SOCIETÀ

Ombre coloniali sulla scienza moderna: un debito ignorato

Siamo abituati a percepire la scienza come qualcosa di puro, quando non completamente oggettivo (su questo punto il Covid ha dato una mano per sradicare l’idea di una scienza granitica che produce verità inconfutabili su richiesta), e spesso dimentichiamo che non esiste la Scienza con la esse maiuscola, ma parliamo di un sistema fatto di persone, con i loro ideali che non necessariamente sono giusti e ugualitari.
La bianca scienza, scritto da Marco Boscolo e pubblicato da Eris, è un libro che si propone di aprire un dibattito sul legame tra scienza occidentale e colonialismo, perché se a volte c’è la tendenza a seppellire sotto il tappeto gli errori di un popolo, altre volte semplicemente non ci si rende conto di ciò che, indagando anche solo a livello superficiale, è sempre stato davanti ai nostri occhi. Nonostante la brevità del volume, Boscolo riesce a far emergere come il sapere scientifico, così come lo conosciamo, sia stato influenzato e modellato dalla storia coloniale, facendo esempi illuminanti che pochi, anche tra gli appassionati, conoscono.

Il libro nasce dalla consapevolezza, maturata dall'autore, che la narrazione mainstream della scienza è fortemente euro e americano-centrica, e che spesso omette il contributo importante dato dalle conoscenze sviluppate in contesti non occidentali. Boscolo si è accorto appieno di questa distorsione quando si è diffuso il movimento sudafricano #ScienceMustFall, formato da un gruppo di studenti che protestavano contro il colonialismo intrinseco nella scienza, che riflette ancora le gerarchie coloniali e contribuisce a mantenere un divario tra il nord e il sud del mondo. Non si tratta solo di una questione di accesso alle risorse scientifiche o ai migliori atenei, ma anche di un problema culturale: la scienza viene vista come un dominio esclusivo della cultura occidentale, ignorando o sminuendo il valore delle conoscenze sviluppate altrove.
#ScienceMustFall, estensione del più noto #RhodesMustFall, è emblematico della necessità di ripensare la scienza, in modo che sia più inclusiva, promuovendo un nuovo approccio che vada oltre le storture di un sistema in cui le persone meritevoli che provengono dal sud del mondo devono trasferirsi in un ateneo europeo o nord americano per poter lavorare a progetti stimolanti (ed è solo un esempio di ciò che non funziona).

Le proteste dei Fallists sono state da molti derubricate a capricci, eppure riflettendoci un po’ è facile evidenziare come anche storicamente la scienza, nelle sue forme istituzionalizzate, abbia spesso ignorato o sminuito contributi non occidentali, perpetuando così una forma di colonialismo epistemico. E, ancor peggio, a volte questi contributi sono stati assimilati dagli scienziati che non hanno citato le conoscenze più antiche, oppure le hanno citate ma la narrazione successiva non ha pensato di fare altrettanto, negando il giusto riconoscimento alle scoperte precedenti perché erano state fatte nella parte sbagliata del mondo. Boscolo cita per esempio il caso della scienziata cinese Tu Youyou, che ha scoperto un rimedio efficace contro la malaria nell'Artemisia, ma che per anni è stata ignorata dalla comunità scientifica internazionale a causa del pregiudizio nei confronti della scienza cinese e che solo nel 2015, decenni dopo la sua scoperta, ha ricevuto il Nobel per la Medicina. Questo esempio dimostra come il problema non sia solo storico, ma che riguarda anche il presente, evidenziando la necessità di una riflessione profonda e di un cambiamento nell'approccio dell’intera comunità scientifica.

L'obiettivo di Boscolo non è tanto quello di fornire una narrazione esaustiva, ma piuttosto di avviare un dialogo e offrire spunti di riflessione. La scienza, secondo l'autore, non è mai stata un campo neutrale, ma è stata profondamente influenzata dai processi storici di colonizzazione, un legame che deve essere affrontato per poter costruire, in futuro, un sapere più equo e inclusivo.
Il libro inizia parlando della rivoluzione scientifica, mettendo in evidenza il ruolo svolto dalle conoscenze astronomiche sviluppate nel mondo islamico. Un esempio significativo è quello dell'Almagesto di Tolomeo, messo in dubbio da studiosi arabi come Ali al-Qushji, le cui idee furono poi assimilate da scienziati europei come Copernico, a cui attribuiamo il definitivo abbandono del sistema tolemaico. Boscolo evidenzia come il lavoro di Copernico sia stato influenzato da una sintesi di saperi provenienti dal mondo arabo, un dettaglio spesso trascurato nella narrazione classica della storia della scienza, ma non è l’unico caso in cui è successo qualcosa di simile.
Un altro esempio potente è infatti quello di Isaac Newton, che ha formulato la legge di gravitazione universale che risulta però legata alle spedizioni coloniali francesi nelle Americhe, come quelle in Guyana e Senegal di Jean Richer, che si chiede come mai il pendolo che in Francia misurava un minuto non era altrettanto preciso in questi territori. Il motivo è legato alla gravità e alla conformazione terrestre, quindi la scoperta di Newton forse non sarebbe stata possibile senza le spedizioni coloniali (Newton infatti era un avido lettore di racconti di viaggio).

Nel libro c’è poi una sezione sulla botanica, che mostra come le conoscenze sulle piante esotiche maturate dalle popolazioni indigene siano state strumentalizzate a fini imperialisti. Il caso della corteccia peruviana (genere Cinchona), è emblematico: leggenda vuole che la moglie del viceré spagnolo in Peru, Ana de Osorio, si ammalò, e venne guarita con questa pianta dalle popolazioni locali. Aveva la malaria, e la corteccia conteneva chinino. Naturalmente i locali lo sapevano e anche se all’inizio in questi casi gli europei manifestarono ammirazione, successivamente cambiarono atteggiamento, e anzi cominciarono a negare non solo le conoscenze, ma anche qualsiasi intelligenza nelle popolazioni locali.

La scoperta del chinino poi, favorì ulteriori colonizzazioni, che prima erano ostacolate dalla malattia. In breve gli europei, in questo caso i britannici, decisero che la corteccia doveva essere loro, che non bastava più ricavarla in loco, ma che era giunto il momento di coltivarla massivamente in India. Più facile a dirsi che a farsi: è difficile trasportare per mare delle piante esotiche, e forse proprio per questo erano simbolo di prestigio nelle corti europee. Furono mandati in avanscoperta il funzionario Clements Markham, il botanico Richard Spruce e il giardiniere Robert Cross, e la spedizione fu un successo, anche grazie alla cassa di Ward, una specie di serra portatile, che ha permesso il trasferimento delle piante. Questa può essere raccontata come una storia di progresso, e in effetti è stato fatto proprio questo, ma a chi ha portato un vantaggio? Agli europei, naturalmente, che si arricchirono grazie a una scoperta non loro, tanto più se si considera che in India la malattia era endemica, ma solo una piccola quantità di chinino arrivava alle popolazioni locali, anche se era coltivato proprio sui loro territori.

La conquista di un bene naturale come il chinino, avvenuta grazie a uno sforzo scientifico non meno importante di quello militare e politico, ha corrisposto al miglioramento delle condizioni di solo una minoranza dell'umanità Marco Boscolo

Uno degli aspetti positivi del libro è la sua accessibilità. Anche se l’argomento trattato è complesso, e forse avrebbe meritato una trattazione più lunga, Boscolo riesce a mantenere un linguaggio chiaro e comprensibile, rendendo il libro adatto a qualsiasi pubblico. Questo è particolarmente importante, perché la riflessione sulle radici coloniali della scienza non dovrebbe essere confinata a una discussione accademica, ma dovrebbe coinvolgere un pubblico più ampio.
Tra i punti deboli, si potrebbe notare la mancanza di un approfondimento su come la scienza possa evolvere per superare queste radici coloniali. Sebbene Boscolo offra degli spunti, il libro avrebbe potuto includere maggiori riflessioni su possibili soluzioni o strategie per rendere la scienza più inclusiva e sensibile alle diverse tradizioni culturali, ma di questo l’autore ne è consapevole e infatti precisa che il suo scopo era soprattutto quello di sollevare un problema troppo spesso ignorato.

La bianca scienza è un libro che merita di essere letto da tutti, ma in particolare dagli scienziati e dai ricercatori occidentali. Spesso, in buona fede, non ci si rende conto dei pregiudizi e delle dinamiche di potere che permeano l’ambiente lavorativo quotidiano, ma ignorare questi problemi non li risolve, anzi, rischia di perpetuarli. Marco Boscolo ci invita a guardare oltre la superficie e a confrontarci con le ombre del passato per costruire una scienza più giusta e inclusiva: affrontare apertamente questa eredità coloniale non è solo un atto di giustizia storica, ma anche un passo necessario per garantire che la scienza possa veramente servire l'intera umanità, e non solo quella che è nata “dalla parte giusta” del mondo.

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