SCIENZA E RICERCA

Le specie aliene invasive sono un problema globale

Il 4 settembre 2023, i Paesi partecipanti alla sessione plenaria dell’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) hanno approvato il testo del riassunto per decisori politici di un nuovo rapporto tematico di valutazione, in questo caso incentrato sulle specie aliene invasive.

Il rapporto è il frutto di più di quattro anni di lavoro ed è stato redatto da 86 esperti provenienti da 49 Paesi, tra cui una ricercatrice dell’università di Pisa. I dati e le conclusioni contenute del documento sono basati su più di 13.000 riferimenti bibliografici, che mostrano in modo inequivocabile la gravità dell’impatto della diffusione di specie aliene invasive e l’urgenza, da parte dei governi, di affrontare la questione con misure efficaci e adeguati finanziamenti.

Il rapporto globale sullo stato e sulle tendenze della biodiversità, pubblicato da IPBES nel 2019, aveva individuato cinque fattori che contribuiscono in modo particolare alla perdita di biodiversità: distruzione e degradazione degli habitat, prelievo di risorse biologiche, cambiamento climatico, inquinamento e diffusione di specie aliene.

Quest’ultimo fattore, in particolare, desta preoccupazione soprattutto per una delle sue manifestazioni: la diffusione di specie aliene invasive. Il nuovo rapporto, che affronta proprio questo tema, definisce le specie aliene come “specie la cui presenza in una regione dipende dalle attività umane, che hanno consentito a quella specie di superare le barriere che delimitano la sua naturale area di distribuzione”. Le specie invasive, invece, rappresentano un sottoinsieme delle specie aliene, e, dopo l’introduzione, si affermano e si diffondono nelle regioni di arrivo producendo impatti negativi sulla biodiversità, a livello genetico, di specie e di ecosistema. “Molte delle specie aliene invasive – si legge nel rapporto – hanno anche un impatto sui contributi della natura alle persone (cibo, fibre, legname e altri benefici materiali e non materiali) e su una buona qualità di vita” (Figure SPM.1).

Le specie invasive sono oggi un pericolo in tutto il mondo. Infatti, non esiste neanche un’area del pianeta che non sia colonizzata da una o più specie invasive, con gravi conseguenze sugli ecosistemi e sulle società umane. Le specie aliene introdotte dalle attività umane in tutte le regioni e i biomi della Terra e affermatesi nelle regioni di arrivo sono oltre 37.000, e ogni anno si registrano circa 200 nuove specie aliene. Se nei prossimi anni non si prenderanno provvedimenti, in uno scenario di Business as Usual si prevede che questa tendenza rimarrà invariata, e nel 2050 il numero totale di specie aliene invasive sarà superiore di circa un terzo rispetto a quello registrato nel 2005. Tuttavia, per via delle interazioni e delle amplificazioni reciproche tra i diversi fattori di cambiamento ambientale, si prevede che il numero di specie aliene a livello mondiale aumenterà più rapidamente di quanto previsto nello scenario Business as Usual.

In Europa, le stime più recenti ritengono che siano circa 14.000 le specie aliene introdotte. Secondo la banca dati ISPRA, in Italia sono state identificate oltre 3.500 specie esotiche, di cui 3.363 attualmente presenti.

Almeno 3.500 specie, quasi un decimo del totale delle specie aliene registrate, sono classificate come aliene invasive. La percentuale di specie aliene note per essere invasive varia tra i gruppi tassonomici, dal 6% di tutte le piante aliene al 22% di tutti gli invertebrati alieni.

Gli ecosistemi che subiscono gli impatti più gravi della presenza delle specie aliene invasive sono le isole: il 20% degli effetti negativi registrati è localizzato all’interno di questi biomi. La gran parte dei danni causati dalle specie invasive, tuttavia, è stato segnalato negli ambienti terrestri, in particolare negli ecosistemi forestali temperati e boreali, nei boschi e nelle aree coltivate, che vengono alterati in modo drammatico dalla presenza di specie non appartenenti agli ecosistemi locali.

Le specie aliene invasive causano cambiamenti drammatici e, in alcuni casi, irreversibili alla biodiversità e agli ecosistemi, con conseguenti esiti negativi e complessi in tutte le regioni della Terra. Le specie esotiche invasive hanno contribuito, da sole o in concomitanza con altri fattori, al 60% delle estinzioni globali registrate, e per il 16% delle estinzioni globali di animali e piante finora documentate sono l’unico fattore responsabile. L’omogeneizzazione biotica – che è il processo per cui le comunità biologiche in tutto il mondo diventano più simili – è un ulteriore grave impatto negativo delle specie aliene invasive, con conseguenze sulla composizione, sulla struttura e sul funzionamento degli ecosistemi. I cambiamenti nelle proprietà degli ecosistemi, come le caratteristiche del suolo e dell’acqua, rappresentano più di un quarto degli impatti documentati.

Oltre alle ripercussioni negative sulla natura, sulle specie e sugli ecosistemi, circa il 16% delle specie aliene invasive ha effetti negativi sui contributi della natura alle persone e circa il 7% sulla qualità della vita. Guardando alle conseguenze sociali, infatti, è interessante notare come, anche in questo caso, via sia una diretta correlazione tra tutela dell’ambiente e tutela dei diritti. In uno dei messaggi chiave del Summary for Policymakers, infatti, si afferma: “Le persone che dipendono direttamente dalla natura, comprese coloro che sono impegnate in attività legate al genere e all’età, come la pesca o la raccolta di piante, potrebbero essere colpite in misura sproporzionata dalle specie aliene invasive. Più di 2.300 specie aliene invasive sono presenti in territori gestiti, utilizzati e/o posseduti da popoli indigeni in tutto il mondo; questo mette a rischio la loro qualità di vita, causando spesso sentimenti di disperazione, depressione e stress”.

Tutto questo ha costi altissimi anche dal punto di vista economico. Dal 1970 ad oggi, il costo economico delle invasioni biologiche è quadruplicato ogni dieci anni. Il dato più recente in tal senso proviene dal rapporto IPBES del 2019: secondo i dati di quell’anno, infatti, i costi annuali globali delle invasioni biologiche superavano i 423 miliardi di dollari. Il 92% di questi costi globali consiste nelle perdite in termini di contributi della natura alle persone causate dalla presenza delle specie invasive. Solo l’8% del totale, invece, è legato alle spese di gestione delle invasioni biologiche.

Eppure, la gestione attiva delle specie invasive dovrebbe essere una priorità dei governi che hanno sottoscritto accordi internazionali come il Global Biodiversity Framework, firmato nel dicembre 2022 a Montréal. Tra i ventitré target per il 2030 di cui l’accordo si compone, vi è anche quello di “eliminare, ridurre e/o mitigare le conseguenze negative che le specie aliene invasive hanno sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici, identificando e gestendo i percorsi di introduzione delle specie aliene, prevenendo le invasioni, e dando priorità al monitoraggio di alcune specie invasive”. L’obiettivo è ridurre l’introduzione e l’affermarsi di queste specie potenzialmente invasive almeno del 50% entro il 2030, eradicando o, laddove sia impossibile, almeno controllando le invasioni soprattutto in alcuni ambienti, come le isole.

Inoltre, nel nuovo documento destinato ai decisori politici si ricorda come la gestione – e soprattutto la prevenzione – delle invasioni biologiche sia senza dubbio la strategia più efficace per affrontare questo pericolo e per tenerne sotto controllo le conseguenze negative. La prevenzione può essere ottenuta attraverso la gestione dei percorsi che le specie aliene seguono: controlli rigorosi delle importazioni, biosicurezza pre-frontiera, alla frontiera e post-frontiera, e misure per minimizzare le possibilità la fuga dal confinamento. È essenziale, inoltre, che si collabori a diversi livelli di governance per attuare un piano d’azione strategico di controllo e contenimento delle invasioni biologiche. Tra gli interventi necessari vi sono il potenziamento della collaborazione a livello internazionale e interregionale, lo sviluppo e la messa in atto di piani d’azione nazionali (di cui la maggior parte dei Paesi è ancora oggi privo: è il caso dell’83% dei 196 Paesi che hanno registrato nei propri territori specie aliene invasive), e il coinvolgimento attivo di tutte le parti interessate, come gli agricoltori, i pescatori, i responsabili della gestione delle aree protette e, non ultimi, i popoli indigeni e le comunità locali.

Stanziando un’adeguata quantità di risorse e con un impegno a lungo termine, la prevenzione, il contenimento e il controllo delle specie aliene invasive sono obiettivi raggiungibili. Rendere più accessibili i dati e le informazioni, migliorare la cooperazione internazionale tra i diversi attori istituzionali e scientifici impegnati nel controllo delle specie invasive, e colmare le principali lacune informative sul fenomeno delle invasioni biologiche, in particolare nei paesi in via di sviluppo, sono elementi essenziali per rendere gli strumenti politici e azioni di gestione già esistenti più solidi ed efficaci.

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