SCIENZA E RICERCA

Stampa 3D: è il momento di pensare al “replicatore” di Star Trek

Replicator, il replicatore. Così l’articolo uscito a inizio febbraio sulla rivista Nature introduce il lavoro pubblicato su Science il 31 gennaio 2019 da Hayden Taylor e i suoi collaboratori: un nuovo processo di stampa 3D che richiamerebbe quanto succede nella saga di Star Trek. Il parallelismo con i replicatori del cinema è abbastanza evidente: con il processo messo in campo dai ricercatori californiani è possibile realizzare oggetti tridimensionali inanimati per intero partendo da una resina liquida e luce, non più “strato su strato”, come le tecniche di stampa 3D hanno sempre fatto. L’idea di Taylor e gli altri ricercatori arriva dalla tomografia computerizzata usata in ambito medico (la TC) e si è concretizzata nella riproduzione della scultura Il pensatore di Auguste Rodin.

Per capire in cosa sta l’innovazione di Taylor e collaboratori è necessario fare un passo indietro. Nel 1981 il giapponese Hideo Kodama del Nagoya Municipal Industrial Research Institute propose il primo sistema di stampa 3D basato su luce ultravioletta che andava a colpire un polimero fotosensibile e il fotopolimero, ove colpito, solidificava. Kodama però non brevettò il suo sistema di stampa. Poco dopo, nel 1984, dei ricercatori francesi iniziarono a brevettare un sistema di stampa 3D che sfruttava la luce UV, ma il loro brevetto fu rifiutato. Il primo brevetto fu per mano dell’americano Chuck Hull quasi in contemporanea, nel 1986, tant’è che Hull viene spesso definito come l’inventore della stampa 3D. Il suo sistema riprendeva quello di Kodama e lui stesso ne inventò il nome, chiamandolo “stereolitografia”, termine con cui chiamiamo ancora oggi quella tecnica di stampa 3D che sfrutta la capacità di alcune resine a solidificare quando esposte alla luce (in genere ultravioletta).

Da allora sono stati fatti numerosi passi avanti nello sviluppo delle tecnologie di stampa 3D, portando alle più svariate applicazioni (dal design, al biomedicale, alla meccanica e così via) in continuo aumento come raccontato in un recente articolo su Nature. Cambiano i processi o i materiali (si parla di stereolitografia, di stampa a filamento o di molti altri metodi) ma fino a fine gennaio una cosa accomunava tutte le tecniche presenti: la procedura “strato su strato”. Per quanto riguarda la stereolitgrafia, ad esempio, cioè quella tecnica di stampa 3D che sfrutta la solidificazione di un materiale fotosensibile liquido (un fotopolimero) quando esposto alla luce (ultravioletta solitamente), il processo prevede: il disegno dell’oggetto da stampare, la deposizione di un primo strato del fotopolimero e la sua esposizione alla luce, poi la deposizione di un secondo strato che viene a sua volta esposto alla luce, e via così fino a completare la forma desiderata. Anche con tecniche di stampa 3D che prevedono la deposizione del materiale polimerico in filamento si procede per strati per arrivare al completamento della struttura.


Taylor e i suoi collaboratori hanno pensato di eliminare la procedura “strato su strato”, praticamente facendo una tomografia computerizzata al contrario. Nella TC un tubo a raggi X ruota attorno al paziente e acquisisce immagini dell’interno del corpo da diverse angolazioni. Al computer è poi possibile usare le immagini ottenute per ricostruire la struttura 3D della parte del copro che si sta analizzando. L’idea dei ricercatori californiani è che partendo dal modello 3D di un oggetto realizzato al computer, si può calcolare come la struttura apparirebbe se vista da diverse angolazioni e realizzare quindi le immagini 2D dei diversi punti di vista, per poi proiettarle su un contenitore cilindrico riempito con una resina fotosensibile liquida. Ruotando il contenitore alcune zone del liquido ricevono luce in diverse quantità e, controllando l’intensità della luce ricevuta, è possibile far sì che il materiale fotopolimerizzi e quindi solidifichi sopra una determinata soglia nei punti desiderati.
 

Per ora il nuovo metodo di stampa 3D ha permesso di fabbricare una struttura di qualche centimetro in circa due minuti e, come suggerito dagli autori, una tecnica come questa potrebbe trovare applicazione nella fabbricazioni componenti per l’ambito biomedicale. Intanto la forma scelta per la prima stampa da far conoscere a tutti, Il pensatore, è diventato anche un messaggio per chi lavora nella fabbricazione di oggetti 3D, come recita l’articolo su Nature.

Pensi di conoscere la stampa 3D? Pensaci ancora Testo originale dall’articolo su Nature: “Think you know 3D printing? Think again”

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