SOCIETÀ

Striscia di Gaza: un'emergenza (anche) sanitaria

Quasi 40.000 morti, più di 90.000 feriti, oltre 10.000 dispersi sotto le macerie. È il bilancio a dieci mesi dall’inizio del conflitto israelo-palestinese sulla Striscia di Gaza. Gran parte della popolazione non ha più una casa. Le persone vivono in tende e rifugi di fortuna, in luoghi sovraffollati con scarse condizioni igieniche e senza acqua pulita, che favoriscono il diffondersi di malattie. A destare particolare preoccupazione in questo momento è la poliomielite, dopo che il virus è stato ritrovato nelle acque reflue delle città di Deir al Balah e Khan Younis. Tra il 22 e il 29 luglio sono stati segnalati anche tre casi sospetti di paralisi flaccida, che si manifesta nelle forme più gravi della malattia.

“Senza un'azione immediata – scrive Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, il 26 luglio su The Guardian – è solo questione di tempo prima che raggiunga le migliaia di bambini rimasti senza protezione. Chi ha meno di cinque anni è a rischio, e in particolar modo i neonati sotto i due anni, perché molti non sono stati vaccinati durante i nove mesi di conflitto”. Prima della guerra i più piccoli avevano accesso a servizi di vaccinazione di routine. Nel 2022 si stima che il 99% dei bambini nei territori palestinesi occupati avesse ricevuto la terza dose di vaccino antipolio, ma nel 2023 la percentuale è scesa all’89%. 

La malattia è causata da un virus, appartenente al genere enterovirus, di cui si conoscono tre tipi (poliovirus 1, 2 e 3). Se il poliovirus selvaggio è il più noto, esiste anche un poliovirus circolante di derivazione vaccinale e quello di tipo 2 (cVDPV2) è il più diffuso e circolante nella Striscia di Gaza. La poliomielite è una patologia altamente infettiva a carico del sistema nervoso centrale, dei neuroni motori in particolare: il contagio può avvenire per via oro-fecale, attraverso saliva o goccioline emesse con colpi di tosse o ingerendo cibi o acqua contaminati. Nei casi più gravi cioè in meno dell'1% delle infezioni, come si è detto, si può arrivare a uno stato di paralisi flaccida, con perdita di motilità volontaria e di tono muscolare. 

Data la situazione, in questo momento l’Organizzazione mondiale della Sanità sta lavorando a stretto contatto con il ministero della Salute, l'Unicef e l'Unrwa, coordinandosi anche con la Global Polio Eradication Initiative, per valutare il grado di diffusione del poliovirus nella Striscia di Gaza e determinare quali siano gli interventi più appropriati da sostenere. “Le indagini sul campo  e la valutazione del rischio – si legge nel rapporto Oms del 29 luglio (l’ultimo disponibile nel momento in cui si scrive) – indicheranno le azioni da intraprendere, che potrebbero includere campagne di vaccinazione e potenziamento dell’immunizzazione di routine e della sorveglianza, per quanto possibile data la situazione attuale. L'Oms inoltre ha sostenuto il ministero della Salute nella creazione di cinque squadre di risposta rapida nella Striscia di Gaza, per garantire una sorveglianza e un'indagine tempestive di qualsiasi allarme di paralisi flaccida acuta”. L’obiettivo principale in questo momento è l’invio di più di un milione di vaccini antipolio nei territori palestinesi.  

Dal punto di vista sanitario, la poliomielite non è l’unica emergenza da affrontare. Nella striscia di Gaza su 36 ospedali 16, cioè meno della metà, sono solo parzialmente funzionanti a causa dei danni derivanti dal conflitto, per un totale di 1.490 posti letto disponibili. Gli ordini di evacuazione continuano a compromettere la funzionalità delle strutture sanitarie. Dal primo luglio l’ospedale europeo di Gaza è fuori servizio, e a Rafah per oltre due mesi non c’erano nosocomi che potessero garantire servizi sanitari. Gli otto ospedali da campo esistenti cercano di rispondere all’emergenza, ma anche in questo caso quattro sono solo parzialmente funzionanti. 

“Siamo profondamente preoccupati che la distruzione degli ospedali di Gaza stia demolendo il già fragile sistema sanitario della regione, che è stato trascurato su troppi fronti per decenni – scrivevano su Nature già alla fine dello scorso anno Ru’a Rimawi e Navid Madani, del Science Health Education Center al Dana-Farber Cancer Institute di Boston  –. Mentre migliaia di persone cercano riparo dai bombardamenti aerei, il rischio di epidemie aumenta notevolmente a causa del sovraffollamento, della carenza d’acqua, delle scarse forniture mediche e delle interruzioni di elettricità. Il personale medico è sovraccarico”. Stando ai dati Oms, lo sfollamento di 1,7 milioni di persone nell’area umanitaria (che costituisce il 13% della superficie della Striscia di Gaza) ha un grave impatto sulla salute. La mancanza di infrastrutture di accoglienza adeguate, le scarse condizioni igienico-sanitarie, il difficile accesso all’acqua potabile e lo straripamento di acque reflue non trattate, aumentano il rischio di malattie trasmissibili. Senza contare che il sovraffollamento aumenta anche il pericolo di vittime di massa.

Ospedale Al-Shifa a Gaza, 22 luglio 2024. Fonte: Organizzazione mondiale della Sanità

Dall’inizio del conflitto al 30 giugno l’Oms riporta più di 975.000 casi di infezioni respiratorie acute e oltre 562.000 casi di diarrea, di cui circa 122.000 in bambini al di sotto dei cinque anni. Quasi 104.000 persone hanno contratto scabbia e infestazioni da pidocchi, altrettante hanno avuto problemi di tipo epatico (acute jaundice syndrome), e più di 65.000 hanno manifestato eruzioni cutanee. Sono stati registrati anche più di 11.200 casi di varicella. 

L’accesso limitato ai servizi sanitari essenziali colpisce in modo significativo anche i pazienti affetti da patologie non trasmissibili. L’Organizzazione mondiale della Sanità conta nella Striscia di Gaza più di 45.000 pazienti con malattie cardiovascolari, oltre 650.000 persone con problemi di pressione arteriosa elevata e più di 60.000 con alti livelli di glucosio nel sangue. Più di 2.000 persone ogni anno ricevono una diagnosi di cancro e tra queste 122 sono bambini e 1.500 pazienti hanno bisogno di dialisi renale per restare in vita. A ciò si aggiungano più di 485.000 pazienti affetti da disturbi mentali, che possono contare su uno solo dei sei  Community Mental Health Centers prima operativi: l’unico ospedale psichiatrico esistente è fuori servizio ormai da novembre 2023 in seguito a un attacco. Sul territorio inoltre sono disponibili al momento solo 60 macchinari per l’emodialisi rispetto ai 182 di cui si poteva fruire prima della guerra, con conseguenze che potrebbero essere fatali per i pazienti.  

Date le condizioni in cui versano gli ospedali, molti pazienti si trovano nella necessità di dover essere spostati in altre strutture al di fuori di Gaza, ma su quasi 13.900 persone con questi bisogni sanitari (numero probabilmente destinato a crescere), poco meno di 5.000 sono stati evacuati per ragioni mediche da ottobre 2023. “Il continuo smantellamento del sistema sanitario  – si legge nel rapporto Oms  –, riduce la disponibilità di servizi sanitari e minaccia il diritto alla salute di oltre 2,1 milioni di persone nella Striscia di Gaza”. Dello stesso tenore una nota di Medici senza Frontiere del 7 agosto: “A Gaza si muore perché non ci sono più strutture mediche. Le forze israeliane hanno ripetutamente bombardato e attaccato ospedali, centri sanitari, convogli e personale medico e umanitario. L’esercito israeliano ha sistematicamente smantellato ospedale dopo ospedale. Meno della metà degli ospedali di Gaza è operativa”.

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