SCIENZA E RICERCA

Quanto fa male l’idea di una scienza fatta di "certezze inconfutabili"

"Chiedo alla comunità scientifica, senza polemiche, di darci certezze inconfutabili e non tre o quattro opzioni per ogni tema. Chi ha già avuto il virus, lo può riprendere? Non c'è risposta. Lo stesso vale per i test sierologici. Pretendiamo chiarezza altrimenti non c'è scienza". Così si è espresso lo scorso 14 aprile dalle pagine del Corriere della sera il ministro per gli affari regionali Francesco Boccia.

Un messaggio sostanzialmente analogo era stato già recapitato il 9 aprile da Licia Mattioli, vice presidente di Confindustria, nel corso della trasmissione su La7 Otto e mezzo. Rivolgendosi all’infettivologo Massimo Galli, e alla comunità medico scientifica da lui rappresentata, gli chiedeva soluzioni: “tamponi, analisi di siero, tutto quello che metta in sicurezza i cittadini in generale, perché la vita gradatamente riprenda finché non si trovano delle soluzioni come i vaccini”.

Sia la voce degli imprenditori, sia la voce della politica, sia buona parte della cittadinanza si aspettano che dinanzi al nemico invisibile sia la scienza a fornire le certezze che nessun altro settore riesce a dare. Ebbene queste aspettative, pur legittime, sono figlie di un fraintendimento derivante da un’idea di scienza che purtroppo, specialmente negli ultimi anni, ha goduto di un notevole successo mediatico.

“Questa idea di scienza granitica, che detiene verità assolute, non deriva dalle dichiarazioni di un singolo politico. È un modello che è stato molto spesso propagandato negli anni scorsi ed è un’idea assolutamente sbagliata e pericolosa”, spiega Roberta Villa, medico e giornalista, tra i membri della task force per il contrasto alla diffusione di fake news istituita dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Andrea Martella a inizio aprile. “La scienza è un processo in divenire, che richiede di mettere continuamente in dubbio ciò che si è acquisito, farsi domande, andare ad approfondire. E lo è tanto di più in questo momento in cui ci troviamo di fronte a una minaccia nuova”. Insieme a Fabiana Zollo, ricercatrice del dipartimento di scienze ambientali, informatiche e statistiche dell’università di Ca’ Foscari di Venezia (anche lei nella task force), Roberta Villa lavora a un progetto europeo, Quest, che mira a sviluppare strategie per una comunicazione della scienza efficace.

Tra i tanti aspetti della nostra società che da un giorno all’altro la pandemia ha reso trasparenti c’è anche il funzionamento della comunità scientifica. Senza nemmeno il tempo di togliersi il camice da laboratorio, i ricercatori si sono trovati proiettati direttamente in prima serata e sulle pagine dei giornali a confrontarsi in discussioni che normalmente si tengono tra i corridoi dei centri di ricerca e nelle sale riunioni. Abbiamo così messo a nudo la logica della scoperta, vedendo che non è una strada già segnata, ma una pluralità di sentieri, molti dei quali conducono a vicoli ciechi. Abbiamo anche visto che il disaccordo all’interno della stessa comunità scientifica è un elemento costitutivo del processo che porta alla costruzione del consenso. All’inizio si diceva che il virus era poco più di un’influenza, poi si è arrivati a considerare un’eresia il solo accostamento. Le linee guida dell’Oms inizialmente non indicavano di eseguire i test agli asintomatici, ora il loro tracciamento è una condizione essenziale per l’uscita dalla fase 1, come è emerso dalla conferenza stampa dell’Oms del 13 aprile.

Gli organi di informazione si sono trasformati nelle telecamere di un reality show che ha per protagonista la comunità medico-scientifica. I battibecchi interni, com’è tipico del format, sono i momenti più spettacolari, che fanno più ascolti.

Analizzare grafici e parlare di risultati preliminari a tutte le ore può sembrare un’ottima notizia per una società che in più occasioni ha dato segni di notevoli ritardi nell’alfabetizzazione scientifica, a tutti i livelli, dalla classe dirigente al singolo impiegato. Può anche però essere un’arma a doppio taglio nel momento in cui la popolazione o non ha mai familiarizzato a sufficienza con le discussioni scientifiche, o è stata educata a un’idea di scienza iper-semplificata che non corrisponde a quella che ora vede in televisione e legge sui giornali. Il disaccordo a volte anche profondo tra virologi, tra immunologi, tra epidemiologi produce nel pubblico un effetto di straniamento e una conseguente perdita di fiducia nei confronti di una realtà che non aderisce alle aspettative pregresse. L’attesa di certezze viene tradita e investita dal dubbio, che presto si trasforma in diffidenza nei confronti di un oggetto estraneo.

La promozione di un’immagine della scienza quale fabbrica di verità dunque non solo è un grossolano fraintendimento dell’essenza dell’impresa scientifica, ma è anche un boomerang che si ritorce contro la stessa comunità scientifica e la popolazione.

La formazione di un consenso, in qualsiasi contesto, è un processo lungo e faticoso, specialmente quando si è di fronte a un fenomeno nuovo e inaspettato. Ciò che differenzia la scienza dalle altre comunità è che dispone di un metodo e di regole condivise per raggiungere quel consenso. Il metodo richiede tempo e un’applicazione rigorosa dello stesso, le scorciatoie non sono accettate. Ma all’interno di quel recinto di regole razionali è contemplato e anzi essenziale il confronto, che normalmente avviene non su un campo mass mediatico, ma sulle pagine delle riviste scientifiche. La storia della scienza si è giocata su questi confronti e scontri tra scuole di pensiero: il modello atomico (quello di Rutherford e quello di Bohr), la natura della luce (corpuscolare o ondulatoria), l’interpretazione della meccanica quantistica. Senza entrare nei dettagli epistemologici, basti dire che la medicina è una scienza meno pura della fisica, ed è quindi lecito aspettarsi che gli argomenti oggetto di dibattito siano tanti e di non facile risoluzione.

Comunicare in modo efficace e rigoroso la complessità di questi percorsi e questi confronti è uno degli obiettivi della task force di cui, a titolo gratuito, fa parte Roberta Villa. “In questo momento stiamo facendo brainstorming, stiamo avanzando proposte. Se ci fossero già delle soluzioni non ci sarebbe bisogno di questo gruppo di lavoro. Nessuna delle nostre proposte va in senso repressivo o di censura, ma tutte nell’ottica di facilitare l’accesso a certi tipi di informazione anziché altre” precisa Roberta Villa. “Faccio un esempio che è già disponibile: quando si apre Facebook e si digita qualcosa relativo a CoVid-19, viene segnalata la possibilità di accedere alle informazioni del ministero. Lavoriamo nella direzione di costruire delle vie privilegiate per accedere a fonti attendibili, il che non vuol dire stabilire cosa sia vero o falso, non siamo il ministero della verità come qualcuno ci ha accusato di essere. Proviamo a favorire l’accesso alla conoscenza scientifica più consolidata in un dato momento”.

Nonostante siamo per lo più abituati a ragionare per mezzo di categorie stagne di vero e falso, occorre imparare a considerare le sfumature di grigio, nelle quali sono nascosti i dettagli. “Occorre essere aperti a ascoltare le voci di tutti gli esperti. Questo naturalmente non significa che chiunque può svegliarsi la mattina e dire che il virus lo portano le api. Deve sempre esserci una base di prove e dati a supporto dell’una o l’altra tesi. Il legame tra coronavirus e 5G ad esempio non ha alcun supporto o spiegazione razionale. La correlazione con l’inquinamento invece secondo alcuni ricercatori merita di essere approfondita. Bisogna essere molto cauti e fare attenzione con una malattia che è ancora in parte sconosciuta”.

Ma come si fa a costruire un’immagine più corretta della scienza? “Raccontandola” risponde Roberta Villa, “Io cito sempre il fisico Carlo Rovelli, che è un grandissimo esempio. Leggere i suoi libri mi ha aiutato a capire quale fascino può avere un argomento di cui io non capisco niente. Il bello della scienza è che procede per domande e dubbi, non con le certezze. Qualunque scienziato serio direbbe questo, smontare l’immagine di una scienza granitica si può fare”.

Per le soluzioni richieste a gran voce dovremo quindi aspettare che il sentiero venga percorso fino in fondo, evitando facili scorciatoie che non farebbero altro che portarci tutti fuori strada, e sperando di non trovare troppi intralci nel corso di un cammino, che ad oggi, risulta in gran parte ancora inesplorato.

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