L’Europa vuole finanziare la ricerca dual use a scopi militari

Per il prossimo settennato, a partire dal 2028, la Commissione Europea ha annunciato di voler quasi raddoppiare il budget Horizon Europe destinato a ricerca e innovazione, portandolo dagli attuali 95 miliardi a 175 miliardi di euro.
L’intento è quello di rilanciare un ecosistema dell’innovazione che fino ad oggi non è stato all’altezza della competizione statunitense o cinese. Sebbene l’Europa possa considerarsi una fortezza scientifica nel senso che produce ricerca di alto livello (anche grazie ai finanziamenti ERC, lo European Research Council, che supporta la ricerca di base), non è un terreno particolarmente favorevole a chi vuole far atterrare sul mercato le idee che nascono nei laboratori.
Spesso infatti le start-up preferiscono spostare la propria sede al di là dell’Atlantico, dove trovano regole meno costrittive e un mercato che non deve fare i conti con 27 diversi sistemi burocratici, fiscali, linguistici e culturali.
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La Commissione Europea vuole cambiare le cose e il nuovo budget servirà a rendere più attrattivo il Vecchio Continente, ma buona parte delle nuove risorse servirà anche uno scopo che, ora più che mai, sembra guidare le scelte delle istituzioni europee: rafforzare la difesa e la sicurezza.
La Commissione infatti ha proposto di togliere quel vincolo, presente da oltre 40 anni, che obbliga a finanziare solo progetti di ricerca a scopo civile. L’intenzione è quella di consentire il finanziamento della ricerca dual-use, che può avere applicazioni sia civili sia militari. In un primo momento, a inizio anno, sembrava che la proposta dovesse riguardare solo lo European Innovation Council, che supporta la ricerca applicata e le start-up, mentre a luglio è stata allargata a tutto il programma Horizon Europe.
Sebbene l’aumento complessivo del budget europeo possa suonare come una ventata d’aria fresca per chi lavora nelle università, non è sempre tutto oro quel che luccica. Ben 68 dei 175 miliardi di Horizon Europe saranno infatti gestiti dal nuovo fondo per la competitività europea (ECF – European Competitiveness Fund), che è pensato per finanziare ambiti considerati strategici. Tra questi c’è proprio il settore della difesa che, oltre a garantire la sicurezza del continente, secondo la visione della Commissione trainerà, tramite l’innovazione tecnologica, anche la crescita economica.
Ricerca e difesa
Lo scorso 16 ottobre Ursula von der Leyen ha presentato la nuova Roadmap per la difesa e ha annunciato l’attivazione di 4 flagship, ovvero quattro progetti strategici: uno dedicato allo sviluppo di droni, uno per la protezione del confine orientale, uno scudo aereo e uno scudo spaziale.
“La divisione tra applicazioni civili e di difesa è molto spesso artificiale” aveva detto lo scorso luglio Ekatarina Zaharieva, commissaria europea per la ricerca, l’innovazione e le start-up, in occasione della presentazione del prossimo programma quadro Horizon Europe. “Non possiamo perdere l’opportunità di rendere gli europei più sicuri con la ricerca e l’innovazione”.
Un esempio di ricerca dual-use, tra tanti che se ne potrebbero fare, sono i nuovi sensori quantistici, dispositivi ultra sensibili che possono venire impiegati tanto per individuare risorse nel sottosuolo senza dover scavare, quanto per avvertire del passaggio di un sottomarino nucleare.
Ha enormi applicazioni in ambito militare naturalmente anche l’intelligenza artificiale, dal supporto alle decisioni strategiche alla logistica, fino ad arrivare ai sistemi di puntamento o alle armi autonome. La duttilità dei loro modelli consente di addestrarli a svolgere qualsiasi compito. Alcuni però sono più delicati di altri.
“Se il sistema di raccomandazione dei prodotti di Amazon ci suggerisce un libro brutto, non succede niente. Ma se l’AI dice a un drone di colpire la finestra sbagliata è un problema” ha detto a un evento degli EU R&I Days a Bruxelles a metà settembre Marc Darmon, vice presidente della sezione EU & International Organisation di Thales, azienda francese che si occupa di elettronica, aerospazio e difesa. In un simile contesto, il termine addestramento, solitamente associato alle grandi quantità di dati con cui le AI imparano a riconoscere schemi regolari, smarrisce la sua accezione neutrale. “Abbiamo milioni di foto di gatti, ma non ne abbiamo così tante di carri armati russi” ha aggiunto per rimarcare la necessità del finanziamento alla ricerca dual-use.
Nato e Europa
Su queste e altre tecnologie sta lavorando ormai da diversi anni anche la Nato, con il suo fondo per l’innovazione. “La Nato è in dialogo con l’Unione Europea su tutti gli argomenti strategici” aveva detto allo stesso evento Nikos Loutas, direttore dell’innovazione alla divisione innovation, hybrid and cyber della Nato. “Negli ultimi 50 anni l’equilibrio della produzione di innovazione è cambiato: prima c’era un modello come quello della Darpa (l’agenzia statunitense per i progetti di ricerca avanzata nella difesa, ndr), mentre oggi è guidata da ecosistemi civili. In tempi di guerra questo deve cambiare e il tasso di adozione tecnologica deve essere più rapido”.
23 dei 27 Paesi dell’Unione Europea sono anche membri dell'alleanza atlantica e sotto la pressione degli Stati Uniti a giugno si sono impegnati a raggiungere il 5% del proprio Pil in spesa militare nei prossimi 10 anni. C’è quindi una notevole sovrapposizione di interessi tra gli obiettivi di ricerca dual-use dell’Europa e quelli della Nato.
“La questione non è se l’Europa andrà verso il dual-use, ma come lo farà” ha dichiarato all’evento degli Eu R&I Days la parlamentare Eszter Lakos del partito popolare europeo, che fa parte sia del comitato parlamentare per la ricerca, sia di quello per la difesa. All’interno del suo stesso partito però non tutti la vedono allo stesso modo.
Voci in dissenso
Christian Ehler, che è rapporteur del programma quadro Horizon Europe ora in vigore, si è detto d’accordo con le rimostranze avanzate da René Repasi, europarlamentare del gruppo dei social democratici, secondo cui il via libera alla ricerca dual-use può compromettere l’autonomia accademica, nonché minare l’apertura e la trasparenza (riassunte nel principio dell’open science) che dovrebbero caratterizzare le ricerche finanziate dai fondi europei.
Altri temono che, in un clima proto-bellico di allerta permanente, il budget per la ricerca venga poco a poco fagocitato dagli obiettivi considerati strategici e che venga meno l’indipendenza dei consigli di valutazione e finanziamento della ricerca, non solo come l’EIC, ma anche come lo stesso ERC. “In un simile scenario, le risorse raccolte possono venire allocate a qualsivoglia priorità politica del giorno” si legge in un comunicato di Leru, la League of European Research Universities, un’associazione che riunisce 24 università e che promuove la ricerca di base.
“La Commissione Europea sta caricando a testa bassa, senza trasparenza, consultazione o restrizioni” ha commentato Kurt Deketelaere, segretario generale di Leru. “Ora tocca al Parlamento Europeo e al Consiglio sulla Competitività spingere nella direzione opposta”.