SOCIETÀ

Ucraina, Afghanistan, Siria, Mediterraneo: le migrazioni dei profughi

L’Italia sta facendo bene nell’accoglienza dei profughi dall’Ucraina. Ovviamente molto di più stanno facendo le nazioni limitrofe, la Polonia innanzitutto. Chi è in fuga tende a fermarsi nel primo luogo disponibile e, comunque, per molto tempo considera la fuga una parentesi auspicabilmente breve prima di tornare nelle terre dove viveva, sia ancora o meno nelle condizioni di abitare la casa abbandonata. Non a caso è già iniziato un flusso di rientro verso Leopoli, Kiev e tutto il vasto territorio nord-occidentale dell’Ucraina da qualche giorno a minor intensità di pericolo. Fuggire e migrare non sono mai fenomeni lineari, unidirezionali, sincronici. C’è chi è dovuto o ha potuto scappare subito, altri hanno maturato la scelta più lentamente; alcuni sono stati incerti e hanno cambiato idea, altri si sono spostati restando all’interno dei confini ucraini; alcuni si sono mossi senza niente solo per salvarsi la vita, altri sapevano dove andare e sono partiti in una prospettiva di emigrazione più lunga o permanente; i casi nelle vite sociali e individuali sono tanti quasi le persone coinvolte e, d’altra parte, ognuno di noi costituisce soggetto di scuole, ospedali, negozi, produzioni e consumi che non restano a prescindere. E, poi, pesano le differenze di ciascuno con ogni altro, in questo caso soprattutto le differenze di genere, i maschi perlopiù sono restati a resistere e combattere.

Sono ormai oltre centomila le persone in fuga dal conflitto in Ucraina arrivate fino a oggi in Italia, delle quali circa 95 mila controllate dal compartimento Polizia ferroviaria del Friuli Venezia Giulia. Di queste, oltre la metà sono donne, poco più del 10 per cento uomini, il resto minori, quasi 40.000 bambine e bambini. Le città di destinazione dichiarate all'ingresso in Italia sono tuttora Milano, Roma, Napoli, Bologna e tante altre grandi città fra cui Padova. L'incremento è costante dall’annuncio e poi dall’avvio dell’aggressione russa, stabilizzatosi dopo l’iniziale altissimo numero in poche centinaia di nuovi ingressi quotidiani nel territorio italiano. L’insieme della società italiana è stata all’altezza della situazione drammatica: le istituzioni centrali e locali, le associazioni assistenziali coinvolte (anche nella raccolta dei fondi), la rete diffusa di impegno sociale, volontari generosi e famiglie accoglienti. Non è stato sempre così in passato, ma intanto apprezziamo e valorizziamo quanto si sta facendo per i profughi ucraini, di buon auspicio anche per il futuro degli ucraini in Ucraina, ci sarà bisogno di aiuto per la ricostruzione della vita civile e produttiva nel loro paese.

L’Italia si è mossa in un contesto europeo di specifica protezione generalizzata dei profughi ucraini, anche qui abbiamo assistito a una svolta positiva rispetto a contrasti e lentezze del passato. Si tratta certamente finora della più grande migrazione forzata di profughi interni e internazionali di questo nuovo secolo e millennio, il più grande e rapido spostamento di persone in Europa dalla fine dei conflitti nei Balcani. I profughi che lasciano l’Ucraina possono ora entrare nei paesi della UE grazie allo speciale sistema attivato già il 4 marzo, che introduce una protezione temporanea per i residenti sfollati a partire dal 24 febbraio 2022 incluso, a seguito dell'invasione militare delle forze armate russe. Questo sistema di protezione speciale era stato regolato nel 2001 ma da allora non era mai stato attivato: istituisce la connessione quasi automatica dell’asilo e, soprattutto, fornisce permessi di soggiorno e lavorativi, di alloggio e accesso all’istruzione per i minori, oltre a considerare legami familiari o reti di supporto preesistenti, con procedure minime ed efficienti.

Il Dpcm italiano del 28 marzo si è mosso sulla stessa linea (quando comunque già la macchina di solidarietà diffusa e amministrativa era già ottimamente funzionante nel nostro paese). A ucraini e ad alcuni residenti in Ucraina prima del 24 febbraio (purtroppo non a tutti, non a studenti stranieri, a lavoratori con contratti a tempo determinato a richiedenti asilo di altri paesi lì presenti) viene rilasciato dalle Questure un permesso di soggiorno valido 1 anno, prorogabile per un altro anno, che consente l’iscrizione al Sistema Sanitario Nazionale e l’accesso al lavoro, allo studio e alle misure assistenziali e di accoglienza. Tra l’altro, prevede espressamente che l’iscrizione al Ssn, con la scelta del medico di base o del pediatra, è possibile sin dalla presentazione della richiesta di protezione temporanea. Il titolare può chiedere anche la protezione internazionale, ma l’esame della domanda è sospeso per la durata della protezione temporanea. Chi ha già chiesto la protezione internazionale può chiedere anche la protezione temporanea, ma se questa gli viene riconosciuta è sospeso l’esame della domanda di protezione internazionale. Chi ottiene la protezione internazionale non può accedere alla protezione temporanea.

Il decreto italiano regola anche due situazioni particolari dei cittadini ucraini in Italia prima dell’invasione. Quelli con una pratica pendente per l’emersione del 2020, potranno tornare in Ucraina, prestare soccorso ai familiari, quindi rientrare in Italia. Quelli che, dopo il 24 febbraio 2022, hanno chiesto la cittadinanza italiana, sono esonerati, fino alla fine dell’emergenza, dal presentare l’atto di nascita e il certificato penale ucraino. La successiva ordinanza della Protezione Civile ha tradotto le norme in un sistema di effettiva accoglienza diffusa, integrando servizi pubblici e privati e garantendo autonomia e responsabilità ai rifugiati stessi (che possono ricevere direttamente il contributo di 300 euro al mese per ogni adulta/o e di 150 per i minori, per un periodo iniziale di tre mesi), seppur sempre e solo a quelli ucraini, nella logica di un’urgenza giusta ma differenziata.

Assistiamo presto e bene, intanto gli ucraini. Sarà forse l’occasione per non considerare questa scelta un caso eccezionale irrepetibile, bensì un modello per ogni profugo costretto a fuggire da guerre e persecuzioni. C’è bisogno di un permanente “modello europeo” di accoglienza, per varie ragioni l’Italia e altri paesi ne hanno assoluta urgenza. Dall’inizio dell’anno al 20 aprile sono finora sbarcate sulle coste italiane 8.669 persone migranti, in parte certamente formalmente profughi. Secondo quanto diffuso dal Ministero degli Interni, , sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco, si tratta di 1.896 cittadini di nazionalità egiziana (22%); gli altri provengono dal Bangladesh (1.467, 17%), dalla Tunisia (997, 11%), dall’Afghanistan, quasi tutti certamente profughi (586, 7%), dal Costa d’Avorio (525, 6%), dall’Eritrea, quasi tutti certamente profughi (370, 4%), dalla Siria, quasi tutti certamente profughi (335, 4%), dalla Guinea (320, 4%), dal Sudan, quasi tutti certamente profughi (245, 3%), dal Camerun (186, 2%) a cui si aggiungono 1.742 persone (20%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. Complessivamente, un numero molto modesto, anche se Lampedusa è sempre sotto pressione.

Chi riesce ad arrivare dalla Siria viene da un conflitto militare ormai decennale e da un assetto istituzionale ancora precario. Chi riesce ad arrivare dall’Afghanistan viene da un conflitto militare ormai decennale e da un assetto istituzionale ancora precario, da un paese che ha oggi milioni di profughi all’interno e nei paesi limitrofi. E non è che Eritrea o Yemen siano posti tranquilli e democratici. Fra il momento della fuga da una patria divenuta inospitale e pericolosa per la sopravvivenza e il momento dell’inizio di una nuova vita libera del fuggitivo sopravvissuto, sia inseritosi altrove che ritornato in patria, passano mesi, anni, decenni, dipende da molti fattori; certo è che i due momenti non coincidono. Lo si dimentica spesso quando si parla di migrazioni, che sono un fenomeno diacronico e asimmetrico: a migrare s’inizia quando si emigra, si finisce quando si immigra definitivamente altrove, in mezzo ci sono transiti geografici ed esperienze sociali, morti e disperazione, incontri e rinascite, comunque tanto incerto tempo.

Secondo il rapporto sull’immigrazione 2022 del Centro Astalli presentato il 13 aprile, nel 2021 sono stati 67.040 i migranti arrivati in Italia via mare, quasi il doppio rispetto ai 34.154 dell’anno scorso. I minori stranieri non accompagnati sono stati 9.478, a fronte dei 4.687 del 2020. Sappiamo poi bene che non tutti arrivano purtroppo: nelle ultime due settimane vi sono stato decine di morti nel Mediterraneo fra i profughi partiti. Successivamente, ancora oggi circa due migranti su tre sono ospitati nei CAS, i Centri di Accoglienza Straordinaria pensati per far fronte all’arrivo di grandi numeri in una logica emergenziale. Il sistema dell’accoglienza diffusa (SAI, Sistema Accoglienza Integrazione), con piccoli numeri e progetti d’integrazione più mirati ai loro ospiti, accoglie solo circa 25.000 persone delle 76.000 presenti nelle strutture convenzionate. Si registra un ulteriore aumento dei minori stranieri non accompagnati, utenza particolarmente vulnerabile a cui spesso lo Stato non riesce a garantire una presa in carico specifica e protetta. Anche questi dati indicano un fenomeno complessivamente modesto e gestibile, vissuto come emergenza quando invece è strutturale.

Nel 2021 non si sono registrate novità significative rispetto alla programmazione nazionale di un piano per l’integrazione dei titolari di protezione internazionale. Da anni ci sono numerose sperimentazioni positive del privato sociale, molte delle quali realizzate grazie a fondi europei, ma non si è ancora visto uno sforzo deciso da parte del governo centrale e delle istituzioni per ripensare la questione nel suo complesso. Secondo gli operatori (sul campo) del Centro Astalli “il difficile contesto internazionale, gli allarmi continui che arrivano dai media, ma anche la preoccupazione per l’emergenza sanitaria e l’aggravarsi delle tensioni sociali sono fattori che rischiano di alimentare pregiudizi sulle migrazioni forzate e di portare a vere e proprie discriminazioni nei confronti dei rifugiati.” Diciamo un’eresia, in aggiunta: l’Italia potrebbe tranquillamente ordinariamente accogliere migranti sia forzati che più liberi e, anzi, sarebbero probabilmente utili al nostro paese in termini di arricchimento sia culturale che occupazionale, in tempi di declino demografico e arroccamento identitario, come ben evidenziano proprio le tante esemplari vicende delle donne e dei bambini ucraini in tante città italiane.

Le guerre nel mondo sono tante e terribili. I conflitti sono certo la più nota origine di migrazioni forzate di noi Sapiens. Mai l’unica, però. Il «non poter» restare più in un posto è sempre accaduto anche in presenza di eventi, atti, fatti connessi direttamente alla propria vita. Accanto alle guerre e alle persecuzioni politiche, storicamente l’altra grande forza di costrizione è stato il contesto climatico ambientale, da qualche decennio lo chiamiamo sviluppo insostenibile. I disastri non hanno confine né di tempo né di spazio. Parliamo di eventi nefandi, scientificamente comprensibili, che sconvolgono convivenze civili, provocano danni alla vita e alle attività di donne e uomini, inducono talvolta a spostarsi e in qualche caso proprio a migrare. La residenza delle vittime in quei luoghi è manomessa e molto dipende dall’intensità di alcuni disastri improvvisi o dalla progressione e inesorabilità di altri più lenti (che rendono alla fine obbligatorio l’abbandono delle case e dei luoghi di residenza).

Le crescenti fughe da siccità e desertificazioni sono proprio l’emblema di una perduta capacità resiliente degli ecosistemi come conseguenza dei comportamenti umani. E, al clima sono sempre più connessi disastri che vengono definiti biologici, come le epidemie e le infestazioni. Comparare migranti forzati da persecuzioni e guerre e migranti forzati da eventi diversi è difficile, in passato come nel presente. Oggi si conosce grazie a Unhcr ogni anno la cifra dei primi (che non può essere sommata a quella dell’anno precedente perché la maggior parte restano gli stessi), mentre calcolare l’esatta cifra dei secondi è lento e complicato. Se adottassimo le stesse regole statistiche dei refugees (contare quelli che ogni anno sono restati fuori dalla patria a prescindere da quanto tempo prima l’abbiano dovuta abbandonare), la cifra dei secondi risulterebbe comunque superiore a quella dei primi (anche dopo l’invasione dell’Ucraina e la fuga di milioni di ucraini).

Verificheremo i dati 2021 il prossimo 20 giugno 2022, come ogni anno, per la giornata mondiale dei rifugiati. Non terranno ancora conto della guerra ma saranno comunque enormi. Certo è, allora, che il modello europeo per l’Ucraina servirebbe come strumento permanente: la direttiva del 2001 davvero applicata sempre, la ripartizione dei profughi davvero calcolata sempre, l’accettazione di quote di altri migranti (meno forzati ma forse altrettanto disponibili) davvero praticata ovunque. E, ovunque nell’Unione Europea, il rifiuto di intraprendere la pessima via inglese di trasferire in Ruanda i potenziali richiedenti asilo che attraversano la Manica su piccole imbarcazioni o nascosti nei camion oppure la pessima via texana di frustare i profughi haitiani (come accaduto ancora recentemente da parte degli agenti della polizia di frontiera). La realtà è che un profugo, comunque lo sia diventato, non dispone quasi mai di mezzi legali per entrare in un paese sviluppato ed è “costretto” a rivolgersi a canali illegali e pericolosi, per sé e per tutti. Lo abbiamo evitato agli ucraini, consentiamolo a chiunque sia nelle stesse condizioni. Cercano scampo e hanno molto da offrire ai paesi perbene. L’obbligo di protezione umanitaria non può essere “esternalizzato” ed è un bene per le nostre comunità accogliere e assistere, oltre che giusto.

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