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Wasted Wetlands. Cervia, la salina sommersa dall’alluvione in Romagna

“Quando siamo riusciti a entrare finalmente nella salina, più di venti giorni dopo perché prima era proprio impossibile, è stato davvero un colpo al cuore. Perché avevamo perso tutto.” Giuseppe Pomicetti, presidente del parco della salina di Cervia non potrebbe essere più nitido. 

La salina completamente sott’acqua è uno dei simboli dell’alluvione che lo scorso anno ha colpito l’Emilia-Romagna.

È la notte tra il 16 e il 17 maggio 2023. La regione è già stata pesantemente colpita dalle violentissime piogge e dagli allagamenti iniziati il 3 maggio. Ma per la zona di Cervia è quella seconda ondata di acqua a segnare un prima e un dopo: il fiume Savio rompe i suoi argini e si riversa nella salina, sommergendo completamente l’emblema della città - la città del sale, appunto.

Quella di Cervia è una delle saline più antiche del mondo, probabilmente esistente già in epoca etrusca. Oggi, la salina di Cervia è parte integrante di una riserva naturale, che comprende anche un’ampia zona di interesse naturalistico, alle porte del delta del Po. Si tratta di un parco, come molti altri in Italia, dove la protezione e la conservazione della natura si intrecciano con attività economiche e produttive anche molto antiche, come l’estrazione del sale. La visita alla salina, con un giro in bicicletta o la navigazione nei canali del complesso sistema di vasche, è un classico delle gite primaverili per chi abita in Emilia-Romagna. Noi stesse ci siamo state più volte, portandoci a casa vasetti, pacchetti e mattonelle del famosissimo sale dolce di Cervia, da usare in cucina e da regalare agli amici. Ma oggi di sale, nel negozio del consorzio, ce n’è rimasto davvero poco.

Distruzione senza precedenti

L’alluvione ha riempito di acqua dolce tutti gli 827 ettari che costituiscono la salina, provocando la totale perdita del raccolto degli ultimi due anni e fermando la nuova produzione. A più di un anno da quel disastro, è riuscita a ripartire soltanto la più piccola salina Camillone, anch’essa parte del parco e sezione all’aperto del Museo del Sale di Cervia, inaugurato nella sua nuova versione il 6 luglio di quest’anno.

Ben più complessa è dunque la situazione della più ampia salina dove si produce la maggior parte del sale. “Causa alluvione la salina di Cervia non è operativa, le vendite online sono sospese fino a data da destinarsi”, si legge sul sito al momento in cui stiamo pubblicando questo articolo.

E infatti al nostro arrivo a Cervia, a ottobre scorso, qualche mese dopo l’alluvione,  troviamo la salina del tutto irriconoscibile. Lì dove c’erano montagne di sale alte più di due metri non è rimasto assolutamente nulla, se non un pavimento vuoto e diversi segni di devastazione. La macchina raccogli sale, un oggetto di enormi dimensioni, molto particolare, con un lungo nastro trasportatore, modello quasi unico al mondo e certo non recentissimo, è stata seriamente danneggiata e solo per rimettere a posto questo attrezzo servono diverse decine di migliaia di euro. Anche perché c’è una sola ditta che lo sa fare, ed è una ditta straniera. I fabbricati attorno al piazzale dove c’era il deposito mostrano la furia dell’acqua: vetri rotti, vari attrezzi buttati per terra, i muri ancora gonfi di umidità. Anche gli uffici sono una testimonianza molto concreta di quanto le acque sono salite: ben oltre il metro e mezzo, annegando mobili, documenti, schedari. Tutto rovinato, tutto completamente inutilizzabile. Quando entriamo nelle stanze ci spiegano che l’amministrazione ha rimesso a posto qualcosa recuperando un po’ di arredi, giusto per poter svolgere le funzioni fondamentali, necessarie anche a ripartire. 

Giuseppe Pomicetti, che ci accoglie all’entrata della salina, ha l’aria di chi, da mesi, sta combattendo una corsa contro il tempo. “Il 17 maggio 2023 in salina eravamo solo in quattro, io più tre manutentori”, ci racconta. “Gli altri li avevo lasciati a casa perché era già emergenza in Romagna, ed era inutile far girare più persone in un momento di emergenza. A un certo punto ci arriva una telefonata di un ex salinaro, che abitava a circa 2 chilometri da qui. Ci dice di aver visto dell’acqua stranamente torbida. Andiamo a controllare: quell’acqua proveniva dal fiume Savio, che la notte prima aveva rotto gli argini e aveva iniziato a incanalarsi in campagna, all’altezza del bosco del Duca. Cioè, il Savio non sfociava più al lido di Savio, ma aveva scavato un nuovo letto che per quattro giorni consecutivi è sfociato direttamente in salina”.

Giuseppe Pomicetti, Presidente del Parco della Salina di Cervia. Riprese di Lino Greco. Intervista di Elisabetta Tola e Francesca Conti. Montaggio di Giulia Bonelli.

I danni sono enormi. La quantità d’acqua proveniente dal fiume Savio e riversata nella salina di Cervia ha sciolto quasi 150mila quintali di sale. “Abbiamo perso tutto il raccolto del 2022 e gli ultimi residui del 2021”, continua Pomicetti. “E poi ci sono stati i danni agli automezzi e a tutti i reparti produttivi, come le macchine che selezionano il sale e quelle che lo impacchettano,  i danni agli uffici. Computer, scrivanie, era tutto sommerso."

Eppure, poteva andare peggio. Pomicetti lo dice con un sorriso amaro: “La salina, allagandosi, ha salvato la città di Cervia. Quasi tutta.”

Una zona umida protetta

Ma che cosa vuol dire che la salina ha salvato la città? Facciamo un passo indietro. La salina di Cervia (così come tutte le saline) è una zona umida, o wetland. Lagune, delta di fiumi, paludi, acquitrini, torbiere e, appunto, saline: le zone umide sono tra gli ecosistemi più preziosi e al tempo stesso più minacciati d’Europa. Ne abbiamo parlato nell’episodio precedente della serie Wasted Wetlands, dedicato alle zone umide della Sardegna. In questa serie, parte di un’inchiesta internazionale che coinvolge 7 giornalisti da Italia, Irlanda e Germania, stiamo andando alla scoperta di alcune zone umide particolarmente rilevanti dal punto di vista naturalistico, ma anche culturale, economico e sociale. La comunità scientifica ha riconosciuto il ruolo utile e necessario delle wetland nella lotta alla crisi climatica: oltre a essere tra i più efficaci serbatoi di carbonio del pianeta, proteggono anche dalle conseguenze degli eventi climatici estremi, come le alluvioni. E Cervia è un esempio emblematico. Raccogliendo l’acqua esondata dal Savio durante l’alluvione in Emilia Romagna, di fatto la salina ha impedito danni sicuramente maggiori e più drammatici alla città.

Il ruolo chiave della salina di Cervia è stato riconosciuto a partire dal 1981, con la designazione di zona umida di importanza internazionale in base alla Convenzione di Ramsar. Siglata da sette paesi il 2 febbraio 1971 nella città iraniana di Ramsar, sulle sponde del Mar Caspio, la Convenzione conta a oggi 172 firmatari, per un totale di oltre 2.400 siti Ramsar nel mondo e circa 2,5 milioni di chilometri quadrati coperti (qui un report con la lista aggiornata, pubblicato a marzo 2024).

L’Italia, che ha aderito alla Convenzione nel 1976, conta attualmente 57 siti Ramsar, distribuiti in 15 regioni, per un totale di quasi 74 mila ettari (dati del Ministero dell’Ambiente). Di queste 57 zone umide italiane riconosciute di importanza internazionale, 10 sono in Emilia Romagna: Sacca di Bellocchio, Valle Santa, Punte Alberete, Valle Campotto e Bassarone, Valle di Gorino, Valle Bertuzzi, Valli residue del comprensorio di Comacchio, Piallassa della Baiona e Risega, Ortazzo e Ortazzino e, infine, salina di Cervia.

La salina di Cervia rappresenta la stazione più a sud del Parco Regionale del Delta del Po. La Società Parco della Salina di Cervia è stata costituita nel 2022 con l’obiettivo principale di gestione e valorizzazione ambientale, ecologica e culturale dell’intera area della salina. “La salina è una riserva naturale di popolamento e di nidificazione per molte specie”, spiega Pomicetti. “Gli uccelli che vivono stanzialmente qui e i migratori che arrivano da marzo in poi amano un certo tipo di acqua salata o salmastra, che però dev’essere limpida. E perché l’acqua sia limpida, chiaramente ci deve essere un continuo giro delle acque. Ecco, questo è ciò che noi facciamo quotidianamente, e che abbiamo provato a continuare a fare anche dopo l’alluvione, seppur parzialmente perché la maggior parte delle paratoie sono saltate. Facendo circolare l’acqua, portiamo avanti un modello di produzione del sale nel rispetto dell’ambiente: attraverso il nostro lavoro, facilitiamo la vita e la riproduzione di queste specie protette di uccelli”.

L’integrazione tra gli aspetti naturalistici e quelli produttivi è un tema ricorrente nella gestione delle aree umide protette. E un evento estremo come l’alluvione in Emilia Romagna del maggio 2023 dimostra una volta di più quanto sia fondamentale una gestione consapevole e integrata del territorio

L’occhio dei satelliti su Cervia

Oggi, a oltre un anno dall’alluvione, sono in molti a ragionare su cosa vada ripensato a livello sistemico per contrastare il prossimo evento estremo. Si tratta di un tema complesso, che richiede senza dubbio un approccio interdisciplinare e un utilizzo integrato dei dati scientifici disponibili. Un buon punto di partenza è quello offerto dallo sguardo dei satelliti, ormai strumenti sempre più importanti prima, durante e dopo le emergenze.

Da anni i dati provenienti dai satelliti per l’osservazione della Terra forniscono informazioni sempre più accurate sullo stato di salute del nostro pianeta, mostrando dall’alto l’evoluzione della crisi climatica su scala globale. Più di recente, i dati satellitari sono sempre più utilizzati anche durante la gestione delle emergenze, per le analisi post eventi estremi e per la valutazione dei danni.

Durante l’alluvione in Emilia Romagna, la Protezione Civile si è avvalsa dei dati provenienti dalla costellazione europea di satelliti Copernicus per ottenere una serie di informazioni geospaziali utili a supportare le operazioni di soccorso e iniziare la quantificazione dei danni. Si tratta di una sorta di ‘corsia preferenziale’ attivabile in caso di emergenza, attraverso il cosiddetto Emergency Management Service (EMS) di Copernicus. Avviato nel 2012, il servizio EMS è in grado di fornire in tutto il mondo informazioni satellitari per diversi tipi di emergenze con un dettaglio spazio-temporale decisamente maggiore rispetto ai monitoraggi satellitari standard.

Le richieste di attivazione del servizio EMS da parte della Protezione Civile in occasione dell’alluvione in Emilia Romagna sono state due, in corrispondenza dei picchi di emergenza: il 3 maggio 2023 (EMSR659) e  il 16 maggio 2023 (EMSR664).

Abbiamo ripreso questi dati provenienti da Copernicus e li abbiamo rielaborati per visualizzare esattamente l’estensione dell’area interessata dall’alluvione nella salina di Cervia.

 


Immagine satellitare della salina di Cervia e dell’alluvione del maggio 2023. Abbiamo creato le immagini e le visualizzazioni qui mostrate utilizzando QGIS (Quantum Geographic Information System), un software open-source per la gestione, visualizzazione, analisi e modifica di dati geografici. Nell’immagine 1, le foto satellitari di Cervia pre-alluvione sono offerte dal geodatabase di ESRI (Environmental Systems Research Institute), società americana  specializzata nell’elaborazione di sistemi informativi geografici. Le immagini successive (2-5) sono state prodotte sovrapponendo i geodati derivati da diversi portali dedicati. Source: Repertorio Nazionale dei Dati Territoriali (Rndt), geoportale della Regione Emilia-Romagna, Copernicus Emergency Management System (EMS), Attivazioni della mappatura rapida EMS (EMSR), Attivazioni della mappatura dei rischi e del recupero EMS (EMSN).

Gli impatti ambientali dell’alluvione: perché sono difficili da valutare

I dati satellitari sono utili anche per una stima più a lungo termine degli impatti dell’alluvione. Secondo quanto riportato dall’Agenzia Spaziale Europea, la Protezione Civile dell’Emilia-Romagna ha utilizzato la piattaforma SaferPlaces del Programma InCubed dell’Esa, che combina dati satellitari, climatici e modelli basati sull’Intelligenza Artificiale per contribuire alla valutazione dei danni delle aree colpite.

Quando si parla di impatti di un evento estremo, ci si riferisce in realtà a un insieme complesso di fattori, spesso interconnessi. Il bilancio dell’alluvione in Emilia-Romagna vede chiaramente come danno più grave le vittime, diciassette persone che hanno perso la vita durante le frane e gli allagamenti del maggio 2023. Ci sono poi i danni a privati, infrastrutture, imprese, per un corrispettivo economico – secondo quanto certificato all’Unione europea dalla Regione Emilia-Romagna – di 8,5 miliardi di euro.

Nelle parole di Pomicetti, a ottobre scorso, tornano spesso i riferimenti alla necessità di ricevere presto aiuti economici concreti dal governo per poter avviare i lavori di ripristino. In realtà, la questione dei fondi per l’alluvione è una storia a sé stante, su cui torneremo in una prossima puntata. Se per l’edilizia pubblica e anche proprio per il ripristino della salina di Cervia si inizia a parlare dei primi stanziamenti a fine dicembre 2023, molto più a rilento sembrano andare i fondi governativi a supporto dei tanti privati, che non si esitava in molti casi, nei giorni del disastro, a chiamare eroi. Come gli agricoltori che hanno dato il permesso di far allagare i propri campi per deviare le acque dalla corsa verso i centri abitati. O i tanti imprenditori che hanno visto le proprie attività andare in pezzi. Se fortissima è stata la risposta da parte di tanti donatori, fondazioni, attività private, imprenditori e tantissimi cittadini, la macchina dei fondi governativi è invece rimasta in folle troppo a lungo. 

Ma se nel caso dei danni alle attività produttive, alle abitazioni e alle infrastrutture, insomma a quello che viene definito built environment, sono almeno quantificati, molto più difficili da stimare sono gli impatti ambientali delle alluvioni. Ce lo racconta Chiara Arrighi, ricercatrice esperta in idrologia, che abbiamo raggiunto in collegamento da Firenze durante un pomeriggio di questo luglio ormai caldissimo, quando le temperature sfiorano i 40° e l’alluvione sembra un ricordo lontano. Eppure l’impatto dei drammatici eventi che oltre un anno fa hanno sconvolto l’Emilia-Romagna si fa ancora sentire ed è in gran parte ancora da capire, come ci spiega Chiara Arrighi. Esperta di alluvioni, siccità e gestione delle risorse idriche, ha una cattedra Unesco sulla prevenzione dei rischi idrogeologici all’Università di Firenze. Ed è co-autrice di un recente studio pubblicato su Natural Hazards and Earth System Sciences, che ha analizzato proprio gli impatti dell’alluvione del 2023 in Emilia-Romagna sui beni ambientali, incluse le aree protette come la salina di Cervia. È una delle prime ricerche che porta all’attenzione della comunità scientifica questo problema. Ma si tratta di una stima tutt’altro che facile.

“Il punto di partenza” spiega Chiara Arrighi “è la Direttiva Alluvioni europea, secondo cui le istituzioni si devono occupare di conoscere quali aree siano potenzialmente allagabili e, in queste aree, quali possano essere gli effetti avversi sulla popolazione, sulle attività socio-economiche, sui beni culturali e sull’ambiente. Questo è il desiderata della direttiva europea, che si ripercuote poi sulle normative nazionali. In realtà, nel corso degli anni, sono stati fatti molti progressi per stimare gli impatti più facilmente monetizzabili, come i danni agli edifici o alle infrastrutture, mentre tutti gli impatti sui beni culturali e ambientali sono molto più difficili da stimare. La nostra ricerca cerca di portare all’attenzione proprio il fatto che noi non conosciamo ancora bene questi effetti, e quindi c'è necessità di studiarli”.

Insieme al collega Alessio Domeneghetti dell’Università di Bologna, Chiara Arrighi ha raccolto tutti i documenti ufficiali relativi all’alluvione in Emilia-Romagna prodotti dalla Regione, della Provincia e della Protezione Civile. Come previsto, il primo ostacolo incontrato è stato la scarsità di dati sugli impatti ambientali.

“Di fatto nei database ufficiali non abbiamo trovato niente che riguardasse gli impatti ambientali dell’alluvione. In alcuni casi la voce era presente ma non era stata compilata da nessuno – una situazione analoga a quella riscontrata con l’alluvione nelle Marche, avvenuta meno di un anno prima dell’alluvione in Emilia-Romagna. I dati ufficiali più utili che abbiamo analizzato sono quelli raccolti dall’Arpae Emilia-Romagna, che ha evidenziato una serie di impatti ambientali soprattutto sulla qualità delle acque”.

La prima stima degli impatti ambientali dell’alluvione

La disponibilità dei dati di Arpae, racconta Arrighi, è dipesa in gran parte dal ‘tempismo’ dell’alluvione in Emilia-Romagna. “Essendo proprio all’inizio della stagione balneare, Arpae aveva intensificato i controlli sulla qualità delle acque dei fiumi e di tutta la zona costiera. Se l’alluvione si fosse verificata nei mesi autunnali o invernali, non avremmo avuto questa disponibilità di dati. Noi abbiamo deciso di provare a integrarli con dati qualitativi provenienti da fonti non ufficiali come video, immagini, interviste – tutto quello che poteva essere stato osservato rispetto agli impatti ambientali, anche se non raccolto come dato in maniera ufficiale”. In altre parole, i ricercatori hanno fatto un’operazione che in gergo giornalistico si chiama OSINT, open source intelligence, ossia l’analisi di tutti quei materiali che circolano in rete, tra social e siti web, che aggiungono dati, informazioni, verifiche rispetto a quanto comunicato dagli enti ufficiali. 

Il quadro che ne emerge è interessante. Tra gli impatti ambientali più rilevanti riscontrati, ci sono inquinamento, danni alla flora e alla fauna locale e alterazione degli ecosistemi.

“L’impatto principale è stato sicuramente quello sulla qualità delle acque,” continua Chiara Arrighi. “Con gli allagamenti, tutto il sistema di fognatura e depurazione della maggior parte dei centri abitati ha smesso di funzionare.” In altre parole, in assenza di fogne e depuratori, le acque reflue sia civili che agricole e industriali non sono state trattate. E dunque sono finite nei fiumi, con un carico organico inquinante. “Questo ha portato a una riduzione dell’ossigeno dell’acqua,” continua Arrighi, “e alla morte di molti pesci. Ma ci sono state anche delle contaminazioni di origine fecale anche nelle zone di balneazione, segno che i depuratori non hanno funzionato a lungo”.

Ma gli impatti ambientali non finiscono qui: la riproduzione di varie specie di uccelli e anfibi, soprattutto negli ambienti lagunari e nelle aree umide costiere, è stata disturbata. In particolare, gli ecosistemi sommersi sono stati alterati in modo significativo: le zone tipicamente salmastre come la salina di Cervia o il delta del Po hanno subito una rapida variazione della salinità a causa degli allagamenti, squilibrando tutto l’ecosistema.”Piante e animali che abitano queste zone hanno infatti bisogno di acque salate, mentre l’alluvione ha diluito questi habitat con una quantità tale di acqua dolce da avere un impatto sul ciclo riproduttivo di diverse specie.

La natura si ripara da sola, più velocemente e più facilmente di noi

Per poter pianificare una ricostruzione e un ripristino, valutando anche se lavorare nella direzione della ricostruzione di questo territorio fragile riportandolo allo stato precedente al disastro o se proporre interventi diversi, ricerche come questa sono essenziali. Ma ce ne sono poche. Questa rappresenta un primo utile tassello per provare a ripensare il territorio in modo differente, utilizzando proprio il caso dell’alluvione in Emilia-Romagna. “Dal punto di vista della pianificazione, ci sono moltissime sfide.”, conclude Arrighi, “Una delle sfide principali è che le zone umide, essendo sempre molto ricche di acqua, finiscono con l’essere escluse dal conteggio delle zone allagate. Di fatto è come dire che l’impatto su queste zone non c’è.”

La salina di Cervia sommersa dall’alluvione in Emilia- Romagna mostra invece in modo tangibile che non è così. L’impatto ambientale delle alluvioni sulle aree umide esiste eccome, e va calcolato. Il prossimo passo è riuscire a integrare gli aspetti naturalistici con quelli culturali, economici e sociali, perché la ricostruzione e il ripristino devono tenere in considerazione tutte queste dimensioni. Anche perché se non troviamo una strategia sensata di gestione del territorio, la natura fa il suo corso e trova altre soluzioni e siamo proprio noi, appartenenti alle comunità umane che quel territorio lo abitiamo, a rischiare di compromettere le nostre possibilità di sviluppo futuro.

Del resto la storia di Cervia, la salina sott’acqua, dimostra che la natura è capace di adattarsi meglio di quanto sappiamo fare noi esseri umani. Come ci ha detto Giuseppe Pomicetti: “Quando l’acqua è arrivata eravamo in pieno periodo di nidificazione. Sono andate perse tante uova, le abbiamo viste qui, distrutte. Ma gli uccelli alla fine in salina sono tornati. Magari all’inizio si sono rifugiati in zone in cui stavano meglio, dove c’era un po’ meno concentrazione di acqua dolce e un po’ più salata. Ma adesso sono di nuovo qui. Perché la natura si è riparata da sola, molto più velocemente e molto più facilmente di noi”.

Questa inchiesta è stata supportata da:

Il programma “Environmental Investigative Journalism” di Journalismfund Europe, tramite cui abbiamo ottenuto una grant per l'inchiesta Wasted Wetlands svolta in diversi paesi, assieme ad altri colleghi europei (Maria Delaney e Steven Fox, Irlanda; Guillaume Amouret e Swantje Furtak, Germania)

Il lavoro di Giulia Bonelli è partito da un progetto sviluppato nell’ambito della Climate Arena Fellowships 2023, supportato da Arena for Journalism in Europe

Il lavoro di Elisabetta Tola è ulteriormente supportato dalla grant di Data Journalism del Laboratorio Interdisciplinare della SISSA di Trieste, con la collaborazione del gruppo di Data Science della SISSA, per uno sviluppo del progetto su tutta l'area mediterranea, lo sviluppo e l’applicazione delle tecnologie di remote sensing e gli strumenti AI per le analisi delle immagini satellitari

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