In principio era
Il tu, era il là, era l’allora, era il cielo azzurro, era il sole, era la primavera, era il caldo, era prato, era il fiore, era l’albero, era l’erba, era l’uccellino, era la forza, era il coraggio, era la risolutezza, era la leggerezza, era la fiducia, era l’altruismo, era la ricchezza, era la gioia, era la serenità, era il riso, era il canto, era il parlare, era la preghiera, era la lode, era la stima, era l’affiatamento, era la dolcezza, era la lindura, era la bellezza, era l’affermazione, era la fede, era la speranza, era l’amore, era il futuro, poi il tu è divenuto lei, il là qua, l’allora adesso, il cielo azzurro fumo nero, il sole pioggia, la primavera inverno, il caldo freddo, il prato acquitrino, il fiore sterpo, l’albero cenere, l’erba fieno, l’uccellino preda, la forza fragilità, il coraggio codardia, la risolutezza indecisione, la leggerezza pesantezza, la fiducia sospetto, l’altruismo egoismo, la ricchezza povertà, la gioia dolore, la serenità inquietudine, il riso pianto, il canto strepitio, il parlare balbettio, la preghiera bestemmia, la lode maledizione, la stima disprezzo, l’affiatamento discordia, la dolcezza amarezza, la lindura sporcizia, l’affermazione negazione, la fede dubbio, la speranza disperazione, l’amore odio, il futuro è divenuto passato e tutto ricominciava da capo.
Inizia così Settembre 1972 l’opera più conosciuta di Imre Oravecz, pubblicata in Ungheria per la prima volta nel 1988 andando subito esaurita. Arriva in Italia nel 2004 per i tipi di Anfora che nel 2019 decidono di farne una riedizione. In questi mesi l’autore ha girato lo Stivale in un tour di presentazioni che è stato un vero successo di pubblico (e anche di critica, in verità: ha ottenuto una pioggia di recensioni).
Oravecz è un poeta – celeberrimo: insieme a Dezső Tandori e György Petri ha definito cos’è la poesia contemporanea in Ungheria – e questo rende l’accoglimento entusiastico della sua opera ancor più stupefacente. O forse si potrebbe pensare l'esatto contrario, se si è tra coloro che credono che la poesia possa parlare alla parte meno mediata di ciascuno e per questo sia "più facile" da approcciare. Anche perché Settembre 1972 a ben vedere è un ibrido che scolla le etichette dei generi e porta all’estremo la potenzialità della parola libera dai canoni narrativi in qualsivoglia modo li si definisca. Si tratta di 99 istantanee che raccontano in soggettiva un amore interrotto e il senso di stravolgimento esistenziale che s’impossessa della voce narrante.
Ma è poesia?
Sì. No.
L’autore non va a capo: visivamente non riconosciamo la struttura della poesia. Ma c’è da chiedersi se, da quando sono entrati nell’uso i versi liberi, abbia ancora senso fermarsi a questa distinzione.
Allora è narrativa?
Settembre 1972 è stato (anche) definito un romanzo in prosa poetica. E a ben vedere la narrativa a volte si cimenta alterando le sue convenzioni: introducendo disegni, lasciando pagine bianche, togliendo la punteggiatura, come nel caso in questione. Per l’autore è una questione di lana caprina: “Ci sono poesie epiche e romanzi lirici”, ha detto, molto semplicemente.
E infatti Oravecz è scrittore di poesia (canonica: con la raccolta "L’albero che se ne va”, ad esempio, nel 2016 ha vinto il Premio Aegon, l’equivalente ungherese dello Strega italiano) e anche di romanzi (canonici: la trilogia sull’emigrazione della sua famiglia negli Stati Uniti ha avuto un discreto successo). E poi c’è questa piccola opera dai tratti universali ch’è Settembre 1972 in cui è racchiuso l’umano sentire, restituito senza fronzoli, e senza fuggire le conseguenze, anche dolorosissime, di un’emozione o di una percezione: chi legge diviene chi racconta.
In questi trent’anni Oravecz ha ricevuto lettere, incontrato moltissimi lettori e tra questi una giovane ragazza che gli ha rivelato come quel libro le avesse, letteralmente, salvato la vita. Ecco forse perché le sale dove presenta sono gremite. Ad incontrarlo poi, Oravecz, l’impressione è, come spesso accade in presenza dei grandi che non hanno bisogno di mostrare nulla di più di quello che le loro opere dicono per loro, quella di trovarsi di fronte a un uomo mite e discreto. Deve essere però di una certa soddisfazione anche per lo scrittore più umile vedere, a settantasei anni, le proprie parole ancora in vita dopo tanto tempo e con la forza di raggiungere un pubblico trasversale così nel profondo. Specie se si pensa che agli esordi e fino al 1972, per ragioni politiche legate al regime ungherese, gli venne impedito di pubblicare.
Lo abbiamo intervistato:
“ Vivo in un altro tempo, non il mio, non il tuo, ma in quello di una terza persona, in quello della persona che sarei potuto essere, se il destino mi fosse stato più propizio, e tu fossi rimasta accanto a me Imre Oravecz