Da diversi giorni il laboratorio di microbiologia e virologia dell’università di Padova, diretto da Andrea Crisanti, e l’azienda ospedaliera di Padova sono impegnati in prima linea nel monitorare costantemente la diffusione dell’infezione, nel controllare i contatti e verificare i pazienti infetti. Da quando è stato scoperto il focolaio di Vo', 4 giorni fa, sono stati effettuati circa 5.000 test, tra i 1.000 e i 1.500 al giorno, a gruppi di 100-150 ogni tre ore circa. Il personale lavora 24 ore al giorno, turni anche di notte. In 4 ore un paziente sa se è positivo al test oppure no. “Stiamo studiando il tasso di riproduzione dell’infezione, tentando di capire come l’infezione si trasmette all’interno dei nuclei famigliari e attraverso i contatti” spiega Andrea Crisanti. “Adesso siamo entrati nella fase successiva che è quella dell’analisi dei dati a nostra disposizione”.
Andrea Crisanti fa il punto sull'evoluzione del virus in Veneto e sull'efficacia del test. Montaggio di Barbara Paknazar
Salvaguardare l’operatività dell’ospedale
“Adesso siamo in una situazione di allarme, ma non è che al primo colpo di tosse dobbiamo recarci all’ospedale, questo danneggia l’operatività del pronto soccorso” specifica Crisanti.
L’ospedale di Padova ha 1600 letti e tratta al contempo tantissime altre patologie: “Dobbiamo affrontare l’emergenza e al contempo garantire la continuità del servizio. I test non vanno fatti a tutti, ma solo a persone che si presentano al pronto soccorso o al reparto di malattie infettive con una sindrome respiratoria. Viene anche fatto a persone che vengono contattate perché hanno avuto contatti sicuri con persone che sono già state contagiate”. È così che è stata scoperta la bambina risultata positiva all’ospedale di Padova, era a contatto con una famiglia i cui membri erano quasi tutti contagiati. Ora però è a casa, con sintomatologia quasi nulla. “Non abbiamo le risorse per fare il test anche a tutti gli asintomatici, su questo non c’è dubbio”.
Difficile prevedere come evolverà la situazione perché quello che gli esami rivelano oggi è frutto di contagi avvenuti dai 7 ai 10 giorni fa. Nel frattempo i contatti tra le persone si sono moltiplicati: è quindi normale aspettarsi nei prossimi giorni un aumento del numero dei casi. “Gli effetti delle misure prese adesso li vedremo tra una settimana o dieci giorni. Se questi effetti non si vedranno le autorità nazionali dovranno rivedere le misure prese. In questo momento siamo in una fase di verifica, contenimento, identificazione dei casi e dei contatti e di misure di quarantena”.
Lo sviluppo del test
Il test per verificare la presenza del virus SARS-CoV2, che causa la sindrome respiratoria a sua volta ribattezzata Covid-19, è stato messo a punto dal laboratorio di Crisanti a partire da uno studio dell’Istituto Charité di Berlino pubblicato a fine gennaio. Già due settimane fa i laboratori di Padova hanno iniziato il trasferimento di conoscenze e tecnologie ad altri presidi ospedalieri e ora il test è stato adottato a Mestre, Venezia, Vicenza, Verona. Treviso ha utilizzato un test commerciale, ma avendo esaurito i reagenti ora è tornata ad adottare quello sviluppato a Padova. Ci sono dunque diversi laboratori in Veneto che sono adeguatamente attrezzati.
Una questione di probabilità
In ogni misurazione c’è una percentuale di errore. Più l’oggetto da misurare è complesso, maggiori possono essere gli errori. Per questo il test viene eseguito più volte, perché più se ne fanno minore è la probabilità di cadere in errore. “Più acquisiamo dati più aumentiamo il valore predittivo del test” spiega Crisanti. “Quando lo avremo perfezionato il test verrà fatto una volta sola, il che ci permetterà di velocizzare ulteriormente i tempi”.
Il paragone con l’influenza
L’obiettivo principale in questa fase critica è salvaguardare l’operatività del Servizio Sanitario Nazionale. È una questione di sicurezza da non sottovalutare, perché la malattia è ancora poco conosciuta, ma i dati a disposizione dicono che l’85% delle persone che contraggono il virus resta asintomatico o ha sintomi molto lievi che si risolvono facilmente, da casa. Spesso viene fatto il paragone con l’influenza, ma occorre fare delle precisazioni: “In epidemiologia esiste un termine, R0, che rappresenta il numero di individui che una persona infetta può contagiare” precisa Crisanti. “L’influenza ha un R0 di 1,5 circa, relativamente basso, perché ci sono molte persone già vaccinate e altrettante già immunizzate, ovvero che hanno sviluppato gli anticorpi in seguito a precedenti esposizioni. Questo nuovo virus ha un R0 più elevato, che non si conosce ancora con precisione, ma grazie ai dati a nostra disposizione potremo definirlo in maniera chiara. Al momento pensiamo si aggiri attorno a 4”.
L’evoluzione del virus
“Dal punto di vista del virus noi siamo una nuova nicchia ecologica per il virus” spiega Crisanti. Si sa che i virus mutano e si sa che di fronte a una nicchia ecologica da conquistare le varianti più virulente avranno un vantaggio selettivo. “Al momento abbiamo un quadro epidemiologico, ma non è detto che in futuro questo quadro non cambi, per via delle mutazioni del virus. Il nostro obiettivo deve essere non arrivare a convivere con il virus, ma eliminarlo. La convivenza significherebbe sviluppare farmaci e vaccini, ma non prima di 18 mesi o un anno. Noi abbiamo invece una finestra di opportunità per contenerlo e quindi dobbiamo puntare a eliminarlo, per via della pericolosità evolutiva di un virus che entra in una nicchia ecologica per lui nuova e da conquistare. Occorre allora investire in prevenzione e controllo. Sebbene esistano farmaci che hanno una parziale efficacia, al momento non abbiamo una vera e propria terapia e l’unico modo per eliminarlo è adottare misure di contenimento, quarantena e isolamento dei casi. Stiamo anche studiando il modello matematico dell’infezione per essere un passo avanti al virus” aggiunge Crisanti. “Siamo in una fase ancora iniziale, ma stiamo mettendo insieme le migliori menti dell’università per unire competenze di matematica, epidemiologia e intelligenza artificiale”.
Andrea Crisanti precisa l'ottimo rapporto con la Regione, dopo le polemiche dei giorni scorsi in riferimento alle direttive nazionali. Montaggio di Barbara Paknazar
Il conflitto Stato-Regioni
Negli ultimi giorni si è accesa una discussione sul rapporto tra Stato e Regioni nella gestione dell’emergenza. Secondo Walter Ricciardi, membro del consiglio esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e ora consigliere per le relazioni dell’Italia con gli organismi sanitari internazionali, le eccessive diramazioni della catena di comando hanno costituito un punto debole dell’Italia, almeno nella prima fase della gestione dell’epidemia.
“Prima che scoppiasse la tempesta mediatica eravamo stati avvisati di una polmonite atipica in Cina, diversa dalle altre” dichiara Crisanti. “Circa a metà gennaio la sequenza del virus è stata pubblicata e ci siamo attivati immediatamente: abbiamo impostato il test, grazie al supporto dell’azienda ospedaliera e della Regione. Quando la comunità cinese ci ha avvisato del rientro di persone dalle aree infette abbiamo avanzato la proposta di un programma di controllo, che includeva anche gli individui asintomatici. Il test scatta una fotografia, quindi si sarebbe dovuto ripetere diverse volte su individui che presentavano una patologia molto blanda e che sarebbero potuti essere portatori. C’era un’opportunità per poterli identificare. Fino a 5 giorni fa noi avevamo fatto 100 test, perché ci siamo attenuti scrupolosamente alle direttive della Regione e del ministero. Ora stiamo facendo quasi 1.500 test al giorno e in totale ne abbiamo circa 5.000. Avremmo potuto farli anche prima, ma la scienza e l’epidemiologia non si fanno con i se e con i ma".
L’11 febbraio infatti il direttore regionale dell’area Sanità e Sociale del Veneto Domenico Mantoan aveva inviato una lettera al direttore dell’azienda ospedaliera di Padova Luciano Flor e al prof. Crisanti bocciando, di fatto, la proposta.
“Nella mia replica mi sono sentito di esprimere la mia posizione scientifica. Visto dall’esterno può essere sembrato uno scambio acrimonioso, ma non è stato altro che uno scambio di comunicazioni prettamente istituzionale” ha chiarito Crisanti. “Noi avevamo fatto una proposta e la Regione ci ha ricordato che non era in linea con le direttive nazionali, che sono sotto gli occhi di tutti per come hanno funzionato. Ma su questo non faccio altri commenti. Anche la Regione era in qualche modo legata a queste direttive. Tra noi e la Regione c’è una collaborazione totale: ci ha messo a disposizione nuove risorse in termini di personale, materiale e accesso a reagenti per fare gli esami. L’ospedale di Treviso e l’ospedale di Schiavonia avevano dei casi infetti da 7-8 giorni non diagnosticati, perché questi casi non rientravano nella cosiddetta definizione di eleggibilità per il test. Chi ha accusato i medici di aver causato questa situazione è stato ingeneroso se non irresponsabile”.
Coordinamento internazionale
Quello che conta però ora è che sul piano internazionale c’è un coordinamento sufficientemente articolato, di modo tale che i dati raccolti siano sufficientemente uniformi. “Naturalmente c’è la possibilità che il virus vada incontro a mutazioni. Esiste quindi la possibilità che le sonde non catturino quella particolare variante, ma il test che abbiamo messo a punto qui a Padova scandaglia diverse regioni del virus quindi la probabilità che muti in diversi punti e ci sfugga è più bassa. Nonostante questo io penso che il virus arrivato da noi sia pressoché uguale a quello diffuso in Cina. E i dati che provengono dalla Cina sulla diminuzione dei contagi in questo senso sono incoraggianti”.