CULTURA

UniversoPoesia: Canzoni di Francesco Guccini

“Delle volte, forse, ho scritto delle buone canzoni, ho scritto anche delle musiche piacevoli, decenti, ma non mi sono mai visto come un musicista, sulle parole forse riuscivo meglio”. A dirlo, e ribadirlo in gran parte delle sue ultime uscite pubbliche, è uno dei cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana, un uomo racchiuso in quelle parole. Francesco Guccini per molti è un maestro, per i suoi colleghi (e ci scusiamo con lui se lo consideriamo anche un musicista) una sua canzone, L’avvelenata, rappresenta una vera e propria bibbia del mestiere. 

Per capire chi è Francesco Guccini, fresco finalista del Premio Campiello 2020 con il suo ultimo libro Tralummescuro (Giunti), basta vedere la sua reazione ogni volta che in una trasmissione televisiva viene riproposta questa canzone, che lui, in fondo, non voleva nemmeno pubblicare. Il ciclo di articoli di cui fa parte questo pezzo si chiama UniversoPoesia, quindi mettiamo da parte la musica, le canzoni e concentriamoci sulla domanda: Guccini è un poeta?

Però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia L'avvelenata

Lui a questa domanda ha già risposto nel 1976 proprio ne L’avvelenata, inserita nell’album Via Paolo Fabbri 43. “Però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia”, sono le sue parole ma, non ce ne voglia, oramai ben conosciamo la sua modestia.

Ad analizzare la poetica di Francesco Guccini c’ha pensato Gabriella Fenocchio, Docente di Letteratura italiana che nel suo libro “Canzoni”, edito da Bompiani ha proprio analizzato con attenzione ed umiltà i testi gucciniani con l’obiettivo di "restituire ai testi la piena cittadinanza poetica"

Quando si pensa a Guccini, quando si vivono le sue canzoni, è inevitabile scontrarsi con “l’eterno gocciolare del tempo” (Vite, canzone scritta nel 2002 per Adriano Celentano. Metafora che riprende quella di Eugenio Montale in Ossi:"il gocciolare/del tempo inesorabile"), con la precarietà del momento che però, spesso, è stato impresso in un tempo ormai passato e certifica che nonostante gli anni e le generazioni, la sensazione della precarietà è insita nell’incertezza della condizione umana.

Ma non ho scuse da portare, non dico più d'esser poeta, non ho utopie da realizzare, stare a letto il giorno dopo è forse l'unica mia meta Canzone delle osterie di fuori porta (1974)

In Canzoni i testi sono pubblicati ed analizzati in modo tale che abbiano una vita propria, che “possano autonomamente, e a buon diritto, collocarsi nel panorama poetico del Novecento italiano, non solo per la qualità dell’elaborazione formale ma nondimeno per la densità letteraria e i molteplici echi intertestuali di cui la gran parte delle parole risuona”.

Il libro quindi analizza 43 diverse canzoni di Francesco Guccini, da Auschwitz a L’ultima Thule, da cui emerge la costante ricerca di un “metodo di composizione inteso a diffidare di parole usurate, a ricondurre ogni scelta lessicale alla pregnanza del significato”.

Ogni canzone di Francesco Guccini è un bignami letterario, ricco di citazioni: dall’inizio di Dio è morto che prende spunto da Howl, un poemetto di Allen Ginsberg tradotto in italiano da Fernanda Pivano e che divenne poi uno dei manifesti della Beat Generation, all’immediata citazione di Nietzsche, ripreso anche in Quattro stracci nella strofa in cui dice “con i tuoi also sprach di maturazione”.

Dio è morto è, per ammissione dello stesso autore, una della prime canzoni “generazionali”. La stesura sarebbe avvenuta nel 1966 e la canzone è un ritratto del “disorientamento di una generazione di ventenni”. Le parole di Dio è morto hanno però varcato i confini del tempo e ancora oggi alcuni ventenni possono riconoscersi al loro interno.

Un altro tratto distintivo della poetica di Guccini, che si può riscontrare anche nei suoi numerosi romanzi, è il rimando alla “casa”. Per lui il collegamento ai suoi luoghi d’origine è fondamentale e lo si intuisce subito in Radici, una canzone inserita nell’omonimo album del 1972. “Casa” per l’autore è il mulino di Pavana a cui l’autore dedica anche il suo ultimo inedito inserito nell’album prodotto nel 2019 da Mauro Pagani Note di viaggio - Capitolo 1: venite avanti….

Natale a Pavana è la canzone d’apertura dell’album e, per confermare ancora una volta la domanda iniziale che ci siamo fatti, la canzone è uscita da una poesia che Guccini aveva scritto anni prima.

Del volte i m'arcordo quai Nadali Quand'i ero un bambin La sframmia del vacanze, dla valisglia Al sconsummo dla strada a la stazion A pée, ma alora a s' caminava verodio E me babbo davanti con al peso emiemémadre'ddré "Modna, stazion 'd Modna" E 'na zizzola maremma can col braghe corte E 'na nebbia ch'a t'inzupava Al care, e t'a l' stricava Per avertase quando 'd sovr'al colle l'aparizion dla Madonna su a San Lucca A t' disgeva ch'l'era ariva' Bologgna

Babbo, perché noialtri A 'n se sta ed ca' a Bologgna? Eee, magara E po' piazale Ovest Ghiggne e chiàccare con vosgi Che col treno già i m' portavan' ed colpo su i mée monti El sudava al vapore e quando ed rado Lascia' cl'altra stazion S'entrava in galeria Al fummo a s'inflitrava int al vagon E a l' rempiva i polmon E s'a t' sopiavi al naso L'era moccio e carbon E neve, tanta neve, bianca e fina E neve, tanta neve Fin a la Venturina

D'ed d'là dal fiumme a i era Al monte dla mé Pavna La soo magia E la mé forza e la mé fantasia Giò dal treno, Ziarina, la c'aspetava l'era anda' a comprare l'anguilla dla vigilia Ziarina disgeva "Via, via, ch'l'è belle buiio!" Per Nadale la notte la vén presto E via che 'd strada, tanta A i né ancora da fare A pée, ma l'era tutt'un caminare Cla strada belle fatta tante volte Fra doo montaggne 'd neve E in ca' i i'eren tutti Nonnamabilia a i era Ziorico, Nonnopietro E Ziateresa Con i taselli 'd tavole 'd castaggno E i sacchi amontina' li'd fianco a i muri E l'acqua ch'la scoreva dal botaccio per far andar el masg'ne Per tridare el castaggne Robbanera, frumento e formenton

Che gran savore 'd bon L'era, l'era ca' mia I ero torna' a ca' mia, al me fiumme Ai mée monti, al mé mondo e Modna, e la sa torre, L'eran armaste un soggno, soltanto un brutto soggno, che al Limentra C' la piéna d'inverno A l'portava via L'era, l'era ca' mia I ero torna' a ca' mia Al me fiumme Ai mée monti, al mé mondo e Modna, e la so torre L'eran armaste un soggno, che al Limentra A l'portava via

Nei testi gucciniani è spesso presente l’io (“Ho visto”, “Non so”, “Mi han detto”, ecc) ma è un io che ammette replica, un io che insinua il dubbio, senza lasciare traccia di “un’intenzione definitoria”. Un io molto vicino a chi ascolta, che si riconosce pienamente nella convivialità di alcuni testi.

Ne è esempio Canzone delle osterie di fuori porta, inserita in Stanze di vita quotidiana del 1974, in cui si parla di utopie svanite, di “rabbie antiche”, di vita vissuta, di amici che cambiano strada, insomma di tutto ciò che si può trovare nel micromondo dell’osteria.

Chi ascolta Guccini lo fa sapendo che di lui ci si può fidare, sapendo che l’autore è un ipotetico amico da trovare in osteria, sapendo che l'autore nelle sue canzoni è sincero e mette tutto sè stesso.

Sono pochi gli autori che titolano una canzone (e un album) con l’indirizzo della propria abitazione. Guccini lo fa nel 1976 con Via Paolo Fabbri 43. Il brano inizia con “fra krapfen e boiate le ore son volate”, una scena comune a qualunque ragazzo che frequenti dei propri coetanei. Via Paolo Fabbri 43 rappresenta anche la capacità di Guccini di passare dal racconto di una serata conviviale alle citazioni, dalla rima Descartes/Barthes al dialogo con Borges che “ha promesso di parlar personalmente col persiano”, cioè il filosofo e poeta Umar Khayyàm

 

Ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, ma non raccontare a me che cos'è la libertà Quattro stracci (1996)

Analizzare le canzoni di Guccini significa fare un viaggio all’interno del mondo dell’autore, un viaggio che però sembra familiare, sembra di attraversare luoghi conosciuti anche se mai visitati prima.

In un tempo in cui spesso le parole sono solo strumento attraverso il quale veicolare menzogne e violenza, la poetica di Guccini permette di ritornare a vedere le cose attraverso il loro significato, guardando più dentro a sè stessi che al giudicare gli altri.

“Non dico più d’esser poeta” dice Guccini ma, se l’autore lo consente, vorremmo dirlo noi: Guccini è un poeta.

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