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UniversoPoesia: l’infinito amore di Franco Arminio

L’infinito senza farci caso di Franco Arminio (Bompiani 2019, alla terza ristampa in due mesi) è una raccolta di liriche in cui il poeta irpino tesse la tela dell’amore (e del sesso) senza usare filtri e con una semplicità tale da rendere il suo sentire realmente universale. È uno di quei florilegi che viene voglia di leggere e rileggere per capire e sentire ancora una volta, o forse ricordare, come è quando “amor ci stringe”.

Il titolo è svelato dal primo componimento in cui il sentimento, che si sostanzia nel corpo, e quindi nell’amplesso, trasmette quella forza di vivere grazie alla quale amare è “come stare / nell’infinito senza farci caso”.

E invero l’universo di Arminio è a tutto tondo e il poeta lo mette sulla pagina con estrema libertà – nel verso e nell’immaginario, così come nella scelta lessicale – : dal sesso all’amore che si fa puro pensiero, manifestandosi nel paesaggio (tema assai caro all’autore, anche quando esula dalla poesia) o in nature morte, dalla vita piena al desiderio di annullamento.

I versi di Arminio portano il lettore alla vertigine dell’impronunciabile attraverso un accostamento di parole note, che pure feriscono dolcemente. Cos’è l’amore? “L’amore e la morte” dice “sono luoghi di raduno, / accampamenti di emergenza / per gli sfollati dalla vita ordinaria”. E tutti lo siamo, folli naufraghi, quando amiamo e ci perdiamo nell’altro, col rischio d’affogare. Ma la morte non cancella l’amore: “Lo so che quando morirai / tu amerai ancora” e, incredibilmente: “Amarsi è spogliarsi di ogni forza, / offrire il lembo estremo / del nostro essere, spartirsi appena un po’ la morte” perché la vita già la possiede, la morte, come possiede l’amore. E chi, se non i visionari, che non hanno paura di oltrepassare i confini, possono far toccare i lembi di Eros e Thanatos, secondo una tradizione ch’è antica quanto l’uomo?

“Abbiate cura / di incontrare chi non sta nel mezzo. / Cercate gli esseri estremi, / i deliri, gli incanti” suggerisce, e ancora alla donna che ama dice: “Tu sei fatta / per momenti non comuni. / Intima agli astri/ […] solo all’ignoto / puoi unirti” e in riferimento a lei dice di sé: “Con lei ho ambizioni divine”. C’è insomma la ricerca del sublime, perché, come spiega in una nota conclusiva: “L’amore per essere nuovamente vivo deve portare dentro l’infimo e l’immenso […]. Dobbiamo riprendere a oscillare verso gli estremi”.

da "L'infinito senza farci caso" di Franco Arminio

Eppure, nonostante la straordinarietà che ogni parola del poeta trasmette, in queste liriche l’amore è raccontato di traverso: mai definito in se stesso, ne viene indicata la gittata, la potenza, il sussurro, il clamore e la sua più immediata manifestazione: il moto del corpo. “Fare l’amore / è un lavoro prezioso” chiosa “[…] è un lavoro da restauratori / del sacro” e sì, “il sesso […] è una cosa in cui si inciampa / anche se abbiamo la sciarpa e il cappotto”. O ancora: “La festa è desiderare, è sgretolarsi, / far entrare l’altro dagli occhi […]” e di conseguenza il corpo si fa tempio nerudiano di bellezza e di perfezione per gli amanti: “Giù / in fondo alle gambe / la luce /che c’è in cima / alle montagne”.

La sensualità nel verso di Arminio risiede soprattutto nell’immagine, che non di rado diviene oggetto: quella tazza, quella matita e quella pianta che possono ascoltare la voce dell’amata, o la pietra dove si è seduta, il bicchiere dove ha bevuto, il suo cuscino, un cucchiaio. Oppure lei, tutta, l’amata, la sua “orografia”, le sue ossa, le sue vertebre che si piegano mentre la possiede, la sua voce, le mani, le braccia.

Arminio si oppone alla “pornografia dilagante della Rete” cantando l’amplesso nel suo essere così semplice e così universale: “Il sesso è sano/ quando lo cerchiamo per dare / domicilio all’infinito”, senza moralismi e senza falsi pudori. C’è una disperata ricerca di bellezza tra le sue parole, di verità e di senso, infine di salvezza: “Ci salverà l’amore, / ci salverà il bacio, / il graffio sulla schiena […]”.

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