MONDO SALUTE

Tubercolosi: ci sono focolai ma non è in aumento

Soffriva da tempo di una tosse continua e di un sospetto dimagrimento, un quadro clinico che nel tempo è andato peggiorando. Alla fine, la diagnosi fu di tubercolosi. Del caso della maestra elementare di Motta di Livenza si parla molto in questi giorni. Si ritiene infatti sia stata quella l’origine di un focolaio epidemico che sta interessando il trevigiano. Sempre in queste settimane sono stati segnalati dei casi anche in una scuola primaria di Bagno a Ripoli in provincia di Firenze e a Langhirano nel parmense per cui sono stati avviati gli opportuni controlli. Lo studente del politecnico di Torino ricoverato all’Amedeo di Savoia per questo tipo di patologia, invece, non è sopravvissuto. “Un fatto possibile seppur molto raro”. In tutto questo, c’è di che preoccuparsi?

“La tubercolosi è sempre esistita – sottolinea Riccardo Manganelli del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova – e non è in aumento in questo momento, anche se ogni tanto ci sono dei focolai”.

A confermarlo anche i dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità, secondo cui nel cinquantennio compreso tra il 1955 e il 2008 il numero annuale di casi di tubercolosi è passato da 12.247 a 4.418. Il nostro Paese rientra tra quelli a bassa incidenza di malattia. Nel 2017 sono stati registrati 3.944 casi di tubercolosi. Dal 2012 al 2016 il tasso di notifica di tubercolosi è diminuito in media del 1,8% per anno. Se si allarga poi lo sguardo alla regione europea dell’Oms, si vedrà che nel 2017 sono stati 275.000 i nuovi casi di tubercolosi, che corrispondono a un’incidenza di 30 casi ogni 100.000 abitanti. Il tasso di incidenza annuale è diminuito del 4,7% all’anno sia nel periodo 2008-2017 che nel periodo 2013-2017 e questo fa della regione europea quella in cui la diminuzione dell’incidenza sta avvenendo più velocemente. A livello mondiale, i due terzi dei casi sono concentrati in otto Paesi: Filippine, Pakistan, Indonesia, Cina, India, Bangladesh, Nigeria e Sud Africa.

“La tubercolosi è una malattia che può rimanere latente per anni – spiega Manganelli – ma quando una persona presenta tubercolosi attiva può infettare un buon numero di persone”. Non a caso quando si ha questo sospetto si procede con un controllo di tutti i contatti della persona, per verificare se ci sia stata trasmissione. In quest’ultimo caso, si propone una terapia profilattica per evitare che si sviluppi l’infezione. Nel 90% dei casi, spiega il docente, il batterio della tubercolosi non causa subito una malattia primaria quando infetta una persona, ma si ‘addormenta’, genera un’infezione latente. Il soggetto non è né malato né infettivo e questa condizione può durare per tutta la vita. Ha un 5% delle possibilità di sviluppare la malattia nell’arco della propria vita, quando cioè il sistema immunitario – a causa del sopraggiungere di altre malattie o fattori di stress – non è più in grado di mantenere il batterio “dormiente”.

Non si deve dimenticare che la tubercolosi è una malattia curabile: è necessario somministrare un cocktail di antibiotici ed è un trattamento lungo, ma efficace. I ceppi multiresistenti si trattano con più difficoltà, in tempi più lunghi e con farmaci più costosi, ma comunque possono essere trattati.

“Esiste un vaccino – continua Manganelli – ma non è efficace. Si tratta del vaccino vivo attenuato BCG (bacillo di Calmette Guérin), che può essere inoculato sotto cute e dà una certa protezione. Protegge sicuramente i bambini da forme sistemiche molto aggressive di tubercolosi e per questo si continua a impiegare nei Paesi dove la malattia è molto diffusa”. Si fa immediatamente dopo la nascita, in questo modo se il bambino viene in contatto con familiari affetti da tubercolosi non contrae queste forme così devastanti. “Questo vaccino, tuttavia, protegge solo i bambini dalla forma aggressiva di tubercolosi sistemica, ma non l’adulto dalla forma polmonare, per cui non interrompe la catena di trasmissione. In Italia il BCG non viene adottato, perché la tubercolosi nel nostro Paese non è diffusa in misura tale da giustificarne l’impiego: casi di tubercolosi sistemica nei bambini non ci sono da anni”.

Il modo migliore di fare prevenzione è quello di identificare il prima possibile i casi di tubercolosi attiva, isolarli e fare in modo che non venga trasmessa. La forma migliore di prevenzione è la diagnosi rapida. “La tubercolosi – aggiunge Manganelli – determina una necrosi del tessuto polmonare, e in questo tessuto necrotico i batteri proliferano. Con la tosse il paziente espelle il tessuto necrotico ricco di bacilli e questi infettano altri individui. Se la malattia è a uno stadio avanzato, ci sarà molta necrosi e dunque molti batteri. Al contrario se un paziente è all’inizio della malattia, risulta meno infettivo”.  

 

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