La tesi di Andrea Zanzotto dedicata a Grazia Deledda
Immaginiamolo mentre batte sui tasti della macchina da scrivere, nel silenzio della sua stanza. Resta concentrato, consulta un libro per cercare conferme, poi ritorna sul testo e lo sviluppa, corregge e ricomincia, paragrafo dopo paragrafo, riflessione dopo riflessione. Il giovane studente sta preparando la tesi, in autunno si potrà laureare in Lettere, a Padova. Ha iniziato l’università solo qualche anno prima, nel 1938, dopo aver conseguito il diploma all’Istituto magistrale, e nel 1942, a soli 21 anni, sta concludendo gli studi. Affronta e attraversa gli anni segnati dalla guerra, lo attende un futuro luminoso: quel ragazzo si chiama Andrea Zanzotto. Nel 2015 la sua tesi, con introduzione di Armando Balduino e prefazione di Emanuele Zinato, è stata pubblicata dalla Padova University Press e, a distanza di qualche anno, resta un volume prezioso e senza tempo, custode di pagine critiche disseminate di correzioni, aggiunte e qualche sorpresa: una su tutte, la pagina 63, che si presenta a orientamento invertito, per rispettare l’originale impaginazione.
“ [Deledda] trova il proprio carattere in una fusione di lirismo e dramma, di ambiente e personaggi che vi operano, di viva moralità e di senso cosmico della natura Dalla tesi di laurea di Andrea Zanzotto
L’arte di Grazia Deledda (titolo originale: Il problema critico dell’arte di Grazia Deledda), tesi di laurea in Lettere all’Università degli studi di Padova, composta da 212 cartelle a spazio 2 e discussa dallo studente Andrea Zanzotto il 30 ottobre 1942, accompagnato dal relatore Natale Busetto, docente di Letteratura italiana, ci invita a intraprendere un viaggio alla scoperta dell’universo giovanile e in piena evoluzione di uno dei più grandi poeti del Novecento.
Questo imponente libro riesce a superare il confine della “semplice” documentazione del percorso universitario di Zanzotto e ci dice molto di lui. Sono pagine che vale la pena sfogliare, con calma, soffermandosi sui particolari, non solo per ritrovare le prime tracce del pensiero dell’autore trevigiano, ma anche per ripercorrere l'esperienza di Deledda, premio Nobel per la Letteratura nel 1926, attraverso la lettura critica di un brillante laureando.
“Nonostante il fascismo e la rigidità della cultura ufficiale, c’erano, nell’ambiente padovano in cui Zanzotto si formò, vivi fermenti democratici e anticonformistici che il giovane poeta, già educato all’antifascismo dal coerente esempio paterno, seppe cogliere sia dalle lezioni di maestri come Concetto Marchesi e Diego Valeri che da altri movimenti culturali gravitanti intorno all’Università”, scrive Giuseppe Zaccaria, Rettore dell’ateneo patavino dal 2009 al 2015, nella breve nota di presentazione del volume, calando il futuro poeta nel suo tempo, nei fertili anni della formazione. Se Emanuele Zinato ricorda, negli anni universitari, l'interesse per Rimbaud e Hölderlin e il primo approccio alla poesia (scritta "a macchina su minuscoli fogli di carta trasparente") tradotto in prove di analisi di "traumi storici e psichici" confluite nella plachette A che valse? Versi 1938-1942, in relazione alla tesi, invece, Armando Balduino ne evidenzia la cura nel metodo di lavoro e ricerca, riferendosi in particolare alle referenze bibliografiche, "non solo per quanto riguarda specifiche monografie [...] ma anche, parallelamente, nei confronti dei molteplici interventi della cosiddetta critica militante". E sulla questione poetica, che maggiormente stuzzicherà la curiosità degli appassionati dell'opera di Zanzotto, Balduino aggiunge due interessanti annotazioni: "Considerando che la Deledda aveva esordito come poetessa (semplicemente Versi il titolo della raccolta, parzialmente redatta in lingua sarda - lingua, faccio notare, e non dialetto): 1) al riguardo, da parte di Zanzotto, nemmeno un cenno, poiché, immagino, forse non ne ebbe neppure notizia. Nel 1942 non era certo possibile, come si usa fare ora in casi del genere, magari con previo accertamento per via informatica, riccorrendo al prestito fra biblioteche; 2) una volta sistemati gli obblighi connessi alla tesi di laurea, sembra proprio che il suo interesse per la scrittrice sarda si sia per sempre chiuso".
Nelle conclusioni del suo elaborato, Zanzotto evidenzia punti di forza e limiti dell'opera di Deledda, soffermandosi sulla "profondità di sentimenti e altezza d'ispirazione" della scrittrice (che trova la "più profonda forza [...] nell'anima sarda"), sulla sua capacità di superare "l'esperienza regionalistica nel psicologismo", riuscendo a sviluppare "una forma d'arte tutta sua [...] che trova il proprio carattere in una fusione di lirismo e dramma, di ambienti e personaggi che vi operano, di viva moralità e senso cosmico della natura, in equilibri diversi, con marcata tendenza al favoloso". E se i pochi limiti dell'autrice di Canne al vento (definito dallo stesso Zanzotto un "capolavoro") risiedono, per lui, "nelle cadute aperte nella cultura veristica e simbolistica", con riferimenti, come "appare evidente nei romanzi mancati", a una "realtà troppo realistico-scientifica e a simboli intesi come assolute astrazioni", il giovane laureando non ha alcun dubbio: Deledda "ebbe la più vasta risonanza nel mondo contemporaneo della cui cultura interpretava un momento: il passaggio dal verismo al decadentismo", rendendo la sua Sardegna "di interesse universalmente umano".
“ Grazia Deledda resta, tra le molte donne che scrissero in italiano, se non la massima, una tra le maggiori: e in nessuna, specialmente tra le moderne, noi troviamo una profondità di sentimenti ed un'altezza d'ispirazione quale fu in lei Dalla conclusione della tesi di laurea di Andrea Zanzotto