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Tamponi, test sierologici, diagnosi e anticorpi: facciamo chiarezza

In questi giorni si sente in continuazione parlare di test diagnostici, test immunologici, tamponi faringei, test sierologici, test anticorpali, test rapidi. Proviamo a mettere ordine. I test diagnostici si basano tutti su una metodologia validata, mentre il panorama dei test sierologici è ancora molto frastagliato.

Test diagnostici

L’analisi dei tamponi rino-faringei è l’unico test diagnostico che permette di rilevare la presenza o meno del virus. Il campione da esaminare viene prelevato tramite un batuffolo di cotone all’estremità di bastoncino che viene posto a contatto delle mucose del naso e della bocca del paziente di cui si sospetta l’infezione da CoVid-19. Il campione viene poi spedito ai laboratori di analisi che tenteranno di rintracciarvi la presenza dell’RNA del virus tramite la metodologia della RT-PCR (Real Time – Polymerase chain reaction). Un paziente conosce il risultato del tampone (positivo se è stato rinvenuto il virus, negativo altrimenti) nel giro di 4-6 ore, laddove il laboratorio non sia sovraccaricato di lavoro. Oltre all’eccessivo carico di lavoro, altri fattori che in questi giorni rallentano le analisi in diversi laboratori italiani sono la carenza di materiale, in particolare dei reagenti chimici.

La circolare del ministero della salute del 3 aprile in merito alle indicazioni sui test diagnostici specifica (nell'allegato 2) la lista dei laboratori di riferimento regionali muniti della strumentazione validata e del personale qualificato per eseguire i protocolli di estrazione del genoma virale e i test di RT-PCR.

Tra questi il laboratorio di microbiologia e virologia dell’università di Padova diretto dal Prof. Andrea Crisanti che già a fine gennaio, appena ricevuta notizia di una polmonite atipica in Cina, si era attivato per mettere a punto il test diagnostico del tampone. Lo ha fatto basandosi sul lavoro diretto dal prof. Christian Drosten dell’istituto Charité di Berlino pubblicato sul sito eurosurvelliance.org, dunque validato a livello europeo. Il test messo a punto a Padova è stato poi diffuso alla maggior parte dei laboratori del Veneto. Il Veneto è la Regione in Italia dove sono stati compiuti più tamponi per abitante.

I ricercatori lombardi, che tramite l’analisi epidemiologica hanno identificato il primo caso di CoVid-19 in Lombardia già il 1 gennaio, hanno utilizzato lo stesso test sviluppato da Drosten, cui però hanno aggiunto una piccola variante, ovvero l’analisi di un ulteriore gene virale (M).

La stessa circolare ministeriale riporta, in allegato 1, “l’elenco dei kit diagnostici e delle aziende certificate produttrici e/o distributrici, predisposto dal gruppo di lavoro “diagnostici in vitro” del CTS (Comitato Tecnico Scientifico, ndr)”.

Test Sierologici

I test sierologici servono invece a individuare la presenza di anticorpi nel sangue, o meglio nel plasma (anche detto siero), dei pazienti. Questi test sono anche chiamati test rapidi, perché danno la risposta sulla presenza o meno di anticorpi nel giro di 10-15 minuti analizzando una sola goccia di sangue prelevata da un polpastrello.

Gli anticorpi sono le armi che il nostro sistema immunitario dispiega contro una malattia e la loro presenza nel plasma è indice di una esposizione presente o passata all’infezione virale. I test sierologici sono dunque test immunologici.

Sars-CoV-2 è un coronavirus, ovvero un pacchetto di RNA avvolto in un involucro proteico (capside) caratterizzato da protuberanze (dette spikes, proteine anch’esse) che servono al virus ad ancorarsi a specifici recettori (ACE2) che si trovano sulla membrana delle cellule delle mucose del sistema respiratorio umano. I recettori ACE2 sono la serratura e le proteine virali spike le chiavi per aprirli. Gli anticorpi che il nostro organismo produce per difendersi dall’attacco del coronavirus sono chiamati immunoglobuline e aggrediscono proprio le spikes del virus inibendone l’azione infettiva. Esistono due tipi di immunoglobuline, prodotte in momenti diversi dell’infezione.

Le IgM (immunoglobuline di tipo M) sono gli anticorpi che compaiono 5-6 giorni dopo la contrazione del virus e scompaiono dopo circa 20 giorni o tre settimane. Sono responsabili della prima risposta immunitaria dell’organismo. Assomigliano a delle Y che si attaccano alla corona del virus, impedendogli di agganciare i recettori attraverso cui entrerebbe nell’organismo.

Le IgG (immunoglobuline di tipo G) sono gli anticorpi che iniziano a venire prodotti dopo circa 15 giorni dalla contrazione del virus, sono indice di una passata infezione e si stima rimangano presenti nell’organismo per diverse settimane o mesi. Solitamente, per altri virus, la loro presenza protegge l’organismo da nuove possibili infezioni, ma per quanto riguarda Sars-CoV-2 ancora non si hanno dati a sufficienza per stabilirlo. La comunità scientifica a inizio aprile è ancora divisa in merito all’efficacia protettiva delle IgG: non è ancora conosciuto il loro ruolo e non è escluso che una volta contratto il virus non sia possibile ricontrarre l’infezione.


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Mentre i test diagnostici certificati e validati sono tutti accomunati dalla medesima logica, ovvero la ricerca dell’RNA virale tramite RT-PCR, il panorama dei test sierologici è molto più frastagliato. In una nota del 18 marzo il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) ha dichiarato che “Ad oggi i test basati sull'identificazione di anticorpi (sia di tipo IgM che di tipo IgG) diretti verso il virus Sars-CoV-2 non sono in grado di fornire risultati sufficientemente attendibili e di comprovata utilità per la diagnosi rapida nei pazienti che sviluppano Covid-19 e che non possono sostituire il test classico basato sull'identificazione dell'Rna virale nel materiale ottenuto dal tampone rino-faringeo". E aggiunge che "L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sta attualmente valutando circa 200 nuovi test rapidi basati su differenti approcci e che sono stati portati all’attenzione dell’Agenzia; i risultati relativi a quest’attività di screening saranno disponibili nelle prossime settimane”. Tra questi i test in chemiluminescenza, che sembrano quelli soggetti a errore statistico più basso (tra il 4% e il 5%).

Il Corriere della Sera in un articolo del 7 aprile riporta la notizia di un test sierologico sviluppato al Policlinico San Matteo di Pavia e pronto a essere lanciato sul mercato dalla multinazionale di diagnostica DiaSorin. Sarebbero interessati ad acquistarlo anche gli Stati Uniti e il Belgio. La certificazione del test “tutto made in Italy” tuttavia non è attesa prima di due settimane. Nonostante infatti venga presentato come una soluzione definitiva, in grado di rilasciare un “patentino di immunità”, in Italia sono in fase di sperimentazione e valutazione diverse tipologie di test sierologici e nessuna ancora è stata validata per l’utilizzo sulla popolazione. Uno degli elementi ancora da perfezionare è la sensibilità del test, ovvero la sua percentuale di errore. Non solo, come ribadiscono Andrea Crisanti e Antonella Viola, rispettivamente microbiologo e immunologa dell’università di Padova, non abbiamo ancora dati a sufficienza per stabilire se la rilevazione degli anticorpi tramite test sia un segnale di immunità o parte della patologia. Parlare di patentino di immunità è quindi per lo meno prematuro, se non fuori luogo. Crisanti e Viola stanno insieme lavorando a un progetto di ricerca per inquadrare meglio la risposta immunitaria al Sars-CoV-2.

Anche la circolare del 3 aprile puntualizza chiaramente che i test sierologici “necessitano di ulteriori evidenze sulle loro performance e utilità operativa”. Tra un paio di giorni è atteso un intervento del ministero della salute in merito alle modalità di utilizzo dei test sierologici considerati affidabili. Nel frattempo è importante prevenire un approccio fai-da-te a livello locale e, come purtroppo è già accaduto, persino a livello di singola azienda. Test sierologici diversi hanno tassi di affidabilità diversi, che impedirebbero di comparare i dati a livello nazionale e dunque avere un quadro concreto della diffusione dell’epidemia.

I test sierologici rappresenteranno quindi uno strumento epidemiologico fondamentale per stabilire la reale diffusione dell’epidemia, sicuramente sottostimata nei numeri che quotidianamente vengono forniti dalla Protezione Civile. Ma al momento il tampone resta ad oggi lo strumento più affidabile per diagnosticare l’infezione da CoVid-19.

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