Scriveva a fine dicembre Insight Crime, autorevole testata di giornalismo investigativo sul crimine organizzato nelle Americhe: "L’Ecuador, nel 2024, è stata l’ultima nazione latinoamericana a tentare una risposta militarizzata per combattere la criminalità organizzata. Ma la repressione ha mancato il bersaglio, portando a una riorganizzazione piuttosto che alla distruzione dei gruppi criminali del paese". E ancora: "Il sistema carcerario dell’Ecuador è diventato uno snodo criminale chiave, fungendo da incubatore per gruppi come i Choneros, che si sono trasformati da una banda locale di narcotrafficanti alla più grande organizzazione criminale del paese. Il gruppo ha costruito un feudo criminale dietro le sbarre, stringendo legami con altri criminali incarcerati e trafficanti di droga, reclutando nuovi membri tra la popolazione carceraria generale e coordinando impunemente le operazioni al di fuori delle carceri. E chi tenta di opporsi, viene brutalmente assassinato".

Ma Noboa, che nell’aprile del 2024 aveva ordinato alla polizia di fare irruzione all’interno dell’ambasciata messicana (in clamorosa violazione delle norme che regolano il diritto internazionale) per arrestare l’ex vicepresidente, Jorge Glas, accusato di corruzione, viene anche incolpato per non aver saputo arginare la recessione economica, così come l’aumento della povertà e la devastante crisi energetica (dovuta principalmente alla siccità, secondo il governo), che fino allo scorso dicembre ha prodotto blackout elettrici anche di 14 ore al giorno, provocando peraltro una situazione di gravissima sofferenza per la produzione industriale. Lui, il presidente uscente, ha reagito minimizzando, promettendo che "nei prossimi mesi non ci saranno più blackout", arrivando persino ad accusare di sabotaggio i suoi rivali politici, i “correisti”. Inoltre non sembra aver pagato, in termine di voti, l’immediato “allineamento” di Noboa alle politiche di Donald Trump, con l’imposizione unilaterale di dazi al 27% con il Messico (con il quale le relazioni diplomatiche sono interrotte proprio dall’aprile dello scorso anno, dopo il blitz nell’ambasciata). Dopo l’esito deludente del primo turno delle presidenziali, ha messo in discussione i risultati sostenendo, senza fornire alcuna prova, che “gruppi armati” avrebbero minacciato gli elettori costringendoli di fatto a votare per la Revolución Ciudadana. Tesi smentita sia dalla missione di osservazione elettorale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), sia da quella dell’Unione Europea: entrambe hanno escluso brogli, approvandone i risultati ufficiali e sottolineando che il processo è stato trasparente.

Torture e impunità: il governo Noboa sotto accusa

Quel che invece conta e pesa sono le accuse di violazione sistematica dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza dell’Ecuador, denunciate lo scorso anno dall’organizzazione Human Rights Watch: arresti arbitrari, maltrattamenti, torture, soprattutto nelle carceri, con la maggioranza dei membri dell’Assemblea Nazionale (il Parlamento monocamerale ecuadoriano) che proprio un anno fa si erano dichiarati pronti ad “approvare l’amnistia o la grazia ogni volta che sarà necessario per garantire il lavoro della polizia e dell’esercito”. Una tendenza, quella di ritenersi al di sopra della legge e delle norme stabilite, che Noboa ha mostrato anche durante il periodo della campagna elettorale, quando si è rifiutato di consegnare il potere alla vicepresidente Verónica Abad, come previsto dalla Costituzione, delegando invece la presidenza nel periodo pre-elettorale in maniera del tutto arbitraria a una sua fidata funzionaria governativa, l’economista Cynthia Gellibert, frettolosamente nominata vicepresidente lo scorso gennaio.

In un contesto globale in cui il consumo di droghe è salito alle stelle, con le organizzazioni criminali che perciò continuano ovunque ad acquisire potere (l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine - UNODC - nel suo World Drug Report 2024 sostiene che la produzione di cocaina è triplicata negli ultimi 10 anni,) non c’è dubbio che la principale sfida che il futuro presidente si troverà a fronteggiare sarà, ancora una volta, quella contro la criminalità organizzata. Alla ricerca di quella “sicurezza” perduta nel corso di questi ultimi anni, quando l’Ecuador, proprio per la sua collocazione geografica, è stato trasformato dai narcotrafficanti in hub logistico e strategico per il transito e lo smercio della cocaina (le vicine Colombia e Perù sono leader mondiali per la produzione). Decisivo, come riporta il sito Infobae, "lo sviluppo di legami tra bande criminali ecuadoriane e attori criminali esterni, tra cui i cartelli messicani di Sinaloa e Jalisco New Generation, l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e gli elementi dissidenti delle FARC in Colombia, la mafia albanese e le mafie della ndrangheta e della camorra italiana». Un altro capitolo riguarda invece le estrazioni e le esportazioni illegali di oro, attività che inizialmente coinvolgevano minatori improvvisati che operavano con metodi artigianali, e sulle quali invece ora la “presa” delle bande criminali è aumentata a dismisura. «Fa parte della logica predatoria del crimine organizzato», ha commentato su InSight Crime Luis Córdova, direttore del programma di ricerca su Ordine, Conflitto e Violenza presso l’Università centrale dell’Ecuador. «Man mano che i gruppi criminali crescono in capacità, si evolvono per essere più predatori e, ovviamente, per accumulare più capitale. Ormai possiamo sostenere che la violenza criminale si stia riproducendo socialmente". Difatti entrambi i candidati hanno in cima alle loro agende proprio la lotta alla criminalità, e alla corruzione, che da anni dilaga in profondità nelle istituzioni ecuadoriane, come un cancro. A livello di criminalità l’Ecuador si colloca al 22° posto tra le nazioni più pericolose del mondo. Mentre secondo Transparency International, l’ong che si occupa di misurare il livello di corruzione non soltanto politica, l’Ecuador si piazza al 121° posto su 180 nazioni esaminate.

Il futuro presidente sarà chiamato anche a risolvere una “grana” ambientale di non poco conto. Lo scorso dicembre il governo aveva annunciato di aver finalizzato un nuovo “scambio di debito per la natura” per la conservazione dell'Amazzonia, che gli consentirà di stanziare 460 milioni di dollari per la conservazione delle foreste e delle zone umide nel corso dei prossimi 17 anni. Si tratta degli “swap del debito per la natura”, meccanismi finanziari innovativi che consentono ai paesi in via di sviluppo di ridurre il loro debito estero in cambio della conservazione delle loro risorse naturali e della biodiversità. Un programma virtuoso: la conversione raggiunta pochi mesi fa dal governo di Daniel Noboa servirà a finanziare il Programma di Biocorridoio Amazzonico (BCA) per la conservazione di circa 4,6 milioni di ettari di aree protette e 1,8 milioni da proteggere, oltre a 18.000 chilometri di fiumi. Ma i leader delle comunità indigene hanno accusato il governo di non essere stati coinvolti a sufficienza nel progetto. "La priorità assoluta del Fondo BCAdovrebbe essere il rafforzamento dell’autonomia, della governance e dell’autogestione territoriale indigena, compresa la gestione diretta dei fondi", hanno dichiarato. Ma qualcuno, evidentemente, ha preferito lasciare gli indios fuori dal progetto.

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