SOCIETÀ

Lo spettro della riforma del copyright su ricerca e didattica

Oltre a destare preoccupazione sulla libera circolazione dell'informazione in internet (articolo 11 sulla link tax e articolo 13 sul sistema di filtri), la riforma della direttiva sul copyright approvata mercoledì 12 settembre in Parlamento Europeo introduce, con gli altri articoli, alcune misure che toccano alcuni diritti fondamentali per l'odierna società della conoscenza, uno su tutti quello del libero accesso all'informazione.

Secondo Antonella De Robbio, coordinatrice del gruppo di studio Aib (Associazione italiana biblioteche) su open access e pubblico dominio oltre che Ceo di E-Lis, il repository internazionale per le discipline Lis (Library and Information Science), la riforma del copyright non riguarda solo la tutela degli interessi di giornalisti ed editori, ma ha conseguenze gravissime anche e soprattutto per organizzazioni che si occupano di ricerca come le università, che si occupano di didattica come le scuole (studenti e insegnanti), o che si occupano di conservazione digitale come le biblioteche.

Un commento sull'approvazione di questa riforma?

Intanto il fatto che sia stata approvata non esclude il fatto che la normativa sarà soggetta ad altri passaggi: prima ci sarà il Consiglio Europeo e poi l'Italia avrà 18 mesi per recepire la direttiva con un decreto legislativo. A parte tutti i dibattiti che ci sono stati intorno all'articolo 11 e 13, le questioni che a me stanno più a cuore sono quelle relative alle cosiddette eccezioni (al diritto d'autore, ndr) per la didattica e per la ricerca. La direttiva europea avrebbe dovuto armonizzare una situazione normativa che oggi è estremamente frammentata in ogni Paese europeo. Questa riforma invece non contiene alcuna chiara eccezione per la didattica, lasciando nell’incertezza pratiche didattiche che attualmente hanno clausole normative diverse da Paese a Paese. Anche per la ricerca non vi sono eccezioni a vantaggio dell’Open Access (accesso libero, ndr) e questo è molto preoccupante, considerando che la stessa UE con progetti come Horizon2020 chiede espressamente di aprire i risultati della ricerca. Si spera che nelle fasi successive l’iter di recepimento vi sia la volontà di rimediare a questa frammentazione tra Paesi. Bisognerà comunque vedere quanti e quali emendamenti sono stati recepiti in questa prima fase.

Qui è in gioco il diritto al libero accesso all'informazione Antonella De Robbio

Che cosa sono le eccezioni di cui parla?

Con le eccezioni si eccepisce ai diritti d'autore, che sanciscono una proprietà privata, e privato è participio passato del verbo “privare”, privare dell’accesso altri al di fuori dei titolari. Qui è in gioco il diritto al libero accesso all'informazione e nell'ambito della didattica e della ricerca, questo è un tema prioritario per la crescita del nostro Paese. Ad esempio uno studioso dovrebbe poter essere libero di utilizzare il materiale di cui ha bisogno per il suo lavoro, senza dover chiedere permesso o pagare nessuno.

Tutte le attività didattiche condotte da biblioteche e musei sono considerate come didattica non formale e questo ostacola numerose attività. Sempre legate alle biblioteche vi sono le attività di creazione di biblioteche digitali, attività legate alla ricerca. Occorrerebbe una eccezione adeguatamente ampia sulla digitalizzazione di opere (per esempio dei primi del '900), un'eccezione per le analisi testuali di contenuti di testi utili alla ricerca, un'eccezione apposita per il Text and Data Mining.

17 anni fa si è consentito che ogni paese decidesse liberamente in merito alle eccezioni e ciò ha creato una frammentazione tremenda, anche per esempio per l’accesso ai testi delle persone con disabilità, non solo sensoriali. Quello che si chiedeva era avere eccezioni obbligatorie uguali per ogni paese europeo, al fine di evitare di generare disparità tra studenti europei. La versione della direttiva approvata non ha recepito questi suggerimenti.

Che cosa introduce invece la riforma che è stata approvata?

Per l'utilizzo, anche a scopo didattico e di ricerca, di materiale coperto da diritto d'autore la direttiva propone un sistema di licenze chiuse, da pagare ai proprietari dei diritti d'autore, cioè gli editori. Per quanto riguarda la didattica, la riproduzione di contenuti video, di libri di testo e di immagini in una classe italiana è consentita (o meno) dalle eccezioni previste dalla vecchia legge italiana 633/1941, mentre in un altro paese europeo le eccezioni ai diritti d'autore sono regolate dalle norme di quel paese. Questa situazione crea disuguaglianza tra studenti europei e crea incertezza giuridica per i docenti. La riforma avrebbe dovuto portare a un'uniformità, mentre di fatto mantiene la frammentazione, lascia che ciascun Paese si regoli da solo e promuove il sistema di licenze, che dà poche garanzie: se i proprietari dei diritti d'autore vendono a una piattaforma privata la licenza, insegnanti e studenti perdono il diritto all'accesso.

Il sistema di licenze dà poche garanzie: se i proprietari dei diritti d'autore vendono a una piattaforma privata la licenza, insegnanti e studenti perdono il diritto all'accesso Antonella De Robbio

Cosa cambia per quanto riguarda la ricerca?

Nel mondo della ricerca è in vigore ormai da molto tempo un sistema di licenze molto restrittive, imposte dai big dell’editoria, che sono ormai dei veri e propri oligopoli: sono meno di una decina e detengono l’85% di quello che si produce come materiale scientifico. Se si vanno a vedere i profitti dichiarati dai big editoriali si vede che alcuni crescono più in fretta persino dei big della rete.

Le biblioteche acquistano gli abbonamenti a riviste internazionali ma poi non possono fare quasi niente con il materiale che acquistano. Questo stesso tipo di licenza a pagamento probabilmente verrà applicato anche al mondo della formazione, della didattica, delle biblioteche. E questo sistema è restrittivo perché non tutte le istituzioni hanno i soldi per pagare. Un accesso a una rivista internazionale può arrivare a costare anche 20.000 dollari all'anno, e se volessimo distribuire un articolo pubblicato sulla stessa rivista a una classe di studenti non potremmo farlo a causa della licenza ancora più restrittiva della norma. Nessuno ha toccato con la direttiva le grosse lobby editoriali come Elsevier, Wiley, Springer che drenano soldi dalle università e dalla ricerca. Questa riforma non sta facendo pagare niente a questi soggetti.

A risentirne maggiormente sarebbero quindi i piccoli enti?

Le piccole istituzioni culturali o le scuole potrebbero non avere le risorse per pagare un e-book o la visione di un film a scopi didattici. Tutta la didattica innovativa passa attraverso la multimedialità e applicare licenze a tutto questo ci legherebbe le mani. Non si tratta solo di proiettare un video da YouTube in classe (che in Italia è vietato, mentre in altri Paesi è permesso) ma si tratta di consentire l'adozione di tecniche didattiche innovative senza dover ricorrere a licenze da negoziare e che comportano dei costi. La licenza è come un contratto d'affitto, ognuno fa un po' come gli pare, in mancanza di protocolli certi. Una regolamentazione che introduce le licenze di fatto non regolamenta nulla, perché le licenze sono soggette alle leggi di mercato, e questo significa che domina la logica del profitto. La riforma non lavora per cercare di ottenere un accesso aperto all'informazione per creare cultura. È la cultura che crea benessere in un paese: questo non lo si vuol capire.

Nessuno ha toccato con la direttiva le grosse lobby editoriali come Elsevier, Wiley, Springer che drenano soldi dalle università e dalla ricerca Antonella De Robbio

Quindi si è scelto di privilegiare gli editori dimenticandosi di molte altre realtà?

Il mondo della stampa sosteneva questa direttiva e ha fatto un forte lavoro di lobbying. Una massiccia campagna dei quotidiani ha strumentalizzato la questione del diritto d'autore. Con la scusa di tutelare il lavoro di autori e giornalisti contro le lobby monopolistiche si è limitato invece l'accesso alle informazioni, introducendo licenze a pagamento anche per gli usi di materiali a scopi didattici e di ricerca. Così per altro si va a scardinare l'impianto originario della norma che mirava al progresso scientifico e tecnologico attraverso l'alfabetizzazione a tutto campo dei cittadini, formazione che anche secondo l’Europa è attività continua durante tutto l’arco della vita. Si va invece verso la chiusura dei modelli a pagamento. Se si vuole far pagare le grosse lobby e i colossi del web si usino altri strumenti normativi e leggi finanziarie.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012