SOCIETÀ

La Georgia al voto decisivo: UE o abbraccio al Cremlino?

La Georgia sta per affrontare il più classico degli incroci: e la scelta politica, nelle elezioni parlamentari in programma sabato 26 ottobre, determinerà il futuro della piccola ma strategica nazione nel Caucaso meridionale, incastonata tra Russia, Azerbaijan e Turchia, che fino al 1991 faceva parte dell’immenso territorio dell’Unione Sovietica. Un po’ come per la Moldova, dove domenica scorsa si sono tenute le elezioni presidenziali (il ballottaggio è previsto per domenica 3 novembre) e contemporaneamente il referendum per l’adesione all’Unione Europea, vinto d’un soffio dai “Sì”, ma con la presidente uscente Maia Sandu che ha denunciato “interferenze esterne senza precedenti” («Abbiamo prove evidenti che gruppi criminali che lavorano insieme a forze straniere ostili agli interessi della Moldavia hanno cercato di comprare 300mila voti»). Tesi sostenuta anche dalla ministra degli Esteri tedesca, Annalena Berbock. Siamo alle solite: di qua c’è l’ombrello russo, la protezione di Putin e le sue ambizioni di costruire un “cordone di sicurezza” attorno alla Federazione Russa. Di là l’abbraccio all’Occidente, all’Unione Europea, al suo sistema di cooperazione, appetibile soprattutto sotto l’aspetto finanziario e infrastrutturale, oltre che per la tutela, almeno sulla carta, delle libertà fondamentali. 

In Georgia l’opposizione è sostanzialmente filo-occidentale. L’opzione russa è invece sostenuta nei fatti (ma a parole negata) dagli esponenti del partito di maggioranza, “Georgian Dream”, Sogno georgiano, fondato nel 2012 dal potentissimo miliardario oligarca Bidzina Ivanishvili; una formazione di chiaro segno populista e sovranista che negli ultimi anni si è contraddistinta non soltanto per le posizioni sempre più apertamente filo-russe, soprattutto in politica estera, ma anche per un progressivo dilagare di autoritarismo che sta portando a una contrazione dei diritti democratici. Come la legge sui “valori della famiglia e la protezione dei minori”, che impone radicali restrizioni ai diritti LGBTQ, compreso il divieto di raduni Pride, la censura su film e libri, e il divieto perfino di esporre le bandiere arcobaleno (il governo, spalleggiato dalla Chiesa ortodossa, sostiene che «…è necessario salvaguardare gli standard morali tradizionali in Georgia»). 

Oppure come l’approvazione, in un Parlamento dominato dai deputati di “Sogno georgiano”, della legge sulla “trasparenza dell'influenza straniera”, che stabilisce la seguente norma: tutte le organizzazioni (gruppi editoriali indipendenti, Ong) che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti dall’estero sono obbligati a registrarsi come “agenti di influenza straniera”, con multe salate per coloro che non la rispetteranno. L’obiettivo sembra evidente: emarginare quelle organizzazioni, screditarle, additarle come “nemiche” (Transparency International, che ha scoperto legami tra Georgian Dream e Giorgi Chelidze, leader dell’organizzazione neofascista Unità Nazionale Georgiana, ha deciso di non registrarsi). Gli oppositori sostengono che la legge sia incompatibile con gli standard internazionali che proteggono i diritti alla libertà di espressione e di associazione. La presidente della Georgia, Salome Zourabichvili, aveva tentato di opporsi ponendo il veto, del tutto formale, ma il Parlamento ha deciso di non raccogliere le sue obiezioni: il testo è stato comunque approvato, lo scorso maggio. Venerdì scorso l’attuale primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha dichiarato che sono 150 le organizzazioni al momento registrate come “agenti stranieri”. «La legge non limita né stigmatizza alcuna organizzazione», ha precisato il primo ministro. «È evidente che le organizzazioni che non si registrano hanno qualcosa da nascondere. Quando ricevi denaro dall’estero, quel denaro porta con sé certe influenze, e diventi un rappresentante di quelle influenze nel tuo paese. E quando la trasparenza viene scambiata per restrizione, diventa un problema serio».

L’opposizione in cerca di unità

Alle elezioni del 2020 “Sogno georgiano” aveva ottenuto il 48% dei voti. Gli ultimi sondaggi indipendenti stimano il partito di maggioranza attorno al 32%. Se così fosse, dovrebbe trovare alleati per arrivare alla maggioranza di 76 deputati su 150 al Parlamento monocamerale: e non sarà semplice. Poi dipende da chi li fa i sondaggi, e come: l’ultimo commissionato dalla tv filogovernativa Imedi prevede una vittoria schiacciante del partito di governo, con addirittura il 60% delle preferenze. Capofila dell’opposizione è il Movimento Nazionale Unito (UNM), conservatore, liberale ed europeista, fondato nel 2001 dall’ex presidente georgiano Mikheil Saakashvili, rimasto in carica per due mandati, dal 2004 al 2013, dopo l’era di Eduard Shevardnadze, l’ultimo ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica, costretto alle dimissioni nel 2003 al termine della Rivoluzione delle Rose, una ribellione non violenta dei cittadini georgiani che scesero in piazza esasperati per chiedere riforme e libertà: un’azione forte e partecipata che gettò le basi per l’instaurazione della democrazia, anche se non tutte le promesse furono mantenute. Al fianco del Movimento Nazionale Unito, in coalizione, ci sono altri due partiti fortemente europeisti: Strategy Aghmashenebeli, formazione centrista, e i liberali di Georgia Europea, partito nato nel 2017 per scissione dall’UNM. Il sondaggio indipendente accredita il Movimento Nazionale Unito del 20% dei voti, ma testimonia anche la divisione che regna tra le fila dell’opposizione: 9,9% per la coalizione “Strong Georgia”, 5% al Partito Laburista, 4% per il partito Girchi. Se anche l’opposizione riuscisse a conquistare la maggioranza dei voti non sarà semplice, poi, trovare una sintesi politica credibile per formare il governo. La presidente Zourabichvili ha invitato la coalizione Strong Georgia, guidata dal partito centrista di opposizione Lelo, e il partito For Georgia dell’ex primo ministro Giorgi Gakharia (stimato attorno al 12%) a unirsi in vista delle elezioni generali del 26 ottobre. Mamuka Khazaradze, co-fondatore del partito Lelo, si è detto «pronto a fare tutto il possibile per porre fine al dominio di Georgian Dream, che serve gli interessi della Russia, e sostituirlo con un governo che serva la Georgia e ci guidi verso un futuro europeo». Domenica scorsa decine di migliaia di georgiani hanno sfilato lungo le strade della capitale Tbilisi in segno di sostegno all’adesione all’Unione Europea. Secondo un sondaggio dello scorso anno oltre l’80% dei georgiani è favorevole all’ingresso del proprio paese nell’UE.

Il manifesto dei filo-russi

Due sono le principali “zone d’ombra” in questa campagna elettorale, ed entrambe riguardano la vera natura di “Georgian Dream”. Il partito del miliardario Ivanishvili a parole si dichiara a favore dell’ingresso della Georgia nell’Unione Europea (il logo del suo partito è un mix tra un sole e la bandiera dell’UE), ma nei fatti sta spostando in maniera sempre più evidente la propria azione di governo nell’orbita del Cremlino. Prima mantenendo una posizione ambigua rispetto all’invasione della Russia in Ucraina (e la Georgia deve convivere, dal 1992, con un’occupazione de-facto del suo territorio, con le regioni dell’Ossezia del Sud, e dell’Abkhazia, più a ovest, che sono stabilmente sotto il controllo dei separatisti sostenuti dalla Russia, dopo il breve conflitto con Mosca del 2008), al punto che il governo non ha mai aderito alle sanzioni dell’Occidente contro Mosca. Nei giorni scorsi, peraltro, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha denunciato continue violazioni dei diritti umani nelle regioni occupate. Poi con l’approvazione delle due leggi cui accennavamo prima, quella sui gruppi della società civile marchiati come “agenti stranieri” e l’altra che vieta la “propaganda LGBTQ”: una condotta che ha ricevuto non soltanto le critiche a livello internazionale, ma che ha di fatto congelato il suo processo di adesione all’Unione Europea, formalmente accolto nel dicembre 2023: l’UE ha anche bloccato 121 milioni di euro di fondi già stanziati per aiutare a sviluppare l’economia della Georgia. Il governo sapeva che quelle leggi non sarebbero state apprezzate a Bruxelles (una maggioranza politica che si propone di schiacciare la società civile e sradicare il dissenso non può dirsi democratica), ma non ha cambiato traiettoria. Leggi che hanno, invece, raccolto il plauso del Cremlino. E due più due fa esattamente il bivio che i georgiani dovranno affrontare con il voto di domenica prossima. «Le prossime elezioni saranno il momento della verità e il popolo georgiano dovrà decidere in che direzione vuole andare: verso l’Europa o separarsi dall’Europa», ha sintetizzato il capo degli affari esteri dell’UE, Josep Borrell.

Secondo Dalibor Rohac, ricercatore senior presso l’American Enterprise Institute, il voto di domenica rappresenta «l’ultima possibilità di libertà per la Georgia. Il partito personalistico costruito dal miliardario russo Bidzina Ivanishvili vuole cementare la sua presa sul potere e porre fine, per sempre, ai sogni di democrazia della Georgia». Anche perché lo stesso oligarca è stato piuttosto chiaro nelle sue “promesse” politiche: vuole evitare uno scontro con Mosca e, al tempo stesso, dichiarare fuori legge tutti i suoi oppositori politici. L’attuale primo ministro, Irakli Kobakhidze, è stato ancor più esplicito: «A tutti i parlamentari eletti tra le fila delle fazioni filo-occidentali sarà impedito di assumere l’incarico. L’abolizione dei loro mandati parlamentari sarà la logica continuazione della messa al bando di questi partiti. I membri criminali delle forze politiche criminali non dovrebbero esercitare lo status di membro del parlamento della Georgia», ha concluso Kobakhidze, che scommette sull’appoggio di Mosca. Il quotidiano Politico commentava così pochi giorni fa: «È evidente che il Cremlino, nonostante i suoi pesanti impegni in Ucraina, è ancora disposto a versare un sacco di soldi in campagne di compravendita di voti e di disinformazione per riaffermare la sua impronta sui territori ex sovietici. Sia in Moldavia sia in Georgia, Mosca sta facendo progressi con una narrativa propagandistica secondo cui i paesi che perseguono un’agenda pro-UE o pro-NATO stanno giocando con il fuoco, raccomandando la neutralità come antidoto ai conflitti». Lo stesso quotidiano ha chiesto poi un commento a Ivana Stradner, della Foundation for Defense of Democracies, con sede a Washington: «È ora che i politici occidentali si rendano conto del fatto che la guerra della Russia non si limita solo all’Ucraina, ma riguarda tutto il mondo democratico, ovunque Mosca pensi di poter esercitare influenza».

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