Georgia, la polizia schierata in tenuta anti-sommossa. Foto: Reuters
Calendario alla mano, stanno per arrivare alcune scadenze che determineranno in maniera concreta, e si spera non drammatica, il futuro della Georgia. La prima è fissata per il prossimo 14 dicembre, quando dovrebbe essere eletto dal Parlamento il nuovo presidente della Georgia (ed è la prima volta, dopo la revisione costituzionale del 2018, che il voto del capo dello Stato viene “sottratto” all’elezione diretta). Ma la presidente uscente, Salomé Zourabichvili, che dovrebbe lasciare l’incarico il prossimo 29 dicembre ha già detto che non ha alcuna intenzione di riconoscere la legittimità del voto parlamentare. E che, dunque, rimarrà dov’è, nel suo ufficio. «Non esiste un Parlamento legittimo e, quindi, non può eleggere un nuovo presidente. Pertanto, non lascerò il mio incarico fin quando non saranno organizzate nuove elezioni legislative che possano eleggere il nuovo presidente secondo le regole stabilite dalla legge». Come dire: le elezioni dello scorso ottobre, vinte dal partito nazionalista, populista e filo-russo Sogno Georgiano (fondato dal potentissimo miliardario oligarca Bidzina Ivanishvili), erano palesemente truccate. Versione accreditata anche dagli osservatori dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), che hanno definito lo svolgimento delle elezioni georgiane «la prova di un arretramento democratico nel paese». L’opposizione, che fin da subito aveva denunciato i presunti brogli, è dalla parte della presidente al punto che i suoi deputati hanno finora disertato i lavori parlamentari. «Il nostro partito non parteciperà al processo illegale di elezione del presidente», ha dichiarato l’ex primo ministro Giorgi Gakharia. Mentre l’attuale premier georgiano, Irakli Kobakhidze, tira dritto per la sua strada e risponde così: «Comprendo lo stato emotivo di Zourabichvili, ma naturalmente il 29 dicembre dovrà lasciare la sua residenza e cedere il suo posto a un presidente legittimamente eletto». Vale a dire, nei propositi di Sogno Georgiano, Mikheil Kavelashvili, 53 anni, noto per il suo passato da calciatore (ha giocato nel Manchester City), per le sue convinzioni anti-occidentali e per aver contribuito a fondare il partito ultranazionalista Potere al Popolo. L’investitura, come futuro presidente, gli è arrivata direttamente dal padre-padrone di Sogno Georgiano, Bidzina Ivanishvili: «Abbiamo deciso all’unanimità di nominare Mikheil Kavelashvili per la carica di presidente del paese. È la perfetta incarnazione dell’uomo georgiano: difenderà gli interessi della Georgia e del suo popolo e non servirà forze straniere».
Manifestanti con le bandiere dell'UE durante una protesta contro il governo georgiano. Foto: Reuters
Non c’è spazio per una mediazione
Una via di mediazione, al momento sembra da escludere. Anche perché da giorni in diverse città georgiane, ma soprattutto nella capitale Tbilisi, si verificano violenti scontri tra manifestanti e forze di polizia, che ormai si schierano regolarmente in tenuta antisommossa. A innescare le proteste l’annuncio della scorsa settimana, da parte del primo ministro, di sospendere i negoziati con l’Unione Europea per l’adesione della Georgia («fino al 2028 non sarà una nostra priorità», ha dichiarato), nonostante l’obiettivo sia scritto in Costituzione, come reazione alla decisione di Bruxelles di non riconoscere il risultato delle recenti elezioni e di aver “congelato” il sostegno dal Fondo europeo per la pace, che vale 30 milioni di euro per il 2024, proprio in virtù delle leggi recentemente approvate dal governo (dalle radicali restrizioni ai diritti LGBTQ alla controversa norma sulla “trasparenza dell’influenza straniera”, approvate nonostante il veto della presidente della Repubblica), considerate contrarie ai valori dell’UE. Fulcro degli scontri continua a essere viale Rustaveli, a Tbilisi, dove ha sede il Parlamento georgiano. Scene di guerriglia urbana, con la polizia che spara con cannoni ad acqua e lancia gas lacrimogeni, con centinaia di arresti e feriti tra le migliaia di dimostranti della società civile che si sono riversati in strada (emblematico e di grande impatto emotivo il video che mostra una giovane donna affrontare, da sola e disarmata, gli agenti di polizia schierati con gli scudi di protezione alzati). La stessa presidente Zourabichvili ha scritto sul social X che «la maggior parte dei manifestanti arrestati ha ferite alla testa e al viso, alle orbite oculari, ossa facciali rotte, ferite aperte. I detenuti sono stati sottoposti a pestaggi sistematici tra l’arresto e il trasporto in strutture di detenzione già sovraffollate». Il primo ministro Kobakhidze ha replicato che «qualsiasi violazione della legge sarà affrontata con il pieno rigore della legge». E ha poi escluso categoricamente, come riporta anche la Tass, storica agenzia di stampa russa, qualsiasi ipotesi di colloqui con l’opposizione: «No, naturalmente. Non ci sarà alcun negoziato». La tensione ha già provocato ripercussioni internazionali. Gli Stati Uniti, dopo l’interruzione dei colloqui di adesione all’UE, hanno sospeso il partenariato strategico con la Georgia, con il dipartimento di Stato che ha inoltre condannato «l’uso eccessivo della forza da parte della polizia». Polizia che respinge le accuse, sostenendo di aver usato una «forza proporzionata alle ripetute azioni violente dei manifestanti». Il difensore civico, Levan Ioseliani, ha dichiarato di aver visitato 156 persone detenute in seguito agli scontri, e che 124 di loro, quasi l’80%, avevano riferito di aver subito violenze e trattamenti disumani. «È una percentuale inquietante - ha commentato il difensore civico -, perché se guardiamo alle dinamiche, comprese le manifestazioni precedenti, il numero di cittadini che sostengono che c’è stato un eccesso di forza da parte della polizia sta aumentando in modo allarmante. Pertanto, chiedo ancora una volta alla polizia di non andare oltre le norme stabilite dalla legge». Mercoledì scorso Nika Gvaramia, leader del partito di opposizione georgiano Akhali, è stato picchiato e arrestato dalla polizia dopo una perquisizione nella sede del suo partito. Le forze di polizia sono state inoltre accusate di utilizzare contro i dimostranti sostanze chimiche (tra le quali il cloroacetofenone e il clorobenzilidenmalononitrile): «Le sostanze mescolate con acqua nelle macchine ad alta pressione sono classificate come “armi chimiche” secondo le normative internazionali», spiega al quotidiano Georgia Today il dottor Giorgi Kamkamidze. «Sostanze che producono danni immediati, come cecità, insufficienza respiratoria, gravi ustioni, e a lungo termine, come glaucoma, danni polmonari o morte, in caso di esposizione prolungata».
Dunque siamo all’impasse. Da un lato le opposizioni che denunciano brogli elettorali a favore dell’attuale governo, accusato di perseguire politiche sempre più autoritarie, anti-occidentali, anti-europeiste e apertamente filo-russe, come se l’obiettivo finale, e reale, dell’operazione non fosse altro che trasformare la Georgia in un paese-cuscinetto sotto il pieno controllo del Cremlino in chiave anti-Nato. Come per l’Ucraina, ma senza l’uso delle armi (almeno non ancora). Dall’altro il premier Kobakhidze che accusa il blocco delle opposizioni di “ricatto e manipolazione” per non aver ancora accettato il risultato delle elezioni parlamentari, dietro il quale si trincera, invocando la legittimità dei risultati alle urne. In campagna elettorale, peraltro, i candidati di Sogno Georgiano l’avevano detto chiaramente: votate per noi, altrimenti ci sarà una nuova guerra con la Russia. Mosca peraltro già controlla circa il 20% della nazione caucasica in collaborazione con i separatisti locali: le regioni dell’Ossezia del Sud, e dell’Abkhazia, più a ovest, sono stabilmente sotto il controllo dei secessionisti filo-russi dal 2008. Ma le tensioni non mancano: in Abkhazia, per fare l’esempio più recente, l’opposizione è riuscita a bloccare (non pacificamente, ma facendo irruzione in Parlamento, dove ci sono stati scontri con la polizia) una legge che avrebbe consentito ai cittadini russi di acquistare proprietà nella regione a spiccata vocazione turistica che si affaccia sul Mar Nero. Il presidente filo-russo dell’autoproclamata Repubblica di Abkhazia, Aslan Bzhania, è stato infine costretto a ritirare la norma e a rassegnare le dimissioni «per mantenere la stabilità e l’ordine costituzionale nel paese».
La forza della propaganda russa
La situazione resta complessa, con un livello di tensione e di pericolosità che aumenta con il trascorrere dei giorni, con le manifestazioni che si susseguono implacabili, con la repressione brutale messa in atto dalle forze di polizia anche contro giovani e anziani. Ad aleggiare resta il fantasma del Cremlino, palesemente interessato a rafforzare il suo controllo sul Caucaso meridionale e per costruire – come sostiene anche un recente studio dell’Institute for the Study of War, un centro di ricerche americano, “una coalizione di stati che si oppongano all’ordine internazionale guidato dagli Stati Uniti”. Nel report, pubblicato poco prima del voto in Georgia, si legge tra l’altro: «Il Cremlino cercherà probabilmente di influenzare le elezioni parlamentari georgiane dell’ottobre 2024 per contribuire a garantire una vittoria del Partito Sogno Georgiano al fine di far deragliare gli sforzi di integrazione euro-atlantica della Georgia. Il Cremlino spera di sfruttare la crescente posizione filo-russa di Sogno Georgiano per facilitare gli sforzi ibridi a lungo termine per affermare il controllo sulla Georgia e sul Caucaso meridionale e diminuire l’influenza occidentale nella regione». L’arma principale resta la propaganda, come suggeriva lo scorso luglio il Middle East Institute: «L’arretramento democratico e il consolidamento del governo autoritario in stile russo in Georgia stanno avvenendo sullo sfondo di massicce campagne di propaganda che cercano di proiettare la guerra in Ucraina come conseguenza della determinazione dell’Ucraina ad allinearsi con l'Occidente. Mosca ha sfruttato la situazione rafforzando le campagne di disinformazione, tracciando parallelismi tra gli eventi di EuroMaidan (l’ondata di proteste che all’inizio del 2014 portò alla fuga del presidente ucraino in Russia) e i potenziali cambiamenti politici in Georgia. In uno sforzo coordinato, la Russia e il governo di Sogno Georgiano hanno diffuso teorie del complotto secondo cui la sconfitta del governo georgiano alle prossime elezioni rappresenterebbe un alto rischio di destabilizzazione del Paese, portando alla sua distruzione, in modo simile all’Ucraina. Il punto principale delle campagne di propaganda non è convincere i georgiani che la Russia è una scelta migliore per loro rispetto all’Occidente, ma mira a seminare paura e confusione forzando una domanda non così retorica nel discorso politico: se l’Occidente non può difendere l’Ucraina, può difendere la Georgia o altri partner? Per la Russia è fondamentale che la Georgia non abbia prospettive di adesione all’UE o alla NATO».
Da Mosca, a commento dei drammatici e preoccupanti eventi in corso a Tbilisi, si è levata la voce minacciosa di Dmitry Medvedev, ex presidente russo, uno dei “falchi” nel gabinetto di Putin: «Ci sono tutti i presupposti per far precipitare ancora una volta la Georgia nell’abisso dei conflitti civili, costringendola a scegliere tra gli insolenti Unione europea, Nato e Stati Uniti da un lato, e l’antica terra di Saqartvelo (antico nome della Georgia) dall’altro. In poche parole, i nostri vicini si stanno muovendo rapidamente sul percorso ucraino, verso un abisso buio. Di solito, finisce male».