CULTURA

Tina Modotti: la fotografia oltre il racconto biografico

La madre la chiamava "Tinissima", facendo inconsapevolmente sintesi di una personalità superlativa. Di Tina Modotti (Udine, 1896 - Città del Messico, 1942) si sono raccontati il fascino da attrice, i viaggi e le avventure in giro per il mondo, fino alla scelta del Messico come casa, le amicizie -con Frida Kahlo e Pablo Neruda, tra i tanti -, i dolori, le perdite, gli amori con uomini molto carismatici. Meno, invece, si è detto del valore della sua opera fotografica, del messaggio artistico e sociale e, più in generale, di quella profonda umanità che la definiva come persona e che attraversava anche i suoi scatti, al servizio degli ultimi. 

La mostra Tina Modotti. L'opera, allestita a Palazzo Roverella, a Rovigo (dal 22 settembre 2023 al 28 gennaio 2024), si fonda su un proposito: raccontare l'opera, l'impegno civile, il messaggio di libertà e giustizia di una donna indipendente, appassionata, rivoluzionaria, moderna. E tutto questo nel centenario della "nascita" della sua fotografia, perché Tina Modotti inizia a fotografare proprio nel 1923, inizialmente affiancando Edward Weston, suo compagno e mentore, per poi sviluppare un percorso personale, totalmente autonomo. Ne abbiamo parlato con il curatore Riccardo Costantini di Cinemazero, che a Il Bo Live ha spiegato: "A cent'anni di distanza a questa donna libera, autonoma, colta dedichiamo una mostra personale, il più ricca possibile, senza ingombri di altri artisti, cercando di concentrarci solo sulla sua produzione". In una lettera a Weston del 1925 lei stessa si interroga su vita e arte, evidenziando la faticosa ricerca di un equilibrio tra le due. "È principalmente uno sforzo per distaccarmi dalla vita e riuscire a dedicarmi completamente all’arte”.

"Questa mostra è la più grande mai realizzata, risultato di un lavoro di ricerca che ci ha tenuti impegnati per diversi anni. Sono esposte 300 opere, molte inedite: almeno la metà della sua produzione", racconta Riccardo Costantini.

“Lo stile di Modotti è in evoluzione costante”: dagli esordi con Weston, le opere si trasformano e diventano molto personali. Modotti arriva a definire uno suo sguardo, che oggi ci appare attuale, contemporaneo. "I suoi scatti si offrono come occasione di dialogo. Sono partecipanti. Così, la foto diventa tua, ti appartiene". Anche quando solo un dettaglio viene scelto per raccontare il tutto: un abbraccio materno tra una mamma e il suo bambino, dei quali però non vediamo i volti, e ancora, mani che definiscono il contorno di un sorriso o mani impegnate nel lavoro. Questo è vero stile, ma in lei ci sono anche e soprattutto i contenuti: "Vive i contrasti del Paese che l'ha adottata, il Messico, e si sente in dovere di raccontare usando un tono sociale, ancora prima del suo impegno politico con l'adesione al Partito Comunista nel 1927. Nel corso delle ricerche fatte per arrivare a questa mostra, abbiamo scoperto che già nel 1915, a due anni dal suo arrivo a San Francisco, come emigrante italiana, è a teatro come attrice e in quelle occasioni si fa promotrice di raccolte fondi per poveri e vittime di conflitti, dimostrando un afflato sociale che è la vera caratteristica della sua intera vita. Molte delle foto esposte raccontano la fatica, l'energia collettiva, il lavoro", senza voler distinguere quello maschili dal femminile. "Il suo è uno sguardo attuale, femminista. Quello che abbiamo cercato di fare è collocarla nella storia della fotografia evidenziandone le peculiarità: ho la sensazione che, con queste intensità e varietà di stili e soggetti, sia la prima a veicolare un messaggio sociale e di denuncia così preciso e decodificabile".

Una sala è dedicata alla mostra del 1929, l'unica ideata e allestita personalmente da Modotti. Ritroviamo qui le stesse opere scelte dalla fotografa e quel suo scatto che, nelle due immagini che la ritraggono alla sua mostra, lei nasconde ponendosi proprio davanti. Oggi quella fotografia si può ammirare: il lavoro fatto da Costantini e colleghi ha permesso di riconoscere, con buona probabilità, il ritratto dell’amato Julio Antonio Mella, realizzato poco istanti dopo la sua morte. La scelta di nasconderlo rivela una sorta di pudore, un dolore mai superato che si traduce in ultimo tentativo di difesa, come a volerlo allontanare il più possibile dallo sguardo degli altri.

"La mostra del 1929 è l'unico atto artistico di esposizione coordinato da lei. In quel periodo Modotti annuncia la possibilità di essere esiliata, deducendo che la temperie politica in Messico porterà un cambiamento radicale anche nella sua vita - spiega il curatore -. A questo punto si dichiara pronta a organizzare una personale: le foto che vediamo qui, ora, sono quelle scelte da lei. Siamo negli anni di fine carriera, sappiamo infatti che Modotti fotografa per breve tempo. Questo dunque è il nostro omaggio, una celebrazione dell'artista partendo proprio da lei, perché nel suo caso la biografia è stata spesso troppo ingombrante: si è parlato molto delle sue trasformazioni di vita, delle sue unioni, noi ora la liberiamo, anche in chiave femminista". Non compagna di qualcuno, non allieva, non femme fatale, ma talentuosa ed esperta fotografa, artista libera, anima colta, rivoluzionaria, empatica e giusta, protagonista assoluta della propria esistenza tradotta in immagini dense di significato, da lasciare in eredità al mondo. 

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