Non si tratta solo di confondere buste di plastica galleggianti con succulente meduse. Non è la vista a ingannare le tartarughe marine, o almeno non solo questa. È l’olfatto, proprio come avviene anche per gli uccelli marini coloniali. La plastica in mare per le tartarughe marine, dunque, profuma di cibo. A svelarlo è un nuovo studio pubblicato su Current Biology da un team di ricercatori delle Università della Florida e del North Carolina guidati da Joseph Pfaller e Kenneth J. Lohmann, uno dei pilastri nello studio della biologia delle tartarughe marine Caretta caretta.
Pfaller e Lohmann si sono ispirati al paper di Mattew Savoca, della Hopkins Marine Station dell’Università di Stanford. Nel 2016, Savoca è riuscito a dimostrare che gli uccelli marini ingeriscono plastica perché tratti in inganno da un odore particolare: quello del dimetil solfuro. In mare la plastica viene colonizzata da alghe, batteri e altri microrganismi e inizia a rilasciare dimetil sulfuro, una sostanza prodotta dalle alghe quando vengono mangiate dal krill, e che guida gli uccelli marini nella ricerca del cibo. E se anche le tartarughe marine cadessero vittime della stessa trappola olfattiva?
Per rispondere a questa domanda i due ricercatori dell’Università della Florida hanno chiesto a Savoca di unirsi al team e di testare l’ipotesi anche sulle tartarughe marine. La Florida del resto è il luogo ideale dove studiare le Caretta caretta: ospita la più grande popolazione al mondo di questa specie. Lohmann lo sa bene. È stato lui con sua moglie Catherine a scoprire che le Caretta caretta si orientano con il campo magnetico terrestre nel loro viaggio migratorio che le porta a percorrere 16.000 chilometri nell’oceano Atlantico, o ancora che memorizzano le coordinate magnetiche della spiaggia su cui sono nate per tornarvi dopo anni.
Il team ha così sottoposto a un semplice test olfattivo 15 esemplari giovani di Caretta caretta, stabulati nelle vasche dei laboratori già da 5 mesi. Il test comprendeva quattro odori, diffusi nell’aria tramite condutture sopra la vasca: acqua distillata, plastica pulita, il loro cibo abituale in vasca – e cioè farina di pesce e gamberetti – e infine plastica sporca di sostanza organica come alghe e microbi vari. Ovvero l’odore della plastica nelle condizioni in cui la si trova facilmente in mare.
Le tartarughe marine hanno ignorato l’odore di acqua distillata e di plastica pulita, ma hanno mostrato la stessa reazione davanti all’odore di cibo e a quello della plastica abbandonata in mare. E, cosa ancora più terribile, hanno risposto ai due odori facendo quello che fanno quando mangiano: hanno mantenuto le narici fuori dall’acqua più a lungo per individuare l’esatta provenienza dell’odore. Un comportamento classico soprattutto nei giovani, che si alimentano in superficie e non in profondità. “Che ignorassero l’odore di acqua distillata e di plastica pulita ce lo aspettavamo. Ma immaginavamo che la risposta all’odore del cibo vero fosse più netta e forte rispetto a quello della plastica ricoperta di alghe. Del resto le tartarughe utilizzate nell’esperimento conoscono bene quell’odore di farina di pesce e gamberetti visto che sono in cattività da 5 mesi e le alimentiamo solo così” ha spiegato Pfaller, che sottolinea: “nessuna di loro ha ingerito plastica durante gli esperimenti e tutte sono state rilasciate nell’oceano”.
Stando ai risultati, quindi, le Caretta caretta sono attratte dai detriti plastici non solo per il loro aspetto, ma anche per il loro odore. Cadrebbero quindi in una trappola olfattiva, proprio come gli uccelli marini. E questo potrebbe spiegare perché questi rettili ingeriscono plastica così spesso. Buona parte delle tartarughe marine spiaggiate ha ingerito plastica e spesso muore proprio per un blocco del sistema digerente. Mentre tantissime altre vengono recuperate in mare e aiutate da volontari che estraggono lenze, ami, cannucce, buste di plastica e palloncini dal loro stomaco, dalle narici o dalla bocca. La maggior parte delle campagne di sensibilizzazione punta sulle buste di plastica, scambiate per meduse dalle tartarughe, che non hanno una vista da falco. Ma la vista potrebbe essere l’ultimo dei problemi per questi animali iconici.
Basta una sola settimana perché un pezzo di plastica che galleggia nell’oceano inizi a ricoprirsi di alghe e microbi, e a “profumare” di cibo per le tartarughe. Perciò la cosa migliore che possiamo fare per tutelare le tartarughe marine è impedire alla plastica di arrivare negli oceani: riciclare, produrre pochi rifiuti e smaltirli correttamente, ripulire le spiagge anche dai rifiuti non nostri.
“Sappiamo bene che nell’oceano Pacifico e in altri oceani ci sono enormi aree coperte da detriti di plastica fluttuanti” ha ricordato Lohmann. “Tali aree, proprio per l’odore emanato, potrebbero essere scambiate per aree ricche di cibo dalle tartarughe, come da altri animali: mammiferi marini, pesci e uccelli. Una volta che queste materie plastiche sono nell'oceano, non abbiamo un modo efficace per rimuoverle o impedire loro di odorare di cibo. La cosa migliore che possiamo fare è impedire che la plastica entri nell’oceano”.