SOCIETÀ

Usa-Cuba, si riaccende lo scontro: bloccato il visto al presidente Díaz-Canel

Si riaccende lo scontro, mai sopito, tra Stati Uniti e Cuba: con la Casa Bianca che, nonostante gli infiniti fronti diplomatici aperti dalle politiche estremamente aggressive imposte da Donald Trump in questi primi mesi del suo nuovo mandato, non perde occasione per attaccare anche il regime comunista, che dal 1959 governa l’isola caraibica. Il segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato, nei giorni scorsi, nuove sanzioni a carico del presidente cubano Miguel Díaz-Canel (e dei suoi familiari), del ministro della Difesa, Álvaro López Miera, e del ministro dell’Interno, Lázaro Álvarez Casas. Tutti accusati di violazioni dei diritti umani, perché ritenuti “responsabili o complici dell’ingiusta detenzione e tortura dei manifestanti del luglio 2021”, le ultime imponenti proteste di piazza, scoppiate in diverse città dell’isola, alimentate dalla rabbia per le carenze di cibo, di carburanti, di medicine, compresi i vaccini contro il Covid 19, ma sfociate anche in un aperto dissenso politico, contro la dittatura e per un cambiamento. La risposta della polizia non era stata lieve, con dozzine di feriti e violenze diffuse. Secondo un rapporto dell’ong Justicia 11J, «durante le proteste dell’11 e 12 luglio 2021, i membri del Ministero dell'Interno, sostenuti dalle Forze armate rivoluzionarie e da gruppi paramilitari noti come “Brigate di risposta rapida”, hanno usato la violenza armata contro cittadini disarmati». A finire in carcere furono 1586 manifestanti. Alla fine dello scorso anno, 554 di loro erano ancora in cella con condanne anche superiori ai vent’anni di reclusione. Emblematico il caso del dissidente José Daniel Ferrer García, leader dell’Unione Patriottica di Cuba (Unpacu, da lui stesso fondata nel 2011), che lo scorso gennaio era stato rilasciato assieme a oltre 500 oppositori grazie a un lavoro di mediazione condotto dalla Santa Sede in accordo con gli Stati Uniti. Il 14 gennaio di quest’anno l’allora presidente americano uscente Joe Biden aveva accettato, in segno di distensione, di rimuovere Cuba dall’elenco degli stati “sponsor del terrorismo”. Appena una settimana dopo Donald Trump, all’indomani del suo insediamento alla Casa Bianca, aveva annullato quella disposizione, reinserendo Cuba nella blacklist. Lo scorso 29 aprile Ferrer García è stato nuovamente arrestato per aver “violato i termini della libertà vigilata” (e con lui la moglie e il figlio più piccolo, in un’operazione definita “violenta” dai testimoni), e riportato nel carcere Mar Verde di Santiago de Cuba (gli attivisti temono che sia sottoposto a torture). Stessa sorte per un altro dissidente, Felix Navarro, 71 anni. Secondo l’Osservatorio Cubano dei Diritti Umani (OCDH) «questo è un nuovo attacco del regime cubano contro gli oppositori e gli attivisti per i diritti umani e mette a nudo l’aumento del clima repressivo nell’isola». Il segretario generale dell’Assemblea della Resistenza Cubana (ARC, una coalizione di gruppi antigovernativi), Orlando Gutiérrez Boronat, ritiene che questi arresti siano «un atto di barbarie politica che non dovrebbe avere posto nell’emisfero occidentale. È la ragione perfetta per cui questa dittatura dovrebbe essere eliminata». 


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Frontiera chiusa per il presidente cubano 

Ora Washington chiede la liberazione di tutti i prigionieri politici, ma i margini di dialogo si fanno sempre più stretti. Nella nota firmata pochi giorni fa dal segretario di Stato Usa, Marco Rubio, si legge: «Quattro anni fa migliaia di cubani sono scesi in piazza pacificamente per chiedere un futuro libero dalla tirannia. Il regime cubano ha risposto con la violenza e la repressione, detenendo ingiustamente migliaia di persone, tra cui oltre 700 che sono ancora imprigionate e sottoposte a torture o abusi. Stiamo adottando misure per imporre restrizioni sui visti a numerosi funzionari giudiziari e carcerari cubani responsabili o complici dell’ingiusta detenzione e tortura dei manifestanti del luglio 2021». Tra le misure c’è anche un divieto d’ingresso negli Stati Uniti per Díaz-Canel e per i suoi familiari più stretti, il che impedirà al presidente cubano di partecipare ai prossimi summit internazionali, come l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La risposta del presidente cubano Diaz-Canel è stata immediata: «Gli Stati Uniti non sono in grado di accettare la vera indipendenza e sovranità di Cuba. Ciò che infastidisce è che qui le multinazionali non governano, che abbiamo assistenza sanitaria e istruzione gratuite, che non chiediamo il permesso di condannare crimini come quelli commessi da Israele e dagli Stati Uniti contro i palestinesi». Anche Johana Tablada, vicedirettrice del dipartimento per gli Stati Uniti presso il Ministero degli Esteri cubano, si è scagliata contro Rubio, definendolo un «difensore del genocidio, delle prigioni e delle deportazioni di massa». 

Questa nuova fiammata di tensione con Washington arriva in un momento non semplice per Cuba, alle prese con una sempre più profonda crisi economica e sanitaria, e con un’emergenza alimentare che secondo il Food Monitor Program (FMP), un’organizzazione indipendente che monitora il livello di “sicurezza alimentare” nell’isola, nella prima metà del 2025 ha smesso di essere “una conseguenza temporanea” del periodo post-pandemia ed è ormai diventata un’emergenza umanitaria cronica. E anche se l’inflazione continua a dare segnali di rallentamento (ormai si attesta al di sotto del 15%, l’anno scorso era sopra al 30%) i salari restano molto bassi rispetto al costo della vita. Il lavoro non basta più a pagare il necessario per sopravvivere. Il salario minimo è di 2100 CUP (il peso cubano) al mese. Per avere un metro di paragone: cinque cartoni di uova costano al dettaglio 15.000 CUP. Una libbra (pari a circa 0,45 kg) di riso costa 270 CUP. Una libbra di lonza di maiale 800 CUP. Secondo la giornalista economica del Diario de Cuba, Rafaela Cruz, «il governo è riuscito a contenere l’inflazione fondamentalmente prosciugando la domanda, cioè riducendo la capacità di consumo della popolazione». Questa strategia ha avuto come effetto collaterale una contrazione dell’attività economica, soprattutto nel settore privato, che fino a poco tempo fa era l’unico motore di crescita dell’isola. Secondo Cruz, «l’appiattimento momentaneo dell’indice dei prezzi non è fame saziata, ma fame senza soluzione». L’Osservatorio cubano dei diritti umani (OCDH), in un rapporto rilasciato nel 2024, dal titolo “Lo stato dei diritti sociali a Cuba” ha mostrato che la povertà estrema a Cuba ha raggiunto l’89% della popolazione. La ong, che ha sede a Madrid, ha anche riportato il malcontento per l’operato del regime castrista, con una disapprovazione che si attesta al 91%, in aumento di 5 punti percentuali rispetto all’ultima rilevazione. Lo scorso gennaio il sito d’informazione ADNCuba aveva interpellato Yaxys Cires, direttore delle strategie dell’OCDH e leader del Partito Cristiano Democratico, che ha denunciato la mancanza di trasparenza del governo cubano, e di statistiche attendibili, in materia di povertà e di diseguaglianze: «Se il regime cubano fornisse le cifre in modo trasparente, cadrebbe la maschera», sosteneva Cires. «Per decenni il regime ha venduto Cuba come se fosse il paradiso dei diritti sociali, ma la realtà è quella di un paese con l’89% delle famiglie in estrema povertà, dove 7 persone su 10 si privano di alcuni dei pasti quotidiani, dove solo il 2% può acquistare medicinali nelle farmacie statali. Stiamo parlando di un paese in cui un pensionato riceve una pensione mensile che non copre nemmeno un cartone di uova». Chi può, continua a fuggire: verso Stati Uniti, Spagna e Sud America. 


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Denuncia di corruzione nel sistema sanitario 

Anche il sistema sanitario, formalmente gratuito per tutti, sta attraversando gravissime difficoltà che ne compromettono la funzione. Secondo una dettagliata inchiesta pubblicata quest’anno da Casa Palanca, un’organizzazione formata da donne attiviste e giornaliste, il Sistema Sanitario Nazionale (SNS) opera di fatto secondo una logica di mercato altamente corrotta, dove chi non paga è costretto ad attese infinite. Secondo il rapporto, il 74,3% degli intervistati ha dichiarato di aver dovuto pagare per ottenere servizi o medicinali (in teoria gratuiti), mentre il 78% ha ammesso di aver fatto ricorso a contatti personali per ottenere cure mediche. Situazione ulteriormente aggravata dalle difficoltà di approvvigionamento di petrolio, che creano continui blackout e una drammatica carenza di carburante, con le esportazioni dal Venezuela che stanno raggiungendo il minimo storico (dai 56mila barili al giorno nel 2023 agli attuali 8mila). Mentre ora è il Messico che sta tentando di aiutare Cuba a superare l’emergenza.  

Situazione dunque drammatica. Ne è ben consapevole il presidente cubano Díaz-Canel che proprio lunedì scorso ha dichiarato: «Senza generare ricchezza, nelle attuali condizioni complesse, non c’è modo di stabilizzare l’economia. Il reddito attuale del paese è insufficiente per l’acquisto di materie prime essenziali per aumentare la produzione interna». Ma ne sono consci anche i dissidenti, coloro che da anni sperano in un crollo del regime. Una delle attiviste più note, la giornalista e blogger Yoani Sanchez, ha disegnato la sua visione della politica con un articolo pubblicato da Deutsche Well, l’emittente pubblica tedesca, proprio in occasione del quarto anniversario delle proteste del 2021. «Díaz-Canel non vuole più fingere di governare per tutti, né i portavoce ufficiali si vergognano di minacciare apertamente i dissidenti di prigione o esilio», scrive Sanchez. «La sfacciataggine ha raggiunto livelli tali che, sui social network, si lanciano minacce non velate contro gli utenti che denunciano: dalla dollarizzazione di parte del commercio al dettaglio ai problemi nella raccolta dei rifiuti. Non si travestono più per mostrare i denti, toccare le cinture e minacciare con le sbarre. L’11J ci ha lasciato un’eredità di ribellione e un triste tributo di prigionieri politici, ma ha anche consacrato la spudoratezza di un sistema che non esiterà a schiacciare di nuovo il proprio popolo». 

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