MONDO SALUTE

La tentazione di “mollare”: la Covid pandemic fatigue che sta affaticando tutto il mondo

All’interno di questo tempo lungo della pandemia Covid-19 e dei molteplici livelli di pericolo ad essa collegati, da qualche settimana si sta aggiungendo un ulteriore “grido” di allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS; World Health Organization, WHO, 2020) e relativo alla pandemic fatigue. La pandemic fatigue rappresenta un insieme di demotivazione e di fatica nel seguire i comportamenti protettivi necessari per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Essa sembra emergere gradualmente nel corso del processo pandemico, coinvolgendo emozioni, esperienze e percezioni delle persone e dei sistemi relazionali e sociali entro cui sono inserite.

Si tratta di una reazione di stanchezza attesa e tipica, che tende ad emergere negli individui di fronte ad eventi avversi e prolungati che colpiscono le loro vite e che hanno caratteristiche di: lunga durata, imprevedibilità, scarso controllo e possibilità individuale di risoluzione. Il senso della fatica non ha una definizione in termini clinici, ma piuttosto identifica una stanchezza conseguente al perdurare di condizioni di vita non tipiche, come quelle della pandemia, che hanno richiesto e richiedono importanti sforzi per perseverare nei comportamenti protettivi, quali la sanificazione delle mani e degli ambienti, l’uso delle mascherine, il distanziamento sociale.

In questo stadio protratto della condizione di crisi una reazione di demotivazione e sfiducia individuale è attesa. Infatti, il perdurare della situazione spinge gli individui ad attivare diverse strategie di coping, non sempre funzionali alla protezione. Tale condizione di fatigue è quindi il risultato di un complesso gioco di fattori che colpiscono la capacità delle persone di fronteggiare la pandemia nel lungo tempo, continuando ad adempiere ed automonitorare i propri comportamenti di protezione.

Un primo fattore che contribuisce alla fatigue individuale e collettiva è legato alla dispercezione del pericolo che si crea all’estendersi della pandemia. Infatti, nonostante i dati mostrino un rischio di contagio continuamente crescente, il perdurare delle misure di restrizione può generare un’errata percezione di decrescita della diffusione del virus e quindi di minor pericolosità della situazione. Tale dispercezione è spesso collegata ad una sensazione individuale di perdita che deriva dalle significative modifiche allo stile di vita introdotte sul piano relazionale, sociale ed economico a seguito delle politiche di restrizione. Per alcuni individui questo senso di perdita può risultare eccessivo a tal punto da condurli a sottovalutare il pericolo ancora in atto, iniziando ad abbassare la guardia rispetto alla protezione di se stessi e del contesto in cui sono inseriti.

Un secondo fattore è legato alla perdita del senso di autoefficacia. Le restrizioni sempre più severe, in continuo cambiamento nel tempo e per un periodo che va allungandosi costantemente, possono creare nelle persone un senso di perdita di controllo sulle proprie vite a livello quotidiano, lavorativo, economico ed esistenziale. Questa sensazione può generare una sensazione di inefficacia per le proprie azioni e quindi una perdita del fiducia verso i propri comportamenti e il monitoraggio degli stessi.

Un terzo fattore riguarda l’abituazione. Quando la durata di condizioni estreme, pericolose e atipiche, si protrae a lungo nel tempo, tali circostanze cominciano a venire “normalizzate”, generando un complessivo abbandono della tenuta rispetto agli eventi e al loro carattere di eccezionalità iniziale.

Ovviamente, l’insieme di questi fattori si interfaccia con le caratteristiche individuali, relazionali, sociali, economiche e politiche in cui ogni singolo e ogni gruppo è inserito. Ciò nonostante, la condizione di affaticamento, in diverse modalità e misure diverse, accomuna le persone al di là delle individualità e sembra particolarmente connessa alla qualità, alla durata e alle modalità di reazione alla crisi che stanno affrontando.

Per questo motivo, nel contesto dell'incertezza dell’emergenza COVID-19, è importante capire che la pandemic fatique costituisce una naturale risposta individuale. Il tema, quindi, non è quello di identificare il fenomeno, definirlo e tracciarlo nelle diverse popolazioni, ma di accettare come fisiologico l’affaticamento che persone e sistemi stanno vivendo, con l’idea di delineare alcune strategie che possano costituire un piano di azione per la prevenzione e l’intervento sulla pandemic fatigue.

Gli studi nel campo concordano su alcune strategie possibili: (a) Comprensione e coinvolgimento: alla base di un intervento per ridurre la pandemic fatigue si colloca l’idea che sia necessaria una profonda comprensione delle persone, dello loro difficoltà nell’attenersi ai comportamenti protettivi e della loro stanchezza. Aiutare le persone a dare un senso alle circostanze, a comprendere ciò che accade e cosa mina la loro motivazione favorisce la creazione di un senso di fiducia, efficacia e resistenza. Tale atteggiamento passa attraverso il coinvolgimento di individui e sistemi considerandoli parte della soluzione del problema. In aggiunta, sono necessarie politiche di riduzione del rischio, pur consentendo progressivamente che gli individui tornino a condurre le proprie vite in maniera adeguata e non soltanto frustrante. Ciò è particolarmente importante per quelle persone che sono state esposte ad esperienze difficili, dolorose e molto faticose sia dal punto di vista fisico, sia psicologico, e che hanno bisogno di una qualche forma immediata di ripartenza. Questi elementi consentirebbero la ripresa del controllo da parte della popolazione, l’idea di una partecipazione attiva al processo di protezione e di uscita dalla crisi, la speranza consapevole nel recupero di livelli di vita gratificanti in tempi ponderati, anche se non completamente identici a quelli precedenti alla pandemia; (b) Comunicazione coerente e prevedibile: un secondo principio riguarda i modelli di comunicazione. I rappresentanti delle istituzioni ai vari livelli che, in condizioni di rischio e/o pericolo, vengono identificati come i punti di riferimento essenziali dai quali trarre conoscenza sul fenomeno, sul suo andamento, sulle condotte da tenere, sulle possibilità di protezione e salvaguardia rispetto alle difficoltà e sulla possibile ripartenza dovrebbero seguire alcuni principi guida nella comunicazione. Sempre l’OMS identifica alcuni criteri tratti dall’ampia letteratura sul tema e che riguardano: la trasparenza nella comunicazione, la sua correttezza e imparzialità rispetto a diverse categorie di persone, di condizioni, di livelli sociali ed educativi di comprensione, riflessione, capacità di mentalizzazione rispetto all’esperienza vissuta. Tali messaggi e le scelte politiche dovrebbero inoltre possedere due caratteristiche centrali e molto studiate in ambito psicologico: la consistenza (ossia la solidità dei contenuti e delle modalità comunicative) e la prevedibilità (in grado di consentire la costruzione di un processo causa-effetto tra situazioni e condizioni diverse).

La coerenza nello scambio comunicativo è un costrutto psicologico molto indagato con particolare riferimento alle interazioni tra genitore e bambino durante le prime fasi della vita, in particolare, in situazioni di rischio e/o pericolo, vere o percepite come tali. Quanto più la figura di riferimento sa essere coerente nei messaggi, nei comportamenti, nelle emozioni che trasmette nell’interazione con il piccolo, tanto più questi avrà la capacità di costruire una previsione rispetto all’altro che gli consentirà di orientare, a sua volta, i propri comportamenti, stati d’animo, scelte, comprensioni. La prevedibilità dell’altro, e quindi dell’ambiente, strutturata grazie alla coerenza dell’incontro, è perciò la strada per la costruzione ed il mantenimento di una condizione di benessere o il ripristino della stessa quando le condizioni si fanno difficili, incomprensibili, pericolose come durante una pandemia.

In altre parole, nel pericolo, anche gli individui adulti regrediscono ad una condizione di bisogno che può essere adeguatamente affrontata se le loro figure di riferimento (politici, istituzioni, referenti professionali, professionisti della salute) sanno essere chiare, eque, coerenti e perciò prevedibili. In questo senso, la capacità di ascoltare attentamente i segni di stanchezza e fornire una comunicazione cauta ma consistente e prevedibile favorisce l’adattabilità e la resilienza. Ciò è particolarmente decisivo anche in questo momento della pandemia in cui si affaccia all’orizzonte la prospettiva del vaccino. Infatti, anche se un vaccino sarà disponibile e sicuro, occorre mettere in guardia le persone dalla prospettiva che questo riporterà la vita alla normalità in pochi mesi. È importante piuttosto far comprendere che, da un lato, il vaccino richiederà tempi di produzione e distribuzione durante i quali sarà importante persistere con i comportamenti protettivi, dall’altro lato che occorrerà trovare tempi e spazi perché le persone possano elaborare ciò che è accaduto durante la pandemia ancora molto a lungo dopo la disponibilità del vaccino. Si tratta di una sfida non facile e non individuale. A questo scopo, infatti, i professionisti della salute mentale possono fornire un prezioso aiuto costruendo percorsi di supporto per coloro che hanno il compito di informare, sostenere, indirizzare nei momenti critici della vita dei singoli e dei popoli.

In conclusione: è certo che le persone in questa fase della pandemia sono stanche, affaticate e demotivate rispetto agli importanti comportamenti di protezione e prevenzione, con il rischio di maggior esposizione al virus e a forme di malessere individuale. Questa fatica pandemica sta colpendo tanti, forse troppi. Le istituzioni dovrebbero intervenire favorendo riconoscimento, consapevolezza e partecipazione collettiva e i singoli individui dovrebbero essere incoraggiati a ricercare un aiuto professionale per navigare questi stati d’animo ed elaborare la propria esperienza individuale della pandemia. Per questo scopo è fondamentale che, a fianco di una comunicazione istituzionale consistente e prevedibile, siano rese disponibili risorse strutturali che incoraggino e rafforzino la possibilità individuale di usufruire di un ascolto e un sostegno professionali che accolgano le difficoltà che stanno affaticando le persone.

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