SOCIETÀ

La Terra brucia: un'estate di incendi tra Amazzonia e California

Con le immagini degli alberi australiani in fiamme ancora vivide nella nostra memoria, come umanità ci troviamo a fare i conti con una nuova, ampia e gestibile con fatica, ondata di incendi, sparsi in più continenti. L’incendio, come ogni altra calamità naturale, porta con sé la necessità di sfollare le popolazioni che vivono nella zona interessata, o nelle immediate vicinanze, e in questo particolare momento storico le operazioni sono rese ancora più complicate dal distanziamento sociale e dai protocolli anti Covid-19.

Bruciano la California, il Pantanal e la foresta amazzonica in Brasile, parte di una riserva naturale in Kenya. Un estate, quindi, che costringe a tenere alta l’allerta su vari fronti, e fa interrogare sui danni che gli incendi riverseranno nel nostro ecosistema, già messo ampiamente alla prova dai cambiamenti climatici.

L’apocalisse in California

Negli Stati Uniti è costume dare un nome a ogni evento, e l’incendio che sta devastando la contea di Riverside, in California, è stato chiamato Apple Fire. L’incendio ha proporzioni allarmanti, infatti da venerdì 31 luglio ha già distrutto 20.000 acri nella Cherry Valley, nella zona est di Los Angeles, e ha causato circa 8.000 sfollati. Sono stati mobilitati circa 1.200 vigili del fuoco, ma le fiamme risultano essere ancora “fuori controllo”. A complicare i lavori delle squadre di soccorso è la morfologia del territorio, che rende difficoltoso l’accesso ai camion dei pompieri, e le condizioni del metoe, infatti le temperature sono elevate. Ad ogni modo la situazione californiana non può essere definita una novità, infatti a causa del suo clima caldo e secco la zona è spesso interessata da incendi, che vengono aggravati anche dai forti venti secchi che imperversano a Nord e a Sud. Solitamente le zone più colpite sono le riserve naturali e le foreste, ma anche i centri abitati più vicini non sono al sicuro, forse vengono risparmiate dalle fiamme, ma non dalle nubi tossiche. Finora l’incendio più devastante mai documentato nella zona è accaduto nel 2017: Tubbs ha ucciso 43 persone; a Rush, l’incendio del 2012, va invece il primato per estensione: 1.280 chilometri quadrati. Gli incendi in queste zone possono continuare anche per dei mesi prima di essere completamente spenti dal CAL Fire (California Department of Forestry and Fire Protection).

I due fronti del Brasile

Torna l’emergenza incendi anche in Brasile, questa volta in due luoghi distinti. Brucia, di nuovo, la foresta amazzonica, registrando un nuovo, triste primato. Chi si era disperato lo scorso anno, quando gli indios chiedevano aiuto per salvare la foresta così essenziale per la loro cultura, dovrà arrendersi ai dati relativi al 2020: Il National Space Research, che monitora il Paese, ha dichiarato di aver registrato 6.803 roghi nella foresta pluviale amazzonica a luglio, il 28% in più rispetto allo stesso mese del 2019, quando i roghi furono 5.318. Ma è il mese di agosto a preoccupare ancora di più gli ambientalisti, e infatti i dati che arrivano dalle analisi dello scorso anno, danno loro ragione. Nel frattempo Jair Bolsonaro, incalzato dalla pressione internazionale, ha cercato di metterci una pezza quando, il 16 luglio scorso, ha vietato la combustione nelle zone umide del Pantanal e nella foresta amazzonica per quattro mesi. Un tentativo di scarsa efficacia, secondo gli esperti e come dimostrato dai numeri degli incendi di quest’anno. Come la California, questa zona è solita agli incendi, ma in questo caso non sono dovuti alla siccità. Il rogo è una pratica che permette di ripulire il terreno delle zone appena disboscate della foresta. Il disboscamento, infatti, non si è fermato nonostante il Brasile sia uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia di Covid-19. Greenpeace e altre associazioni ambientaliste si dichiarano molto preoccupate riguardo gli sviluppi degli incendi nei prossimi mesi, in particolare in settembre. Se il 2020 seguirà il trend che ha disegnato il 2019, potrebbe rivelarsi un anno devastante per la foresta pluviale amazzonica e per popolazioni che la abitano. Inoltre, secondo uno studio dell’Istituto de Pesquisa Ambiental da Amazonia (IPAM) di Brasilia, la deforestazione nella foresta è stata in crescita, almeno nei primi quattro mesi del 2020, e 4.500 chilometri di aree già deforestate sono pronte a essere incendiate.

Il secondo fronte in cui si stanno verificando gli incendi in Brasile è il Pantanal, ovvero la più grande zona umida tropicale del mondo. In questa zona il numero degli incendi registra addirittura un + 150%. La grande area paludosa, che si estende per circa 150 chilometri quadrati tra il Brasile, la Bolivia e il Paraguay, ha contato già 3.862 incendi dall’inizio del 2020. Si tratta di un numero record, considerando il periodo dal 1998 a oggi, ovvero da quando il monitoraggio degli incendi nella zona ha iniziato a essere operativo. Per avere un parametro di confronto basti pensare che nel 2018 nello stesso periodo considerato, gli incendi erano stato solo 277.

Non solo le Americhe

Anche l’Africa sta andando a fuoco, infatti in Kenya sono stati registrati tre gravi incendi, che purtroppo hanno distrutto una parte del Parco nazionale dello Tsavo, nel sud del Paese. Si tratta di un’area protetta e complessivamente la sua estensione è pari alla Toscana, e include diversi tipi di habitat con un’eccezionale biodiversità. Nel 2019 fu colpita da un incendio che ha portato diversi danni, ora questi tre incendi rischiano di portare altri danni in questo luogo che è anche considerato una delle riserve naturali più preziose al mondo. Le autorità hanno ricondotto l'origine degli incendi a delle attività illegali svolte nel Paese.

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