SOCIETÀ

L’AI, tra cause legali e boom di ricerca e brevetti

Era solamente il 2022. Questo l’anno del debutto di ChatGPT, il bot di AI generativa realizzato da OpenAI che ha cambiato la percezione di come intendiamo e utilizziamo, soprattutto, l’intelligenza artificiale.

Sono passati due anni, ma è come se il tempo reale sia stato molto di più. Se, prima di ChatGPT, l’AI era un concetto relegato ai laboratori di ricerca e a gruppi ristretti di appassionati, ora è vero il contrario e il proliferare di applicazioni legate all’intelligenza artificiale ne è la diretta dimostrazione: la generative AI ha permeato la società, creando – come sempre nel caso di innovazioni così importanti – perplessità e problemi, ma anche nuovi rami di sviluppo e ricerca, con un’accelerazione, per certi versi, sbalorditiva.

Il boom di brevetti e ricerche scientifiche

A certificare l’aumento vertiginoso del numero di brevetti tecnologici e di paper scientifici è un rapporto della WIPO, l’agenzia mondiale della proprietà intellettuale sotto l’egida delle Nazioni Unite. Il patent landscape report riassume, in oltre cento pagine, la storia recente dell’AI generativa e rilascia una dettagliata fotografia di come, dalle grandi aziende agli istituti di ricerca, ci si sia spartendo la gallina dalle uova d’oro.

Non è un mistero: essere al vertice della catena di conoscenza dell’AI offre un vantaggio strategico in termini economici e commerciali. E i grandi attori mondiali lo hanno capito da tempo e si stanno muovendo di pari passo. Non stupisce, allora, sapere che – per brevetti registrati – la classifica delle prime cinque nazioni vede in testa la Cina, seguita dagli Stati Uniti, dalla Corea del Sud, dal Giappone e dall’India. La situazione cambia di poco nel quadro della ricerca scientifica. Un dato, in sottrazione, è abbastanza chiaro: l’Europa è molto indietro nel ramo di sviluppo e ricerca sull’AI e l’Italia – almeno stando al rapporto – non è, al momento, pervenuta.

L’aumento dell’attività attorno alla genAI è considerevole a partire dal 2017 con una crescita annuale del 45%: se nel 2014 i brevetti registrati erano solo 800, alla fine del 2023 questi erano oltre 14.000. L’andamento delle ricerche scientifiche segue più o meno lo stesso andamento, ma con un aumento decisamente più marcato a partire dal 2022: da 100 paper nel 2014, si è arrivati alla cifra di più di 34.000 al 2023. Proprio l’anno appena passato ha marcato la marcia in più: è il segno che la comparsa di ChatGPT, assieme a Stable Diffusion, LlaMa e altri, ha impresso un’accelerazione nella comunità scientifica, in particolare modo per quanto riguarda la sola AI generativa. La genAI rimane, ancora, un argomento di “nicchia” rispetto all’intero mondo Intelligenza artificiale. Gli studiosi sono comunque concordi nel reputare solo una questione di tempo l'aumento, in percentuale, degli studi su questo settore specifico.

Scendendo nel dettaglio delle aziende/enti che hanno registrato più brevetti, si nota subito come la distribuzione geografica ricalchi, in gran parte, quella degli Stati con i maggiori interessi nel campo dell’IA. La prima azienda al mondo per deposito brevetti è il colosso dei social media e dei giochi cinesi, la Tencent Holdings. La seconda, sempre cinese, è la Ping An Insurance Group, holding che si occupa di gestione di svariati servizi finanziari; la terza è Baidu che potremmo definire come la Google cinese, almeno per i servizi di ricerca sul web. Al quarto posto compare il primo ente di ricerca, ma si rimane ancora in Cina: si tratta dell’Accademia cinese delle scienze. Segue la prima azienda americana con l’IBM. Poi ancora Alibaba (l’Amazon cinese) e Samsung per la Corea del Sud. Gli enti di ricerca? Oltre alla già citata Accademia delle scienze, nei primi 20 posti per numero di brevetti ne compaiono solamente altri due: la Tsinghua University e la Zhejiang University (entrambe cinesi). Alphabet (Google) e Microsoft sono rispettivamente all’ottavo e al nono posto, pur essendo dei giocatori a pieno titolo nello sviluppo di sistemi basati su AI generativa.

Una piccola curiosità riguarda proprio OpenAI, la società sulla bocca di tutti e tutte per ChatGPT: ebbene, l’azienda non compare nell’elenco delle depositarie di brevetti almeno fino al 2023. La spiegazione risiede nell’essere stata, almeno inizialmente, una organizzazione senza fini di lucro e con buona parte delle sue attività di sviluppo in open access. Ma la strategia è poi cambiata, così come la denominazione stessa da non-profit a capped for-profit.

Osservando le sole università ed enti di ricerca, la predominanza è a favore della Cina, seguita dagli Stati Uniti, Corea, Giappone e Svizzera.

Il mondo della ricerca scientifica

Sono Cina e Stati Uniti a spartirsi il maggior numero di istituzioni per pubblicazione scientifica tra le prime 20 organizzazioni (la Cina ne ha 8, gli USA 6). A queste, si aggiungono quattro università britanniche, una del Canada e una giapponese.

Di nuovo, è l’Accademia delle scienze cinese a detenere il record delle pubblicazioni: oltre 1.100 dal 2010. La Tsinghua University (sempre Cina) e la Stanford (USA) seguono al secondo e terzo posto con oltre 600 paper ognuna. Alphabet/Google compare al quarto posto e si tratta dell’unica anomalia: è l’unica azienda a comparire nelle top 20 istituzioni con 556 pubblicazioni scientifiche.

Naturalmente, il numero delle pubblicazioni non può e non deve essere preso come unico parametro di successo. Come ricorda ampiamente anche la WIPO, la quantità non è l’unico indicatore di performance ma dovrebbe essere associato, almeno, al numero di citazioni dei singoli paper. Tenendo conto di questo parametro, la classifica assume una connotazione diversa con Alphabet in testa e seguita, nei primi 6 posti da Berkeley (USA), Montreal (Canada), Stanford (USA), Meta/Facebook /USA e Deepmind (UK/USA). Il primo ente non nordamericano è al settimo posto (Seul University) e la prima cinese compare al nono posto (L’Accademia delle scienze).

È interessante notare come le aree di applicazione della genAI riguardino la creazione di video, musica, immagini, testi e audio. Crescono, in modo esponenziale, i brevetti relativi all’ambito scientifico con in testa applicazioni su molecole, geni e proteine.

Ma non è tutto roseo e lineare

Al di là dello strapotere di due colossi (pubblici e privati) come Cina e Stati Uniti che fanno convergere su di loro la gran parte delle innovazioni in campo tecnologico e scientifico (su cui servirebbe un lungo e parallelo discorso a parte), c’è da sottolineare come il percorso dell’AI generativa nella società non sia scevro da incidenti di percorso, giudiziari nel caso specifico.

È di pochi giorni fa la notizia della causa intentata dalle società discografiche americane contro due aziende, la Suno e l’Uncharted Labs, proprietaria della piattaforma Udio AI.

A muoversi in tribunale è la Recording Industry Association of America (la RIIA che raggruppa sigle gigantesche come Sony e Warner), invocando la violazione del copyright nei confronti di Suno e Udio AI. Le due aziende sarebbero colpevoli di aver copiato e registrato diverse migliaia di brani, dandoli in pasto alle loro AI per addestrarle e permettere loro di generare musica. Il tutto, questa è la tesi, senza alcun accordo di licenza d’uso da parte delle case discografiche o degli autori delle canzoni stesse.

Cercando di non entrare in tecnicismi giuridici, l’accusa contenuta nella citazione lamenta la fuoriuscita nel mercato di troppa musica generata dall’intelligenza artificiale con una conseguente – dicono le major discografiche – svalutazione e sostituzione del lavoro creato da esseri umani. La causa assomiglia, molto da vicino, a quella intentata dal quotidiano americano The New York Times nei confronti di OpenAI. Anche in quel caso si lamentava l’utilizzo di migliaia di articoli giornalistici per addestrare l’AI di ChatGpt. Al NYT, di recente, si sono aggiunti altri otto giornali americani per i medesimi motivi.

Le azioni legali di questo tipo potrebbero essere solo all’inizio e dimostrano, di fatto, ancora la mancanza di una regolamentazione che garantisca lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e dei suoi applicativi e il rispetto, allo stesso tempo, di norme che non erano state pensate e scritte per interagire con un’AI.

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