Un F-16 dell'aeronautica militare indiana
Nuova Delhi ha confermato l’attacco aereo a Balakot, in territorio pakistano, portato a termine da una dozzina di cacciabombardieri per colpire il gruppo di separatisti del Kashmir Jaish-e-Mohammed accusato di aver eseguito l’attentato del 14 febbraio scorso che ha causato la morte di 46 militari indiani. Anche il Pakistan conferma l’attacco. Le versioni divergono solo sull’esito dell’azione aerea: gli indiani sostengono di aver ucciso un certo numero di terroristi, i pakistani sostengono al contrario che la propria aviazione ha messo in fuga quella nemica, costringendo gli attaccanti a liberarsi delle bombe in una zona non abitata. Notizie di poco fa indicano che la contraerea pakistana sarebbe riuscita anche ad abbattere i caccia militari indiani.
Ma, comunque sia andata, è chiaro che l’attentato del 14 febbraio e l’incursione del 25 febbraio costituiscono una nuova pericolosa scintilla che potrebbe accendere ancora una volta il fuoco del conflitto armato su larga scala tra l’India e il Pakistan. Il fatto è che i due paesi hanno un vasto arsenale nucleare. Secondo gli esperti del Bulletin of the Atomic Scientists, infatti, l’India possiede tra 130 e 140 testate e materiale fissile (uranio) per giungere in tempi brevi a 200. E ha la possibilità di lanciarle sia con aerei (di fabbricazione francese), che da postazioni basate a terra, che da sottomarini. Mentre il Pakistan di testate nucleari ne possiede tra 140 e 150, con la possibilità di lanciarle sai dall’aria (con bombardieri di fabbricazione americana), sia da postazioni basate a terra, sia dal mare con missili cruise.
Nessuno dei due paesi ha escluso in maniera chiara e ferma di rinunciare al primo uso di armi nucleari. Anzi, pare che nei piani militari indiani ci sia un’opzione che prevede un first strike,un primo colpo, capace di annientare completamente l’arsenale nemico, evitando così la risposta. Non meno preoccupanti sono le dichiarazioni delle autorità militari pakistane, che hanno più volte dichiarato di essere pronte a utilizzare l’arma atomica in caso di attacco convenzionale indiano su larga scala. Entrambi i paesi posseggono armi nucleari cosiddette tattiche, utilizzabili su campo di battaglia per un’eventuale guerra atomica limitata. Il guaio è che nessuno è in grado di assicurare che una disastrosa guerra nucleare limitata non evolva in una catastrofica guerra nucleare totale.
È per questo che in questo momento il conflitto ormai non tanto latente tra India e Pakistan è considerata una causa tra le principali che hanno indotto gli esperti del Bulletin of the Atomic Scientistsa spostare di recente il Doomsday Clock– l’orologio virtuale che misura la vicinanza a una catastrofe planetaria, sia essa atomica climatica – ad appena 2 minuti dalla mezzanotte, come era accaduto solo negli anni ’50, quando Stati Uniti e Unione Sovietica si fronteggiavano minacciosamente.
Una eventuale guerra nucleare tra India e Pakistan, anche limitata, causerebbe milioni di morti e, si prevede, fino a 500 milioni di migranti forzati. Sarebbe, anche a prescindere dall’inquinamento radioattivo, una catastrofe planetaria.
Ma, sebbene quello associato al confronto tra Pakistan e India sia probabilmente il maggiore, il rischio nucleare non si esaurisce in Asia centrale. Proprio in queste ore sono giunti ad Hanoi, la capitale del Vietnam, il presidente della Corea del Nord, Kim Jong-un, e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, per iniziare una serie di colloqui volti a disinnescare il rischio di una guerra nucleare nella penisola coreana. La tensione era altissima solo un anno fa. I colloqui in atto sembrano molto promettenti, ma ove mai fallissero ritorneremmo nella inquietante situazione precedente.
Ma, sebbene il rischio di una guerra con scambi di colpi nucleari tra Stati Uniti e Russia – le massime superpotenze atomiche – sia più remoto, la recentissima rinuncia del trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Force Treaty) potrebbe risolversi in una nuova corsa agli armamenti dopo oltre tre decenni di disarmo parziale concordato tra Washington e Mosca. Va sottolineato che lo sviluppo di nuove armi nucleari a range cosiddetto intermedio riguarda soprattutto l’Europa.
Tutto questo – e altro ancora – ci ricorda che la spada di Damocle nucleare pende ancora minacciosa sul capo dell’intera umanità. E che è nostro interesse vivissimo tentare di ricacciare nella bottiglia lo spirito atomico uscito quasi tre quarti di secoli fa. Lo scopo ultimo è ritornare al più presto a un mondo libero da armi nucleari, attraverso accordi pacifici. Esistono diversi strumenti che è possibile attivare. Ma esiste anche la consapevolezza che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, abbiamo mancato l’occasione. C’è stato un periodo, dopo la fine dell’impero sovietico, in cui il “nuclear weapons-free world”, un mondo senza armi nucleari, è stato a portata di mano. Non abbiamo saputo coglierlo quel momento politicamente favorevole.
Forse la colpa è stata anche la distrazione dell’opinione pubblica mondiale. È come se la consapevolezza del rischio si fosse un po’ ridotta. E sì che, come ricorda lo storico Lawrence S. Wittner, sono stati proprio il movimento pacifista mondiale e gruppi di scienziati particolarmente attivi (a iniziare da Albert Einstein) a rendere la guerra nucleare un tabù anche per i governi e gli stati maggiori. A dare corpo a un’idea: la pace – in primo luogo quella nucleare – è un diritto universale dell’umanità.
Ed è dunque riattivando la consapevolezza di massa anche attraverso la mobilitazione degli uomini di scienza che è possibile esercitare una nuova ed efficace pressione per indurre gli stati a intraprendere un nuovo percorso che porti a svuotare gli arsenali nucleari.
È dare un piccolo contributo per tentare di raggiungere questo obiettivo che Il Bo Live, insieme al Centro di ateneo per i Diritti umani “Antonio Papisca” dell’università di Padova, la Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace” e l’Unione Scienziati per il Disarmo (USPID) organizzano il convegno Dalle minacce nucleari al diritto umano alla pace che si svolgerà il prossimo 27 marzo a Palazzo Bo, a Padova.
Ecco il programma:
il Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”,
la Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace”
e la testata giornalistica online Il Bo Live dell’Università degli Studi di Padova,
insieme con l’Unione Scienziati per il Disarmo (USPID),
promuovono il convegno:
Dalle minacce nucleari al diritto umano alla pace
Università di Padova | Palazzo Bo | Aula Nievo
mercoledì 27 marzo 2019 | ore 9.30 – 17.30
Programma
ore 9.30 - 12.30
Indirizzo di saluto
Annalisa OBOE, Prorettrice alle relazioni culturali, sociali e di genere, Università di Padova
Introduce e coordina
Marco MASCIA, Direttore del Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace”, Università di Padova
Le problematiche delle armi nucleari della Corea del Nord
Carlo TREZZA, è stato ambasciatore in vari paesi, Presidente del Consiglio Consultivo del Segretario Generale dell'ONU per le questioni del Disarmo e Consigliere diplomatico del Ministro della Difesa
La questione iraniana
Nicola CUFARO PETRONI, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare,
INFNLa fine dell’INF: un’occasione per un ruolo attivo dell’Europa
Alessandro PASCOLINI, già docente di Fisica teorica e di Scienze per la pace, Università di Padova, V.Presidente della “International Schools on Disarmament and Research on Conflicts”
Diritto alla pace: un’utopia sostenibile
Eleonora SIRSI, Università di Pisa
Dibattito
ore 14.30 - 16.00
E’ possibile un mondo senza armi nucleari?
Introduce e coordina
Francesco LENCI, Unione Scienziati per il Disarmo, USPID
Intervengono
Lisa CLARK, Co-Presidente dell’International Peace Bureau, rappresentante in Italia dell’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, ICAN (tbc)
Paolo COTTA RAMUSINO, professore di Fisica matematica all’Università di Milano, Secretary General Pugwash Conferences on Science and World Affairs
Dibattito
ore 16.00 - 17.30
Armi autonome: sviluppo o messa al bando?
Introduce e coordina
Francesco LENCI, Unione Scienziati per il Disarmo, USPID
Intervengono
Diego LATELLA, ricercatore CNR presso l’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione “A.Faedo”, membro del Consiglio Direttivo dell’International School on Disarmament and Research on Conflicts (ISODARCO), Segretario Nazionale dell’USPID
Francesco VIGNARCA, Coordinatore Nazionale della Rete Italiana per il Disarmo (tbc)
Guglielmo TAMBURRINI, professore di Logica e Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Napoli Federico II, membro dell’International Committee for Robots Arms Control
Dibattito